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UNA RIVOLUZIONE PER IL SUD di Carmen Lasorella – Numero 15 – Dicembre 2019

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UNA RIVOLUZIONE PER IL SUD

 

Carmen-Lasorellasud

Ogni anno, puntuali, arrivano i rapporti. In testa, quello Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno. Sarebbe stato meraviglioso, ma non ci sono state sorprese: il Sud continua inesorabilmente a scivolare verso il fondo di tutte le classifiche. 

E’ quella scena dei cartoons con il pupazzo baffuto, che usa le unghie e i denti, eppure va giù e poi ancora giù, perché la parete è di vetro ed è bagnata di sapone. Magari però si trattasse di vetro e di sapone! Ci sarebbero trasparenza e pulizia…invece sono l’opacità e la sporcizia, che pesano sul futuro del Sud, con la zavorra pesante di un sistema incapace di riconoscerlo – il futuro – già che non si vuole cambiare.

 

Eppure, qualcosa di nuovo nell’edizione 2019 c’è stata. 

 

Anzi, gli aspetti nuovi sono stati due: uno buono ed uno cattivo. Cominciamo dal secondo.  

 

L’Italia non ha più il tumore endemico del Mezzogiorno, o meglio, non ha più solo quello, perché la metastasi si è estesa all’intera nazione. Sul divario Nord/Sud si è innestato il divario Paese/Europa. C’è da stupirsi? Viviamo una crisi, che, almeno sotto il cielo italiano, dura da più di dieci anni.

Una crisi di valori, di principi; una crisi della politica, incapace di rigenerarsi; 

una crisi economica, che ci ha portato alla stagnazione e poi alla povertà; 

una crisi del sistema sociale, che non sa più includere, 

che non affianca, non sostiene. 

 

Una crisi sgarbata e sgrammaticata. C’è da meravigliarsi, sì, perché viene da chiedersi: come mai non è accaduto prima? Come può il corpo di un paese continuare a vivere con una parte malata? Bisogna curare l’intero corpo, in ogni sua parte, per stare bene. E’ logico! Invece, si è generato il paradosso, che perfino dinanzi all’ovvietà e al ragionamento, nell’evidenza dei numeri, dopo i silenzi dei politici per trent’anni e la rassegnazione dei meridionali per molti anni di più,

i sofisticatori seriali hanno perfezionato la materia condita 

con l’odio e la propaganda. 

 

“Il Nord deve stare per suo conto, viva l’autonomia dei ricchi!” “I poveri del Sud non saranno certo tutti ladri e mafiosi, ma sprecano risorse, non ci sanno fare… Brutti e sporchi, come sono, che subiscano il proprio destino, che si accompagnino agli immigrati, esseri inferiori come loro…”  

 

Hanno sparso veleno ai quattro venti, questi untori dei fatti, e

sono riusciti ad intossicare perfino l’anima di tanta brava gente, 

al Nord come al Sud, che ora pensa di vivere bene 

con un pezzo del corpo del Paese,

 

che con un pezzo naturalmente non potrà farcela e dunque rimarrà impotente ai piedi del patibolo dell’Italia tutta, che scivola giù, nonostante le unghie e i denti, come il pupazzo baffuto.  

 

La previsione degli analisti Svimez, sui livelli attuali di occupazione, produttività e saldo migratorio dicono che l’Italia perderà quasi un quarto del suo prodotto interno lordo e il Sud quasi un terzo in meno di 50 anni. Una previsione catastrofica, se non fosse che l’arco temporale di 50 anni di questi tempi è troppo lungo nel conto delle accelerazioni che segnano la nostra epoca. Ma al di là delle verosimiglianze, non possiamo negare le certezze.

Urge ragionare di soluzioni e soprattutto va evitato il rischio di un’Italia 

nelle mani degli untori, allontanando anche quelle dei criminali.


Veniamo alla buona notizia?  

 

Un fattore: facile, duttile, forte, inesauribile, decisivo, a buon prezzo, che potrebbe cambiare le previsioni disastrose appena accennate. 

 

Il fattore D probabilmente non avrà vita facile e incontrerà scetticismi e paranoie, come sempre è avvenuto in passato, ma la Svimez sul punto è tassativa:

a determinare il futuro del Mezzogiorno sarà l’occupazione femminile. 


Usando un felice acronimo, che mi ha suggerito proprio un recente contatto ravvicinato con il Sud, sarà finalmente   

 

“METODO” ovvero MEZZOGIORNO TOCCA alle DONNE.  

 

Non si tratta di rivincite o di battaglie, rievocando stagioni passate, la questione anche in questo caso risponderebbe solo alla logica e all’evidenza. E’ vero o no che il PIL diminuisce quando diminuisce la popolazione e dunque il lavoro che questa produce? E’ vero o no che scende anche quando questo lavoro non è qualificato ed aggiornato sui parametri correnti? Parlando di donne, cosa significa?

Nel Mezzogiorno, le donne dovranno poter sommare 

il proprio lavoro a quello degli uomini. 


