SAN CLEMENTE A CASAURIA E I SUOI DUE PADRI di Gianluca Anglana – Numero 12 – Ottobre 2018
SAN CLEMENTE A CASAURIA
E I SUOI DUE PADRI
Mandrie di bovini osservano impassibili gli itinerari degli umani. Cavalli allo stato brado brucano con indifferenza. Dal fianco della montagna risalgono nuvole. Panorami da Gustave Doré.
Una bambagia di nubi sembra poggiarsi soffice sulle sommità spoglie. È quassù che si rende omaggio al Sovrano degli Appennini. Il “Tibet d’Italia” accoglie i viandanti del ventunesimo secolo, pellegrini versione 2.0. Un mare di verde. Onde di pascoli disegnano avvallamenti che paiono curve di donna.
Rocca Calascio all’imbrunire: quando ormai il profilo dei monti è solo un acquarello su carta di riso. Questo è un luogo stupendo e spettrale a un tempo. Le rovine dell’antica fortezza svettano sulle cime. Tra le pietre erose dal tempo, il vento sibila: sembra il lamento di una qualche Catherine che tormenta ancora il suo Heathcliff.
L’Abruzzo e la bellezza. L’Abruzzo e il silenzio.
La quiete è quella dell’Abbazia di San Clemente a Casauria,
contrada di Castiglione a Casauria, provincia di Pescara. La riconosci subito dalla sua squadrata austerità. Il suo portico è solenne e severo: si apre in tre archi, di cui solo i laterali a sesto acuto.
Questa magnificenza si deve a due uomini.
La sua fondazione certamente a un Franco: Ludovico II1
Oltre che Imperatore, Ludovico divenne anche Re d’Italia e fu particolarmente attivo nelle regioni meridionali della Penisola. Ebbe molti grattacapi. Faticò non poco per tenere a bada i Saraceni a Sud2; indispettì i Greci piantando in asso la figlia del Basileus Teofilo preferendole Engelberga dei Supponidi3, una delle famiglie più influenti dell’aristocrazia franca (mogli e buoi…); litigò a più riprese con Papa Niccolò I e soprattutto entrò in conflitto con il principe beneventano Adelchi. Costui gli si ribellò nell’871, aizzandogli contro i dignitari del Ducato: la coppia imperiale fu tenuta in cattività per un mese intero e liberata solo dopo avere «promesso di non cercare di vendicarsi e soprattutto di non ricomparire più con le sue schiere nel territorio di Benevento»4. Dopo il rilascio, Ludovico piegò su Roma: qui ricevette da Papa Adriano II le reliquie del martire Clemente.
È in questi anni, precisamente a partire dall’871 secondo il Chronicon Casauriense (oggi conservato alla Bibliothèque Nationale de France)5, che l’Imperatore
ordinò di erigere in Casauria un monastero
(dapprima dedicato alla Santissima Trinità, quindi appunto a San Clemente), che si ergesse come segno inequivocabile della sua presenza rispetto all’Italia meridionale anarchica.
Un simbolo della maestà imperiale o un gigantesco ex voto per la fine della prigionia.
La Regola fu quella di San Benedetto.
Forte della sua posizione strategica «lungo il fiume Pescara, ai confini dei ducati di Spoleto e Benevento e presso la Via Claudia-Valeria, l’Abbazia al tempo dell’Abate Lupo nel 911 vantava i possedimenti in quasi tutta la regione»6. Per via delle cospicue donazioni, il Monastero condivise con altri del suo stesso ordine la medesima sorte scintillante.7
Poi il buio, dovuto all’invasione dei Saraceni nel 916 e a quella dei Normanni
nel 10768. Il Cenobio ritrovò il suo splendore solo grazie a Leonate,
consacrato abate nel 1156
Costui intendeva restituirgli lustro: fu anche per questo che ne concepì la facciata come una sorta di accesso trionfale, perché fossero chiari a tutti il prestigio e la potenza di quella comunità. Egli morì il 25 Marzo 1182 e non fece in tempo a vedere completato il suo progetto. Ai lavori contribuirono maestranze provenienti da più parti: sicuramente dalla Puglia e dalla Borgogna.
Il portico appare tutt’ora poderoso, ingentilito da quattro bifore e sormontato
da un oratorio dedicato a San Michele Arcangelo, alla Santa Croce
e a S. Tommaso Becket,
uno di quei santi inglesi «di rango aristocratico – vescovi e nobili laici – che si erano opposti al potere regio»9 e la cui fama si propagò in tutta Europa: la canonizzazione dell’Arcivescovo di Canterbury avvenne nel 1173. Allora, già da circa cento anni, gli Abati di Casauria sottoponevano le questioni di loro competenza non più agli imperatori, bensì ai papi.
All’interno della lunetta sovrastante il portale principale, Leonate è raffigurato nell’atto di presentare a Clemente la chiesa rimessa a nuovo.
Più sotto,
un architrave narra le origini dell’Abbazia: la sua genesi è a Roma,
dove Adriano II consegna a un più che mai deferente Ludovico II
la teca contenente i resti del Santo;
accompagnato da Suppone armato (parente di Engelberga?), l’Imperatore segue l’asino carico delle reliquie; nei pressi dell’Abbazia circondata dalle acque del fiume Pescara, il Sovrano consegna a Romano, primo Abate del Monastero, lo scettro abbaziale e il potere sui fertili feudi circostanti.
