VILLA MALAPARTE A CAPRI
la villa dove Brigitte Bardot amava prendere il sole.
“Il giorno che mi sono messo a costruire una casa non credevo che avrei disegnato me stesso” ammette Curzio Malaparte e ribattezza la villa Casa come Me.
Nome d’arte di Kurt Erich Suckert, nato a Prato nel 1898, Malaparte è espressione pura dell’artista poliedrico dai mille volti: il poeta, l’agente segreto, il religioso e il regista – sceneggiatore voce del Neorealismo italiano. Le sue tante facce sono impresse in quella lingua di roccia a strapiombo sul mare acquistata nel 1936 per dodicimila lire e su cui sorgerà Villa Malaparte.
La casa diventerà uno dei gioielli dell’architettura razionalista italiana attribuita all’architetto Alberto Libera, col quale Curzio Malaparte litiga
e al quale rinnega totalmente l’idea originale che ritiene invece
il frutto della propria immaginazione:
“E poiché a un certo punto, dove la roccia si innesta al monte, la rupe si incurva, si abbandona, formando come una specie di collo esile, io qui gettai la scalinata, che dell’orlo superiore della terrazza scende a triangolo”.
Egli si innamora subito di quella terra durante la visita a un amico e nel suo celebre romanzo La pelle scrive: “Lungo i fianchi del Vesuvio, fiumi di lava scendevano verso i villaggi sparsi nel verde dei vigneti. Il bagliore sanguigno della lava incandescente era così vivo, che per un immenso spazio intorno i monti e la pianura n’erano percorsi con incredibile violenza”. Così, pieno di passione per Napoli, per Capri e per quella natura rigogliosa che rende incantevole il paesaggio e grazie all’amicizia con l’allora Ministro degli Affari Esteri Galeazzo Ciano, riesce a ottenere il permesso per costruire una villa sull’estremità di Punta Masullo, a Est dell’isola di Capri.
Malaparte progetta la sua casa con il tetto rosso composto da scale che ascendono al cielo e culminano in un terrazzo aperto.
Nella villa l’artista imprime tutte le sfaccettature del suo carattere,
proteso alla ricerca di una vita appassionata, originale,
lontana dalla monotonia borghese:
il rosso richiama la falce e il martello del comunismo russo, mentre gli affacci poetici e gli interni minimalisti raccontano il suo lato spirituale e rimandano a una necessità interiore di spartana semplicità, in cui una sorta di ascetismo aleggia nelle stanze e nelle pareti spoglie che circondano la villa come in un mistero.
E che cos’è l’arte se non il tentativo dell’artista di coltivare nel buio e nel silenzio quella creatura che si dibatte nelle sue viscere, e che proprio di quel mistero si nutre e che in seno a questo nasce?
L’arte di Curzio Malaparte è figlia della solitudine, della natura che abbraccia la villa, dei segreti che il vento sussurra alle rocce e delle verità che le onde che si infrangono sugli scogli raccontano durante le lunghe meditazioni a picco sul mare. Come disse Luigi Martellini, lo studioso che più di tutti conosceva l’opera del Malaparte: la letteratura era per Curzio una sperimentazione, la verifica dei suoi stessi limiti, un’assurda ricerca della verità.
Il poeta indaga infatti Dio e lo cerca in se stesso, tra le mille pieghe dell’anima fino all’epifania sconvolgente, liberatoria, rappresentata nelle sue opere e infine donata al mondo.
Il camaleontico Malaparte curò gli interni della villa come opere d’arte:
all’ingresso progettò un grande salone col pavimento in basolato al centro del quale un camino dal fondo di cristallo impreziosiva la stanza, mentre le finestre in legno di noce catturavano il cielo e il mare, incorniciandone l’essenza alla stregua di colorati dipinti; in fondo alla casa creò quello che chiamava “il pensatoio”, lo studio in cui si rifugiava per ore a leggere e a scrivere.
Le case le vorrei tutte di pietra, ben squadrate, con le altane aperte
sui golfi del cielo» diceva ancor prima di aver realizzato la villa.
Anche il pavimento è curato in ogni minimo dettaglio e su ciascuna maiolica è rappresentata una lira, omaggio al manoscritto del Viaggio in Italia di Goethe. “La favorita” era la stanza data in uso alla compagna del momento, mentre quella per gli amici veniva chiamata “Ospizio”.
