SICILIA. UNA NESSUNA CENTOMILA di Gaia Bay Rossi – Numero 16 – Febbraio 2020
SICILIA. UNA NESSUNA CENTOMILA
“La Sicilia è il puntino sulla i dell’Italia […] il resto mi par soltanto un gambo posto a sorregger un simil fiore”.
Hessemer, come tanti giovani aristocratici che si cimentarono nel Grand Tour, da Goethe a Tocqueville, da Dumas a Ruskin a Maupassant, rimase incantato da questa terra unica, straordinario insieme dei lasciti delle tante popolazioni che qui si stanziarono nell’arco dei secoli: fenici, greci, romani, ostrogoti, bizantini, arabi e normanni, francesi e spagnoli, tanto per citarne alcuni.
Possedere o perdere la Sicilia, l’isola più grande del Mediterraneo,
ha sempre rappresentato l’affermazione o la fine degli imperi
e delle civiltà che si sono incontrate con lei.
Grazie a questa preziosa miscellanea, la Sicilia può vantare di essere stata il primo Stato al mondo ad avere un Parlamento, istituito nel 1129 dal normanno Ruggero II (quando l’Inghilterra ne vide la creazione solo nel 1264).
Un Parlamento che non aveva le rappresentanze solo di clero e nobiltà,
ma anche quelle delle città libere e che permise la piena collaborazione
tra le varie etnie e fedi religiose.
Non dimentichiamoci che la Cappella Palatina a Palermo è l’unico luogo di culto che mette insieme due religioni: la cristiana (nei due riti, cattolico e ortodosso) e l’islamica. Uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d’Europa sarà riconosciuta solamente nel 1598 con l’editto di Nantes di Enrico IV di Francia. Si può tranquillamente affermare che il regno normanno-svevo in Sicilia ha posto le basi dello Stato moderno nell’isola.
In Sicilia è nata la letteratura italiana per mezzo della scuola siciliana.
Dante fu un estimatore della lirica siciliana e del volgare con cui si esprimeva, tanto da commentare nel De Vulgari Eloquentia: “Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità”. La poesia lirica della scuola siciliana ebbe anche il merito di aver introdotto il sonetto (inventato da Jacopo da Lentini nella prima metà del Duecento).
Sempre in Sicilia si è avuto il più importante moto popolare europeo, quello dei Vespri del 1282 contro gli Angioini, dominatori francesi dell’isola
(va segnalato che Dante, che in quella data aveva solo diciassette anni, nell’VIII canto del Paradiso indicherà come Mala Segnoria il regno angioino di Sicilia). Quindi, oltre alla capacità di crescita e assimilazione, la Sicilia esprimeva anche forza, carattere e ribellione.
La più arguta e precisa definizione della Sicilia mi è stata data, in un’occasione culturale e conviviale, dal Governatore della Sicilia, Nello Musumeci, che mi ha spiegato che “la Sicilia è l’esagerazione dell’Italia. Nel bene e nel male. Se l’Italia ha la criminalità, la Sicilia ha la mafia; se l’Italia ha bellezze artistiche, la Sicilia ha capolavori straordinari di tutte le epoche, sia in terra sia sotto il mare; se l’Italia ha ottimi cibi, la Sicilia sorprende con tutte le sue variegate specialità.”
La Sicilia è una terra antropologicamente complessa, storicamente e culturalmente divisa in due.
Da oriente a occidente si trovano due Sicilie uguali e contrarie, caratterizzate
da usi e costumi diversi, ma anche da colori e sapori alternativi
che pure riportano sempre alla medesima “sicilianità”
fatta di tradizioni, orgoglio, accoglienza, attaccamento alla terra, e di tutto ciò che spinse Giovanni Falcone a dire: “Noi abbiamo avuto cinquecento anni di feudalesimo. Se ci si rendesse conto che il siciliano è prima di tutto siciliano, poi medico, avvocato o poliziotto, si capirebbe già meglio”.
La Sicilia orientale, fu la parte maggiormente influenzata dalla civiltà greca, che ebbe inizio nel 756 a. C. con la fondazione della prima colonia, Zancle, l’odierna Messina. Seguirono Naxos, a lungo considerata la prima colonia greca, Siracusa, Catania, Megara Hyblaea, Gela, Selinunte, Akragas (Agrigento). L’80% di questi territori si trova
nella Sicilia orientale, dove i greci imposero la loro cultura raffinata,
la loro architettura, le loro abitudini: fu la prima, vera,
grande rivoluzione culturale del Mediterraneo.
