quando, per la prima volta appresi, attraverso il detto e non detto dei vecchi della Zona, di sciamani – di norma di sesso femminile – dediti in tempi remoti, e durante la notte, a penetrare negli spazi di sepoltura per abbandonarsi a trance purificatoria e dialogo ispiratore coi defunti.
Pare che ogni tanto l’irrequietudine del gigante dia vita a terremoti ed eruzioni. Non pochi i poeti greci e romani che citarono i vulcani: Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio e altri ancora hanno descritto l’irreale panorama delle eruzioni. Divinità romana di origine etrusca, Vulcano fu in seguito identificato col greco Efesto (in greco Ἥφαιστος, Hēphaistos), considerato il fabbro degli Dei. E’ il Dio del Fuoco terrestre, celeste divinità guerriera: di norma veniva raffigurato barbuto, descritto come protettore di quelle Arti che trovano base sul fuoco inteso come elemento cosmico e caotico.
Se per le antiche religioni mesopotamiche (e nella prima religione ebraica) tale figura è rappresentata da Lilith e in quella cristiana da Eva, per quella ellenica il complesso ruolo è stato affidato a Pandora.
QUANDO IL FUOCO SI FA DIO
Pare che il suo ruolo fosse inferiore perché claudicante, quindi imperfetto: la sua natura caotica poteva determinare una inadeguatezza nell’azione di raffinamento del mondo divino e umano.
In dubbio rimane la sua origine: ritenuto inizialmente una divinità ctonia, assunto dall’Olimpo solo in un secondo momento, rimane per altri di unica provenienza celeste. Comunque si devono al suo talento la creazione del carro del sole, i fulmini e lo scettro di Zeus, la corazza d’oro di Eracle, l’elmo di Ares, le armature di Achille e di Enea, il tridente di Poseidone.
Zeus, per l’infelicità del genere umano, diede incarico al dio del fuoco di modellare un’immagine umana servendosi di acqua e argilla; la figura non doveva avere nulla da invidiare alla bellezze delle dee. Efesto fu tanto bravo nel plasmarla che la donna che ne ebbe origine era superiore a ogni possibile immaginazione. Gli dei furono incaricati da Zeus di riporre in lei dei doni: Atena le donò delle vesti morbide e leggere a significare il candore, fiori per adornare il corpo e una corona d’oro, mentre Ermes pose nel suo cuore pensieri malvagi e sulle curve sinuose delle sue labbra frasi tanto seducenti quanto ingannevoli.
Narra Esiodo (Le opere e i giorni)
“L’adornò del cinto
E delle vesti, le donar le Grazie
E Pito veneranda aurei monili,
E de’ più vaghi fior di primavera
L’Ore chiamate, le intrecciar corone.
Ma l’uccisor d’Argo, Mercurio, a lei,
Ché tal di Giove era il voler, l’ingegno
Scaltri d’astuzie e blande pargolette
E fallaci costumi …”
A questa complessa creatura fu dato nome Pandora (dal greco “pan doron” = “tutti i doni”) perché ogni divinità dell’Olimpo le aveva fatto un regalo. Mancava solo il regalo di Zeus che, ovviamente, fu superiore agli altri. Egli infatti, donò alla fanciulla un vaso con l’assoluto divieto di aprirlo. Il vaso raccoglieva tutti quei mali ancora sconosciuti all’umanità: la malattia, la pazzia, il vizio, la malattia e la fame…
Un sonno in grado di trascinarli all’inferno e ritorno. Il fuoco, elemento principe sia all’ingresso del mondo dei morti che all’uscita, sarebbe riuscito a salvarli soltanto se questi vivi eletti dai defunti, imboccando l’uscita del monte/grotta del demonio di turno, avessero camminato sollevando un piede, zoppicando e senza voltarsi indietro.
Sinonimo del coraggio necessario ad andare avanti nonostante le difficoltà; continuare a vivere lasciandosi alle spalle un passato di assenze sofferte, comunque portatrici d’insegnamento. E quel fuoco: lume da seguire e di cui farsi scudo per uscire dalle tenebre dell’inconscio ed il viaggio necessario alla maturazione, alla crescita dell’Uomo in quanto Uomo; la fuga, vista come rinascita, dal pozzo profondo dell’Io.
Euripide, nel dramma satiresco “Ciclope“, attraverso l’invocazione di Odisseo così definisce il Dio del fuoco: “Efesto, signore dell’Etna, brucia la luminosa pupilla del tuo ignobile vicino, lìberati da lui una volta per sempre.” Ancora, si narra del gigante Tifeo, deciso a insidiare l’Olimpo. Giove, adirato per l’irrispettoso atto, dopo una lunga e turbolenta lotta decise di punire il gigante
obbligandolo a sorreggere la Sicilia tenendo i piedi sotto il Lilibeo (Trapani), il braccio destro sotto il Peloro (Messina) e quello sinistro sotto Pachino (Siracusa), la testa in prossimità dell’Etna.
Efesto, già all’età di nove anni dimostrò di possedere abili capacità nel forgiare i metalli: prese a creare gioielli d’ inestimabile bellezza, soprattutto per coloro che l’avevano accudito e amato. Quando Era venne a conoscenza dell’abilità del figlio si recò da lui per ordinargli di costruire un trono d’ineguagliabile bellezza e valore. Nel presentarsi al figlio, la Dea non rivelò la sua identità, ma Efesto comprese comunque e accettò il lavoro commissionatogli, mirando alla vendetta nei confronti di una madre che l’aveva ripudiato. Costruì per Era un trono interamente d’oro, tanto bello quanto maledetto: avrebbe imprigionato per sempre la Dea che, una volta seduta, non sarebbe più riuscita ad alzarsi. Si narra che, per potersi liberare dal maleficio, Era dovette promettere in sposa al figlio la bellissima Afrodite, e che, successivamente alla sua liberazione, permise al Dio del fuoco di poter tornare nell’Olimpo assieme alle altre divinità. Afrodite non riuscì mai ad accettare la decisione di Era e tradì frequentemente il marito – si racconta che decise di non congiungersi carnalmente con il Dio del fuoco e che, presa con la forza, si smaterializzò dal talamo.