I capitelli, su cui poggia l’architrave, insegnano cosa sia il male e cosa il bene:
sul capitello di sinistra (la regione del male), un drago è la calunnia, che sussurra all’orecchio di un uomo le parole del peccato; sul capitello di destra (la regione del bene), in groppa ad un animale fantastico, un uomo volge le spalle al vizio e ne rifugge per sempre.
Nella lunetta sovrastante il portale laterale di sinistra, San Michele Arcangelo
infilza il drago, simbolo del male.
Maria col Bambino, tutrice dei pellegrini, è assisa sul portale di destra.
Racchiusi negli stipiti come dentro a delle garitte, sono a guardia quattro re, forse i carolingi Ugo, Lotario, Lamberto e Berengario.
All’Abate Gioele (1182-1189) va ascritta la porta bronzea centrale.
L’interno, a tre navate, è spoglio ed elegante.
Il pezzo forte è l’ambone, la cui cassa poggia su quattro colonne ed altrettanti capitelli adornati di palme. Queste, simbolo del martirio, sono scolpite nell’atto di dischiudersi in una successione facile a indovinarsi, se si guardano i capitelli in senso antiorario, partendo dal primo sulla destra. Un invito ai fedeli ad aprirsi alla parola del predicatore. E ce n’è anche per lui: lungo il perimetro del manufatto, scorre in latino l’esortazione ai retori della Chiesa a condurre una vita coerente con le proprie omelie. Dei fiori sono mirabilmente scolpiti. Un’aquila afferra un libro, che a sua volta sormonta un leone (questa gerarchia verrà invertita sulle colonnine esterne all’abside), e guarda al candelabro poggiante su un’ara adornata di quattro teste leonine.
L’altare, al di sotto di un ciborio, è in realtà un sarcofago paleocristiano
della fine del IV secolo o degli inizi del V.
Al suo interno, era forse conservato il reliquiario di alabastro, che oggi si trova alla destra della mensa, protetto da una teca, e
all’interno del quale furono deposte le ossa di Clemente.
Per nostra fortuna, oggi possiamo ancora ammirare questi capolavori.
Ciò grazie alla tenacia di un uomo:
Pier Luigi Calore. È lui il secondo padre.
A lui, vissuto nel diciannovesimo secolo, mille anni dopo Ludovico, si devono la riscoperta e la valorizzazione di questi luoghi: sfidò la burocrazia, investì energie e pagò in prima persona, allo scopo di salvarli dal grave stato di degrado in cui li avevano ridotti i terremoti, le devastazioni delle solite truppe francesi, l’incuria e la cupidigia degli uomini ai quali erano stati affidati10. Amico di Gabriele D’Annunzio che lo stimava, lottò con tenacia fino ad ottenere la dichiarazione di San Clemente quale monumento nazionale con un regio decreto del 28 giugno 1894.
Ed è a lui che è intitolato l’antiquarium nei locali adiacenti alla chiesa, dove sono raccolti alcuni reperti di eccezionale fattura (come il capitello decorato con aquile di federiciana memoria che ghermiscono una serpe oppure la commovente statua della Madonna con Bambino, in pietra della Maiella).
In questo piccolo museo, non puoi non chiederti che volto abbiano i Pier Luigi Calore dei nostri giorni, sempre che ne esistano. E rabbrividisci, nell’uscirne, alla lettura dell’ammonimento di Basilide di Alessandria11 appeso al muro di sinistra (la regione del male), augurandoti che sia tutto fuorché una profezia:
“E verrà… il tempo in cui non vi saranno uomini spirituali, ma soltanto ignoranti
che rifiutano ciò che appartiene allo spirito”.
1 – Nipote di Ludovico I il Pio, fu il primogenito di Lotario I e di Ermengarda di Tours. Fu incoronato Imperatore a Roma, nell’Aprile dell’850, da Leone IV. Morì a Ghedi nel bresciano. Le sue spoglie riposano nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano (cfr: www.treccani.it).
2 – Nell’871 condusse una spedizione a Bari, per strapparla ai Musulmani: v. UTET, Torino, 1967, p. 519: «di tutti i Carolingi fu quegli che più si interessò al nostro Paese e più caldamente vagheggiò il disegno di riunirlo in un solo Regno».
3 – Il fidanzamento contratto a Treviri con la principessa bizantina nell’842 fu rotto unilateralmente da Ludovico, il quale tra l’851 e l’853 sposò Engelberga, figlia del conte di Parma, Adalgiso (www.treccani.it).
4 – Ibidem.
5 – Su: www.sanclementeacausaria.beniculturali.it (invece, su www.regione.abruzzo.it, l’anno di fondazione è individuato nell’873).
6 – Opuscolo illustrativo del MIBACT – Polo Museale dell’Abruzzo.
7 – «Per il rapido moltiplicarsi delle donazioni la proprietà dei monasteri benedettini assunse presto proporzioni grandiose» F. Panzini-A. Rogmann, Pagine di critica storica, Ferraro, 1990, p. 75.
8 – Le notizie storiche e le informazioni di ordine artistico sono attinte ai siti internet indicati nella nota 5.
9 – André Vauchez, La santità nel Medioevo, Il Mulino, 1989, p. 124-125.
10 – San Clemente divenne oggetto di un istituto denominato Commenda Perpetua, consistente nella pratica di affidare abbazie o monasteri in difficoltà a cardinali o prelati affinché ne risollevassero le sorti: spesso offriva a gente priva di scrupoli, anche all’interno della Chiesa, l’occasione di depauperare gli stessi enti che si sarebbero dovuti salvaguardare.
11 – Eresiarca gnostico del II secolo d.C.