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LA DEA E I SUOI TABÙ di Giovanna Mulas – Numero 5 – Luglio 2016

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“Che cosa poteva sapere, Socrate, quando l’ho presa con me? Non aveva ancora quindici anni quando è venuta nella mia casa; fino allora era vissuta sotto stretta sorveglianza, doveva vedere meno cose possibili, udirne il meno possibili e fare meno domande possibili”.

Altra causa frequente di ripudio era la sterilità; rimandando al padre la moglie sterile, lo sposo adempiva addirittura a un obbligo religioso e patriottico. E in ogni caso l’eventuale gravidanza della moglie non costituiva ostacolo al ripudio. Il marito che ripudiava la moglie, però, doveva restituirne la dote e questa costrizione costituiva il solo freno – spesso efficace – al moltiplicarsi dei divorzi.

Ecco, questa è probabilmente la parola magica: follia, ma non rappresenta IL Tutto, ché sarebbe riduttivo parlare soltanto di follia,

LA DEA

E I SUOI

TABÙ

 

A scrivere queste righe è una donna ‘diversa’: forse più forte o forse no ma che in un capitolo nuovo, questa nuova vita, vive l’amore amata di stesso amore; ciò che ogni donna è portata fisiologicamente a vivere e dovrebbe vivere: in libertà, dignità, purezza.

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rivolgersi all’arconte, protettore naturale degli incapaci, e consegnargli una dichiarazione scritta dove venivano esposti i motivi sui quali si fondava la sua richiesta di separazione. E’ probabile che l’evidente infedeltà del marito non bastasse a far deliberare all’arconte la separazione giacché i costumi tolleravano la libertà sessuale del maschio; al contrario, percosse e maltrattamenti subiti dalla moglie, se accertati nel corso dell’inchiesta, costituivano motivo valido seppure l’opinione pubblica sarebbe rimasta comunque sfavorevole alle donne che si separavano dai mariti: “Lasciare lo sposo è infamante per le donne e non è loro permesso di ripudiarlo” (Euripide, “Medea”, vv.236-237).
Sappiamo che esistono ferite, nella vita, che non rimargineranno.
Il tempo potrà ammansirle, vestirle di una nuova prospettiva di saggezza e serenità, ma, mai, queste ferite potranno cicatrizzare del tutto. Vuoi perché sono troppo profonde; vuoi perché, oramai, fanno parte di noi, e solo con noi scompariranno. 
E ogni volta che una donna, Sorella di Lune e Destino, muore per mano di un amore malato, la mia ferita grida ancora. A volte vorrei che smettesse, qualche volta io stessa ho voluto smettere, ma il richiamo alla vita è sempre stato, purtroppo o per fortuna, più forte e maledetto, istintuale. La vita mi ha chiamato quando pensavo di non avere più nulla da darle o da risponderle, e credo che è pure per questo che io, oggi, sono qui a raccontarlo.

L’opera venne commissionata dal Vescovo di Ariano, Mons. Diomede Carafa al Pittore suo amico Leonardo da Pistoia, e allude alle tentazioni dalle quali si deve – dalle quali il prelato deve – trovare la forza di allontanarsi. 
Il Quadro raffigura un San Michele che abbatte il diavolo con un incantevole volto di donna. Il viso tentatore era quello della Nobildonna Vittoria d’Avulso, che aveva fatto perdere la testa al Carafa. Ancora oggi, a Napoli, una donna che reca solo guai è detta ‘bella come il diavolo di Mergellina’.
Dea uguale viaggio?: nell’ipocrisia, nei tristi, malsani pregiudizi di donne nei confronti di altre donne, noi che dovremmo essere sorelle e unite di quella forza che la Natura già ci dona semplicemente perché donne, creatrici, mestruate sempre, portatrici partorienti di energia.

Tale era dunque l’ideale della buona educazione, della sofrosine per le fanciulle. E’ il tutore della giovinetta – padre o nonno o tutore legale -, nel momento giusto, a scegliere il marito decidendo per lei e senza che il consenso dell’interessata fosse necessario. La principale ragione del matrimonio era di ordine religioso: ci si sposava per avere dei figli maschi, almeno uno che perpetuasse la razza e assicurasse a suo padre il culto che questi aveva dedicato ai suoi antenati, indispensabile per la felicità del defunto nell’al di là (tutta la vita era scandita dal ritmo delle feste religiose della famiglia, del demo, della città e dalla minuziosa esecuzione dei riti ereditati dagli antenati). Le fanciulle potevano sposarsi appena raggiungevano la pubertà, verso i 12 o 13 anni ma, in genere si aspettava che ne avessero 14 o 15. Esiodo consigliava all’uomo di sposarsi verso i 30 anni con una fanciulla di 16 (“le opere e i giorni”, vv. 696-698).

Il matrimonio legittimo fra un cittadino ed una figlia di cittadino era caratterizzato ad Atene dall’engyesis (“consegna di un pegno”) ch’era più di un semplice fidanzamento.

