L’ambiente intorno non era dei più favorevoli. Per ragioni diverse, ma riconducibili allo stesso pregiudizio maschilista, le donne erano appena tollerate, considerate troppo emotive per occuparsi di politica o di economia, inadatte agli incarichi pubblici, vissute come una minaccia per la stabilità della famiglia. Lo pensavano i democristiani e perfino di più le sinistre, nonostante proprio le donne, durante la guerra, entrando nelle fabbriche e negli uffici, oltre agli impieghi sanitari e scolastici, avessero egregiamente sostituito gli uomini al fronte. Era un sentire diffuso, che il Sud esprimeva in modo radicale. Quel Sud che paradossalmente aveva segnato la più alta percentuale di affluenza alle urne delle prime elettrici (86,2 contro 84,8 elettori, mentre in Sardegna aveva superato l’87 per cento), laddove però le donne meridionali, in gran parte analfabete, avevano votato a maggioranza per la monarchia, condizionate dal retaggio delle tradizioni e dal fascino della corona.
In un tempo in cui vigeva ancora la patria potestà e la potestà del marito, fuori dalla magistratura e dalla diplomazia, con salari deliberatamente più bassi e in un contesto culturale arcaico, che si imperniava proprio sull’arretratezza femminile,
Contaminazione di altre esperienze, conoscenza, diritti, valori per incidere la carne morta di quella società, cercando anche di attenuare lo “scambio ineguale” – come lo definiva la semantica marxista – del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. Fu un lavoro eroico, presto condiviso dalle intelligenze locali più evolute, che si impegnarono nell’istruzione e nella sanità, puntando sull’associazionismo, per migliorare le condizioni primarie delle donne, oltre gli steccati della diffidenza o peggio in aperta ostilità.
Quantum mutatis ab illo! Dovremmo poter dire oggi con le parole di Virgilio. Quanti cambiamenti da allora…Ma se scorriamo gli ultimi dati della Svimez (nel dopoguerra, la Svimez recitò un ruolo centrale nella politica per il Mezzogiorno, insieme alla Confindustria e ai governi filoamericani del tempo) l’ottimismo si arena. Nihil sub sole novum?! Niente di nuovo sotto il sole?! Fino ai 34 anni, al Sud lavora solo una donna su cinque. L’allarme povertà riguarda una persona su tre ed è donna. Due milioni di donne meridionali sono classificate NEET, ovvero non studiano, hanno rinunciato al lavoro e non si aggiornano. Nel complesso, la crescita del Mezzogiorno è stata del 13 per cento in quindici anni (2000 -2015), 40 punti in meno rispetto alla media europea, che segna il 53,6. La Svimez prevede che il divario Nord/Sud continuerà a crescere, che ci sarà uno tsunami demografico a seguito dell’aumento dell’emigrazione e del crollo delle nascite; che al Sud si produrrà di meno, si guadagnerà di meno, pagheranno di più i giovani e le donne.
Domanda: quale altro centro sarebbe migliore della ricerca dell’equilibrio? A cominciare proprio dal ruolo delle donne del Sud, che non sono mai state un problema, ma restano una risorsa? La loro esclusione è un deficit di democrazia.