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MUSICA DI GUARIGIONE di Ruggiero Inchingolo – Numero 6 – Ottobre 2016

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Nel 1984 frequentavo l’Università di Bologna (DAMS) ed ero allievo di Roberto Leydi (considerato, con Diego Carpitella, il fondatore dell’Etnomusicologia moderna in Italia).

Questi, accortosi della mia passione per il violino della tradizione popolare, in quanto già da tempo studiavo questo strumento, mi esorta a conoscere le musiche eseguite dal violinista Luigi Stifani (1914-2000) per scrivere una tesi di laurea su di lui. Perché Stifani? Perché è stato l’ultimo e più importante musicista terapeuta che più d’ogni altro ci ha permesso di capire i rituali legati al tarantismo salentino (uno dei fenomeni più rilevanti della demo-antropologia italiana).

Di professione barbiere, localmente conosciuto come Maestro Gigi, Stifani ha svolto un’intensa attività musicale non soltanto nell’ambito dei rituali di guarigione dei tarantati (coloro che, secondo la tradizione, si consideravano morsi dal ragno e si liberavano dal suo veleno attraverso il ballo),

Il violinista-barbiere permise all’etnologo di conoscere quel mondo difficilmente raggiungibile da un intellettuale estraneo, diventando il personaggio chiave dell’opera citata “La terra del rimorso”. Le teorie del maestro Stifani sul tarantismo danno un contributo indispensabile all’indagine di De Martino, svelando pertanto il volto di una cultura popolare millenaria. Finalmente, nel 1989, discuto con lo stesso Roberto Leydi, la mia tesi di laurea dal titolo Biografia di un suonatore popolare: Luigi Stifani di Nardò. In questo lavoro ho analizzato i suoi manoscritti e il modo in cui vengono suonati gli strumenti musicali. Inoltre, ho trascritto e analizzato le musiche eseguite durante i rituali terapeutici di tarantismo. In seguito, dalle trascrizioni, ho ricavato le strutture melodiche dei brani. Durante gli anni della ricerca e anche dopo la laurea, attraverso i successivi incontri con il maestro Stifani, ho imparato i moduli ritmico-melodici della pizzica cosiddetta tarantata, oltre al modo di suonarla. 
Dal ‘93 in poi, inizia la mia esperienza sul campo a stretto contatto con importanti esecutori depositari della tradizione. Apprendo le modalità esecutive del tamburello, dell’organetto e della chitarra, gli stessi strumenti che venivano usati per la terapia. Nel 1995 come violinista – guida del gruppo salentino Officina Zoè ho partecipato a prestigiosi Festival nazionali ed esteri: le pizziche di Stifani, dopo essere state da me trascritte, vengono rieseguite oltre i confini regionali e nazionali. Il ritmo iterato e i suoni più acuti del violino vanno dritto al cuore e riescono a sedurre, a trainare i tamburelli fino al parossismo. Nella melodia del mio violino si scorge lo stile esecutivo più rappresentativo di quest’ultimo periodo di riproposta della pizzica salentina, a cui tanti giovani violinisti si sono ispirati.

 

Il libro, dopo un decennio fortunato, è stato ristampato dalla stessa casa editrice, con un ampliamento dell’introduzione scritta da Eugenio Imbriani (docente di Antropologia culturale dell’Università di Lecce) e con una nuova postfazione curata dall’etnomusicologo e storico Salvatore Villani. Nel 2007 le registrazioni delle musiche suonate da Stifani e il suo gruppo vengono raccolte in un CD dal titolo: “Le pizziche tarantate di Luigi Stifani” (Il Giardino dei Suoni). Nel 2009 esce il film documentario “Latrodectus, che morde di nascosto” di J.Bassét e I.Gurrado (Les Films du Lierre). Il film si impernia sui ricordi di casi di tarantismo salentino raccontati da Giovanna, figlia del maestro Stifani e mostra interessanti interpretazioni rilasciate dagli esperti più qualificati di vari ambiti disciplinari che si sono interessati al fenomeno del tarantismo1. Sempre nel 2007, Sergio Torsello, direttore artistico del Festival “La notte della Taranta” mi invita come ospite al concertone finale del Festival (con il maestro concertatore Mauro Pagani) per rappresentare Luigi Stifani con una delle pizziche tarantate più rappresentative del suo repertorio, la pizzica indiavolata. Seguiranno, negli anni successivi, altri concerti realizzati nell’ambito del Festival itinerante della popolare kermesse. Dopo la morte di Luigi Stifani ho continuato a frequentare Giovanna, figlia del maestro e testimone del ricco patrimonio di conoscenze tramandate dal padre. Con lei e con l’aiuto volontario di altri collaboratori, organizziamo un grande evento in suo ricordo, ormai giunto alla XVI edizione, che si svolge in due giorni a S. Maria al Bagno (LE). Si tratta di un Memoriale seguito da un Festival Concorso dedicato al maestro Stifani.