Dunque Efesto abbandonò volontariamente l’Olimpo per rifugiarsi nelle profondità del Monte Etna, stufo delle continue derisioni da parte degli altri dei e per il suo aspetto fisico e per le infedeltà della moglie.
Teti e Eurionome, due ninfe del mare che si presero cura di lui decidendo di allevarlo in una caverna.
Si narra che proprio la grotta che l’accolse proteggendolo, divenne la sua prima officina di fabbro.
Così come Lilith (ripudiata dall’Uomo ché ribelle) ed Eva (responsabile della cacciata dall’Eden) anche Pandora carica sulle spalle una travagliata eredità di disgrazie, destinate alla razza umana. Efesto: fuoco terrestre inteso in senso positivo, fuoco come elemento di civiltà. È possibile riscontrare un suo corrispondente in Loge o Loki della mitologia nordica – ricordiamo che, in onore di Efesto, venivano celebrate le Efestie, le Apaturia e le Calceia.
Secondo la maggior parte degli studiosi, Efesto era figlio di Zeus e di Era, mentre per Esiodo sarebbe nato soltanto da Era, per punire Zeus dei numerosi tradimenti con dee e mortali. Accadde però che, alla nascita di Efesto, la madre rimase terrorizzata dal suo aspetto, e decise di scaraventare l’innocente giù dall’Olimpo. Efesto precipitò in prossimità dell’isola di Lemno, e la caduta lo rese zoppo. Per fortuna il piccolo Dio fu raccolto da
Si deve ad Efesto anche la nascita della prima donna.
Trovo di forte interesse, sul tema, la figura de L’Anticristo descritto da Nostradamus nella visione dell’Apocalisse.
Il vero aspetto dell’Anticristo, infatti, verrà individuato esotericamente attraverso il riferimento specifico a Vulcan-Hermes (IV, 29) cioè Vulcano, il nostro Efesto dio del fuoco. Per il Veggente, L’Anticristo/Efesto sarà addentrato nell’Arte Ermetica della quale falserà i principi. Il notorio riferimento di Efesto a Hermes o Ermete si ricollegherebbe alla tradizione ermetica secondo la quale il corpus di ancestrali dottrine magico-ermetiche giunte fino ad oggi, fu rivelato agli uomini da angeli caduti, discesi sul monte Ermone. Secondo M. Del Gatto (“L’Apocalisse di Nostradamus”), questa affermazione trova fondamento nell’apocrifo di Enoch (cap. 15-69), come pure in altri testi religiosi quali il Vecchio Testamento (Gen. 3-6), il Nuovo Testamento (Apoc. Cap. 12) e il Corano (cap. 15, 30-42).
I testi descrivono come gli angeli ribelli, cacciati dal cielo, scesero sulla terra per ostacolare l’evoluzione degli uomini, li istruirono sulla ‘scienza del fuoco’ e altri artifici contro la Natura, a causa dei quali gli antidiluviani vennero distrutti.
Dunque un Efesto Conoscitore? Un angelo ribelle esperto in scienze pagane? Probabilmente alla stregua di quell’Adamo profanatore dell’Albero della Vita (simbolo di processo cosmico), colui che pose l’uomo nella condizione di essere redento.
La mia Sardegna è terra di vulcani spenti, forze della natura in stasi da tempo. Il vulcano sardo Monte Santo è chiaro esempio di come l’Isola non sia mai stata asismica. Diverse le alture che presentano, secondo gli esperti, caratteristiche vulcaniche: Monte Ruju, Monte Arana, Monte Cuccureddu, Monte Annaru, Monte Traessu e, appunto, Monte Santo. Le cime sono localizzate a ovest dell’Isola, a breve distanza dalla città catalana di Alghero e dalle spiagge di Bosa e Stintino.
I vecchi narrano che uno di questi monti ospiterebbe un immenso tesoro destinato ad una giovane coppia di futuri sposi.
I due dovrebbero scalare il monte la notte precedente le nozze, a mezzanotte, ora in cui giungerebbe una strega su un carro. Ma solo vendendo l’anima al diavolo, i fidanzati otterranno dalla strega i suggerimenti necessari ad accedere al luogo del tesoro. Naturale citare, nel contesto in oggetto, il mito tutto sardo di un Sant’Antoni che, giocando di astuzia, sfidò i diavoli entrando nell’inferno e rubò il fuoco per donarlo agli uomini. In ricordo di questo episodio, la notte del 16 e del 17 gennaio in centinaia di paesi della Sardegna si accendono dei grandi falò; riti pagani ancora vivi e sempre volti ad ingraziarsi una natura ostile, nei momenti più delicati di passaggio tra i cicli della terra. Tramite la figura di Sant’Antonio – protettore degli agricoltori, secondo la tradizione morto ultracentenario proprio il 17 di gennaio – , la Chiesa ha cristianizzato un culto ben più arcaico, teso a risvegliare la e alla luce dopo il lungo, freddo buio invernale. La festa è indubbiamente pagana, legata ai riti di morte e rinascita del Dio, della natura, del ciclo vitale.