Le donne occupate invece sono oggi in media appena il 30%, mentre in Europa quella media supera il 60; sono in troppe a fare il part-time, imposto e non volontario, che ritorna sul 30% del totale con una perdita evidente di potere contrattuale; bassissimo è il tasso di natalità e così l’abbandono del lavoro nel caso di un figlio; il grado d’istruzione rispetto al centro-nord d’Italia ed agli altri paesi UE è in sensibile ritardo. Allora? Se la percentuale di lavoro femminile cominciasse a salire verso il 60%, se ci fossero servizi per le donne (ausili, asili, ecc.) che favorissero la scelta di un figlio, senza abbandonare il lavoro, con un part-time scelto e non subito, se ci fosse la possibilità di studiare di più e meglio, come oramai non solo le più giovani, in maggioranza, vorrebbero poter fare, diventerebbe straordinaria la spinta al rilancio del Sud!  

 

METODO e aggiungerei tenacia, determinazione, organizzazione. Tutte prerogative femminili. E’ giunto dunque il tempo delle donne al Sud ed alle donne toccherà essere sulla scena, finalmente, da protagoniste.

Qualora gli uomini al potere nel Mezzogiorno e nel resto del Paese 

dovessero ostacolare questo percorso, con fermezza, 

vorrà dire che si cambierà il paradigma. 


Il sì deve essere forte e chiaro. Usando le piazze reali e virtuali, con il supporto convergente – almeno una volta – dei mezzi di informazione. Bisognerà dire basta! E bisognerà dirlo da subito. Le donne oramai devono andare avanti, senza ulteriori indugi, senza le donne la rivoluzione non si può fare e nel Mezzogiorno è diventata inevitabile. Serve uno choc! Non bastano più i passi, forse non basteranno neanche i salti. Ma servono fonti di energia nuova e pulita. Non solo in senso metaforico: è diventato indispensabile in termini letterali!

Al fattore D, considerata leva economica, si aggiungeranno allora altri due fattori: 

il Green Deal e l’Innovazione.  


Ovvero bisognerà puntare con decisione sull’opzione Bio: bioeconomia e biotecnologia. 

 

Il rapporto Svimez ci informa che il valore della bioeconomia meridionale si aggira tra i 50 e i 60 miliardi di euro, più o meno un quinto di quella nazionale. Che i modelli aziendali Nord/Sud nel tempo si sono avvicinati, che è aumentata la dimensione e la superficie media delle imprese agricole, che

si sta costruendo – benché a fatica – un modello di bioeconomia circolare, 

capace di coniugare economia, ecologia e società. 

 

In questo modello si è inserita anche la chimica verde e nell’ambito del cluster nazionale è nata SPRING. La  Primavera  ci  sta,  di  sicuro,  ma  SPRING  è  un  acronimo:  Sustainable Process and Resources for Innovation  and National Growth. SPRING  ha  oramai  5  anni  di  vita  ed  è  diventata  un’associazione no profit, che mette insieme imprese, università e fondazioni. 

 

L’obiettivo prioritario è quello di abbattere all’incirca del 50 per cento le emissioni di CO2 entro i prossimi anni e pare che ogni euro investito nel progetto ne stia restituendo 10, oltre ad avere offerto occasioni di lavoro ad almeno 2 milioni di addetti in tutta Italia.

La prossima tappa sarà quella di aumentare in modo sensibile la produzione, così come gli investimenti, e di migliorare il circuito della sostenibilità.


In Italia, e soprattutto nel Sud, infatti, i nuovi progetti incontrano difficoltà a radicarsi nel contesto meridionale, perché non sviluppano la coesione necessaria tra i vari protagonisti sulla scena, che non si cementano guardando agli obbiettivi, ma si frantumano nei litigi. La politica c’entra… e non solo quella.

Ancora più dinamico si presenta il settore bio-tecnologico. 


Nel Mezzogiorno, in meno di 10 anni, le imprese biotech sono cresciute di una volta e mezzo l’incremento rilevato al Centro Italia e il doppio rispetto al Nord. Viaggiavano su una percentuale addirittura del +70% nel 2016, rallentata però negli ultimi anni, nel solco della flessione economica nazionale. Sono biotech verdi, bianche e rosse, come la nostra bandiera. Ovvero studiate e applicate nei settori commerciali e industriali, in quelli della zootecnia e dell’agricoltura, nel campo medico.

 

Le imprese di questo comparto si avviano a rappresentare il 30 % del fatturato biotech generato nel Mezzogiorno, 

 

che ha trovato la sua punta di diamante in Campania, dove si coltivano progetti di ricerca all’Università Federico II di Napoli, nelle Academy finanziate dalle imprese ed anche nella Scuola Superiore Meridionale, sostenuta dallo Stato. E’ un bell’andare. Fa piacere parlarne… tuttavia ci riferiamo ad ambiti di eccellenza limitati. Sono attività che non fanno sistema. Le Reti della conoscenza e del trasferimento tecnologico potranno senz’altro rendere fertile il contesto territoriale, ma prima bisognerà smuovere la terra e dissodarla in profondità, coinvolgendo oltre le braccia, le teste e i cuori. Se serviranno i caterpillar, si useranno i caterpillar e alla guida ci saranno le donne …. una minaccia? Lo è, perché non se ne può fare più a meno. 

 

 

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