 

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1 Lo storico della scienza Gino Dimitri; il decano dell’analisi istituzionale nonché psicosociologo George Lapassade dell’Università di Parigi VIII; lo scrivente etnomusicologo, autore delle musiche del film (che dal maestro Stifani ha ereditato il modo di suonare) in cui illustro, in breve, la funzione dei due strumenti fondamentali nella cura domiciliare del tarantismo, il violino e il tamburello; l’aracnologo Roberto Pepe.

 

MUSICA DI GUARIGIONE

 

ma anche come musicista per il ballo e l’intrattenimento. Oltre che violinista, è stato anche un abile suonatore di vari altri strumenti. Per il mio lavoro di ricerca, trattandosi di una tesi sperimentale, era indispensabile incontrarlo. Arrivai nella sua bottega a Nardò (Le) nel 1985 e, sin dai primi incontri, rimasi affascinato dai suoi ricordi che illustravano gli episodi più importanti di tarantismo da lui curati dal 1928 al 1972. 
La curiosità verso questo mondo ai confini tra la realtà e il mistero aumentava sempre di più al punto che non vedevo l’ora di fissare l’incontro successivo per conoscere nuovi intriganti racconti.

Uno dei dettagli che più mi colpì, riguardava il concetto del termine pizzico del violino che, citando le sue parole, «iccita la parte dell’ammalato. Sicché se non gli va il suono, l’ammalato dice ‘non mi piace’».

Col passar degli anni avrei fatto le mie valutazioni sull’espressione “pizzico” (cfr. Inchingolo Ruggiero, Il pizzico prodigioso del violino di Stifani, in Melissi, n. 10-11, Nardò, Besa, 2005) che, solo in misura minima, si riferirebbe all’effetto provocato dallo sfregamento dell’arco sulle corde. Il più delle volte, invece, il termine indicava il modo di suonare rapido e molto ritmato.
Il maestro Gigi con la sua orchestrina (tra cui ricordiamo l’abile suonatrice di tamburello, Salvatora Marzo), oltre a curare molte tarantate con il pizzico del suo violino, annotava sulla sua rubrica tutti i casi di tarantismo che gli si presentavano.

Infine, grazie alla sua abilità di terapeuta, riusciva a somministrare al paziente le tarantelle neretine, chiamate anche pizziche tarantate (se considerate dal punto di vista coreutico), o, a volte, anche altre musiche, più idonee al caso. Questo tipo di tarantelle suonate durante i rituali terapeutici si differenziavano da quelle suonate nella pizzica pizzica (ballo di coppia che fa parte della famiglia delle danze meridionali denominate tarantelle) proprio per gli strumenti musicali adoperati, tra cui emergevano il violino e il tamburello e per le diverse modalità esecutive dettate dal contesto terapeutico in atto. Il violino (per via del timbro più penetrante e incisivo) assumeva il ruolo di strumento melodico principale che, insieme al ritmo del tamburello, determinava il buon esito della terapia. Gli altri due strumenti usati nelle cure domiciliari di Stifani (e che completavano l’organico strumentale) erano l’organetto e la chitarra.

 

Il tamburello smuove il corpo e trascina al movimento, il violino comunica alla mente poiché, secondo la tradizione, è proprio nella melodia che la tarantata si identifica e si concilia con la taranta che la possiede.