Elsa Morante, Picasso, Albert Camus e Alberto Moravia che descriveva Curzio
come “un individualista a servizio di se stesso”, sono alcuni degli ospiti della villa
che tra mito e bellezza, cinema e poesia,
era palcoscenico di belle storie, vere e finte, e che divenne anche il set del famoso film di Godard Il disprezzo, tratto dal celebre romanzo di Moravia e girato nel 1963.
Il disprezzo è la storia di uno sceneggiatore che non riesce a difendere la moglie (interpretata da Brigitte Bardot) dalle avances di un produttore e dalla conseguente crisi del loro rapporto.
Il regista, simbolo della Nouvelle Vague, si aggira con la sua telecamera come uno spirito inquieto mentre insegue i protagonisti tra le stanze della villa e fuori; la divina Brigitte, infuriata, sale le scale fino al tetto per prendere il sole e poi le riscende inseguita dal marito (interpretato da Paolo Javal). «Perché non mi ami più» dice lui.
«É la vita» risponde lei capricciosa, mentre cammina avanti e indietro con indosso solamente un costume da bagno e un accappatoio giallo canarino. «Ma perché mi disprezzi?» fa il marito.
«Questo non te lo dirò mai, neanche dovessi morire» ribatte lei prima di scendere la scalinata, perdersi tra gli scogli e tuffarsi nelle acque blu cobalto, lasciando dietro di sé le battute tipiche di un litigio tra innamorati.
Un incontro speciale quello tra Capri e la diva nata a Parigi ma vissuta in Italia,
icona degli anni ‘60, modella, ballerina e attrice di una bellezza raffinata
e magnetica impressa in due occhi smeraldini.
Godard sceglie la location con cura, per inserire nella storia un seconda protagonista: la bellezza dei paesaggi del Mediterraneo, con il mare che si confonde con l’orizzonte.
Nel documentario Paparazzi del regista francese Jacques Rozier, sono raccolte le riprese dei giorni in cui Brigitte Bardot ha soggiornato a Capri, i suoi incontri con il pubblico, gli autografi e le sue passeggiate sull’isola a piedi nudi, proprio come amava fare a Saint Tropez.
Un amore corrisposto quello tra la diva e Capri che nel 2015 le dedicò la ventesima edizione del Festival del Cinema.
Ma cosa ne è oggi di questa strana costruzione, che ha visto tra le sue pareti
la storia del cinema e della letteratura italiana?
Prima di morire Curzio Malaparte sorprende il mondo ancora una volta, lui che è stato un mistificatore, un idealista, tutto e anche niente, che di se stesso scrive: “Si ignora tutto di me, e però si dicono e si scrivono le cose più inverosimili. Non sono né un eroe né un martire. Sono stato in prigione per ragioni letterarie, non politiche. Non si vuole capire che io sono verso gli antifascisti ciò che sono stato verso i fascisti, che ho il più alto disprezzo per i politicanti, di non mi importa quale partito, che non mi interesso che alle idee, alla letteratura, all’arte. Che sono un uomo libero, un uomo al di là di tutto ciò che agita questa povera massa di uomini”; fa arrabbiare la famiglia donando la villa alla Repubblica Popolare Cinese allo scopo di creare una centro per artisti cinesi residenti in Italia. Difatti, nel 1956 lo scrittore aveva raggiunto la Cina via Urss, chiedendo il visto come inviato speciale del settimanale comunista “Noi donne”.
Una vita vissuta dunque in maniera intensa, fuori dagli schemi, che Malaparte racconta nelle sue opere e attraverso la sua villa che oggi è chiusa al pubblico
e si trova sotto la supervisione della Fondazione Ronchi.
Coloro che desiderano avventurarsi per Pizzolungo, tra i sentieri nascosti di Capri che si stagliano a picco sul mare, potranno scorgere Villa Malaparte in lontananza e la costruzione apparirà davanti a loro come un’oasi rossa che primeggia nel verde e sorge dall’acqua raccontando di un’epoca; dei divi e delle dive che sui suoi scogli si sono fermati a osservare l’orizzonte per imprimere in esso le loro storie.
Stelle al Sud