La Sicilia greca ha contribuito a formare dei siciliani lavoratori e imprenditori: se a Catania di notte c’è il terremoto e tutti scendono in piazza, subito dopo arriva l’uomo a vendere i palloncini!
Non dimentichiamo che grandi filosofi e scienziati greci, come Archimede e Pitagora, nacquero in Sicilia e qui diffusero i loro insegnamenti. Mi piace ricordare, e non in tono polemico, la risposta di un siciliano con spiccato senso dell’umorismo ad un noto imprenditore che ha affermato: “Se voglio la cultura vado a Parigi, in Sicilia ci si va solo per il mare e il cibo”. La risposta è stata: “Volevo solo ricordarle che quando io, a Siracusa, discutevo di matematica, geometria, fisica, ottica, idraulica e meccanica, a Parigi vivevano sugli alberi. Distinti saluti. Archimede”.
Tutto questo mentre la Sicilia occidentale era, come dice l’antropologo e scrittore palermitano Franco La Cecla, “tutta presa dagli almeno quindici secoli
di presenza africana, punica, cartaginese”.
Gli arabi arrivarono in Sicilia nel IX secolo e la loro presenza fu stabile fino al 1492, quando Ferdinando II Il Cattolico, re di Spagna, stabilì l’espulsione per chiunque non fosse di religione cristiana, quindi musulmani ed ebrei. Al contrario, come abbiamo visto,
durante il regno degli Altavilla prima e di Federico II poi, cristiani ed arabi avevano convissuto tranquillamente in un clima fertile e creativo, che aveva arricchito
e migliorato la Sicilia intera e, in particolar modo, la parte occidentale.
Testimonianze di quella convivenza sono termini linguistici come il nome di alcune località: Alcamo (al-qamah, terra fertile), Marsala (marsa Allāh, porto di Dio), Salemi (salam, pace) ma anche in centinaia di parole siciliane: bagghiu: cortile (da bahah), cassata: il dolce di ricotta (da qashata), mischinu: poverino (da miskīn), taliàri: guardare, osservare (da ṭalaʿa), zaffarana: zafferano (da zaʿfarān) ecc.
Per non parlare degli edifici con la cupola, denominati ‘cuba’, o delle località che iniziano con il toponimo ‘Cal’ (in arabo qalʾat castello o fortezza) come Calascibetta, Calatabiano, Calatafimi, Caltabellotta, Caltagirone, Caltanissetta, Caltavuturo.
A Palermo c’è il palazzo della Zisa (dall’arabo al-ʿAzīza, la splendida) all’interno del parco reale normanno, il Genoardo (sempre dall’arabo Jannat al-arḍh ovvero “paradiso della terra”), che rappresenta uno dei migliori esempi del connubio di arte e architettura normanna e decorazioni e ingegnerie arabe, tanto da essere stato riconosciuto nel 2015 Patrimonio dell’umanità Unesco nell’ambito dell’ “Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Cefalù e Monreale”.
Nei rapporti tra Sicilia e mondo arabo, lo scrittore, saggista e giornalista siciliano Vincenzo Consolo così si è espresso: “Vengo dalla Sicilia, la regione
più araba d’Italia e una terra fra le più arabe al mondo […]
Con la civilizzazione araba, durata due secoli e mezzo, la Sicilia attraversò una sorta di rinascimento: scoprì le tecniche dell’agricoltura, vide fiorire le arti e la scienze e diffondersi princìpi di uguaglianza e tolleranza”.
Ma c’è ancora un’ulteriore caratteristica da toccare sui risultati delle diverse dominazioni in Sicilia, e riguarda la gastronomia: i grani (oggi qui se ne coltivano ben 52 tipi) sono arrivati grazie agli spagnoli, il cuscus è arrivato dal nord Africa intorno al 1300 (oggi il particolare cuscus trapanese è inserito tra i “Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani”), la pesca del tonno con la mattanza è stata introdotta da un Rais, persona di origine araba, la pasta con le sarde è l’invenzione di un cuoco arabo del generale Eufemio da Messina, il vino siciliano ha oggi la sua fortuna perché gli antichi greci spiegarono ai siciliani la coltivazione della vite nel VIII sec. a.C., e la cassata, nata in un convento nel 1400, nei secoli fu integrata dagli ingredienti introdotti dalle varie dominazioni: frutta candita dagli arabi, cioccolato dagli spagnoli e pasta di mandorle dai normanni.
Resta un’ultima fondamentale questione ancora irrisolta nel confronto tra le varie parti della Sicilia: si dice arancino o arancina?