 

 

Il suonatore a partire da un limitato numero di melodie “generatrici”, riesce a inventare (improvvisare) continue varianti. Questo procedimento è comune nelle musiche di tradizione orale dove l’improvvisazione diventa un tratto distintivo. La bravura di Stifani consisteva proprio nella capacità di variare le melodie di volta in volta, a seconda dei casi che gli si presentavano, proprio per non creare quella sensazione di noia, determinata invece, dalla pura e identica ripetizione di una melodia. E’ doveroso sottolineare che

 

 

Le stesse musiche associate ad altri contesti culturali perderebbero la loro efficacia regolatrice e di controllo. E’ ormai noto che la bottega di Luigi Stifani, alla fine degli anni ’50, è stata meta di tanti ricercatori di varie discipline, tra questi l’etnologo Ernesto De Martino che, nel 1959, durante la sua ricerca etnografica – condotta con una équipe multidisciplinare per studiare il tarantismo salentino -, si fece accompagnare dal maestro Stifani. Le sue ricerche confluiranno in seguito nel suo celebre saggio “La terra del rimorso”, in cui arrivò, in sintesi, a scontrarsi con l’interpretazione medica (casi di aracnidismo o disordini della sfera psichica) a favore, invece, di una interpretazione storico-culturale e religiosa del fenomeno.

 

 

Questo intenso sodalizio con il gruppo si concluderà nel 2000, con la partecipazione come attore e musicista al film Sangue vivo di Edoardo Winspeare. Nel 2003, il frutto di una esperienza di ricerca quasi ventennale, confluiranno nella mia prima pubblicazione dal titolo: “Luigi Stifani e la pizzica tarantata. Studio sugli strumenti musicali, sulla musica “numerica” e sulle musiche eseguite dal gruppo di Luigi Stifani durante le cure rituali del morso della mitica taranta” (Besa Editrice). Sergio Torsello (1965-2015), giornalista e ricercatore, autore di numerosi articoli, saggi e volumi sul tarantismo, così si espresse in una sua recensione sul quotidiano di Lecce, del 18 ottobre 2003:

 

 

 

Prima di dare inizio alla terapia,secondo Stifani, bisognava effettuare una diagnosi sul sofferente, per verificare che effettivamente si trattasse di tarantismo. Subito dopo, Stifani osservava il paziente e mediante una esplorazione musicale, cercava di aprire un canale di comunicazione, di provocare attivazioni senso-motorie, basandosi anche sull’atteggiamento e l’indole del paziente.

La musica eseguita dai quattro strumenti aveva la funzione di regolare e controllare il movimento del corpo e le emozioni degli individui all’interno del rito, oltre che di ordinare ritualmente le crisi dei tarantati in cicli coreutici regolari

I due strumenti producono l’iterazione ossessiva. Una è quella determinata dall’ostinato ritmico prodotto dai sonagli e scandito dalla botta sulla pelle del tamburello. L’altra ,invece, è quella che viene prodotta dal violino.

gli effetti terapeutici delle musiche eseguite durante le cure domiciliari sono comprensibili solo all’interno di questa formazione o credenza simbolico-religiosa, socialmente accettata e condivisa, che ha lo scopo di rendere più facile il processo di reintegrazione dell’individuo nella comunità.

Una forma di protezione sociale per uomini e donne che hanno avuto un problema esistenziale, individuale o collettivo, e che proprio attraverso un rituale caratterizzato dal simbolismo della taranta che morde e della musica, della danza, dei colori, si riesce a liberare da questo “morso avvelenato“.

La folla, trascinata e rapita da questi suoni, si esalta, applaude e allo stesso tempo balla, irretita dal magico ritmo ossessivo della pizzica tarantata.

<< …quello di Inchingolo è un saggio che scava nel duplice solco di una singolare vicenda biografica da un lato e dall’altro nella concreta prassi esecutiva e nel sistema di notazione musicale (la musica”numerica”) elaborati da maestro […]. Inchingolo evidenzia la presenza di rilevanti microvariazioni all’interno degli stessi brani […].Un libro importante per comprendere meglio la singolare personalità di Stifani.>>