Era in realtà un accordo che si ha ragione di credere avesse luogo presso l’altare domestico; una convenzione orale ma solenne fra due persone: da una parte il pretendente, dall’altra il kyrios della fanciulla che era il padre, se ancora in vita. Ci si scambiava la stretta di mano e qualche frase rituale (da “La fanciulla dai capelli corti”, Menandro, vv.435-437):
PATAICOS -ti do questa fanciulla perché metta al mondo dei figli legittimi.
POLEMON – Io l’accolgo.
PATAICOS – Aggiungo una dote di tre talenti (il talento valeva 6.000 dracme, n.d.r.)
POLEMON – L’accolgo con piacere.
“Abbiamo le cortigiane per il piacere, le concubine per le cure quotidiane, le mogli per darci dei figli legittimi ed essere le custodi fedeli delle nostre case”. (Pseudo-Demostene, ‘Contro Neaira’, 122). E ancora, da Esiodo, ‘Le opere e i giorni’, vv. 376-377: “Abbi un figlio unico (…) E’ così che la ricchezza cresce nella casa.”.

Ben diversa era la situazione quando a volersi separare era la moglie, collocata dalla legge in una condizione d’endemica incapacità giuridica. La donna aveva una sola possibilità:

Una singolare tela, che va sotto il nome di ‘San Michele che calpesta il demonio’ o anche ‘Diavolo di Mergellina’, è conservata nella Chiesa di Santa Maria del Parto a Napoli.

Italia, i dati: dall’inizio del 2016, almeno 58 donne sono state uccise dal partner o dall’ex fidanzato. Tornando indietro nel tempo al gennaio 2015, risultano 155 le uccisioni. Telefono Rosa denuncia 9.000 casi di violenza e altri mille di stalking; quindi, una legge che non basta.
Una donna su tre (circa 6 milioni e 788mila persone) ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nel corso della vita. La percentuale è il 31,5% delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni. Il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% (un milione e 157mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652mila) e il tentato stupro (746mila).

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Un marito aveva sempre il diritto di ripudiare la propria moglie, anche senza alcun motivo valido. L’adulterio della donna, quando giuridicamente accertato; rendeva addirittura obbligatorio il ripudio, pena l’atimia per il marito che non lo intimasse.

Curioso che, ancora oggi, si debba rimarcare che a una donna la libertà spetta di diritto, per nascita. 
La mia è una storia come tante, e per raccontarla volo indietro nel tempo, al 2001, in un’apparentemente tranquilla cittadina di provincia, la mia Nuoro: una richiesta di divorzio dall’uomo che era mio marito, tre tentativi di omicidio subìto dei quali l’ultimo, per strangolamento e accoltellamento, avvenuto davanti agli occhi dei nostri quattro figli, allora tutti minori.
Sospesa tra la vita e la morte, un limbo.
Di quei giorni ‘non miei’ – tre anni di distacco dalla vita, dal mondo – porto, voglio portare, il ricordo nebuloso; incerto.
Infiniti perché, il pozzo profondo della depressione, il buio e l’alcol, la profonda crisi artistica, intima: perché ero viva, perché io e perché a me, perché i nostri bambini avevano dovuto assistere a tutto questo, perché lui aveva tentato il suicidio, perché lui a me, dove avevo sbagliato, come e ancora perché…e lui, che fino al giorno prima aveva ripetuto di amarmi alla follia.

e offensivo nei confronti delle sorelle che, per mano di un amore malato hanno perso e perdono la vita, o il sorriso o la speranza…donne che, in ogni modo, si sono perse dentro e non sempre riuscendo a ritrovarsi.
Troppi nomi, tabù e colpe, croci.

Viaggio in una chiesa misogina, in uno Stato che tenta di curare la donna vittima di violenza, tampona le ferite ma, paradossalmente, lo fa senza intaccare la radice della violenza, senza punire severamente chi la attua.

Si muore a “mani nude”, per le percosse, strangolamento o soffocamento: così nel 2013 è morta, uccisa, una donna su tre.

A rilevarlo è il rapporto Eures che mette in relazione tale modalità di esecuzione ad un “più alto grado di violenza e rancore”: 51 vittime, pari al 28,5% dei casi; in particolare le percosse hanno riguardato il 5,6% dei casi, lo strangolamento il 10,6% e il soffocamento per il 12,3%. Di poco inferiore la percentuale dei femminicidi con armi da fuoco (49, pari al 27,4% del totale) e con armi da taglio (45 vittime, pari al 25,1%).
La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le donne che subiscono più violenze fisiche o sessuali sono le separate e le divorziate; i casi più gravi di violenze vengono perpetrati dai partner attuali o ex compagni. Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Gli sconosciuti sono nella maggior parte dei casi autori di molestie sessuali (76,8%).
Aumentano le violenze che hanno causato ferite (dal 26,3% al 40,2% da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8% del 2006 al 34,5% del 2015). Il 16,1% delle donne (3 milioni e 466mila) ha subìto stalking nel corso della vita, nella metà dei casi dall’ex partner.
Oggi e ieri la violenza continua a nutrirsi di mala cultura, di omertà, di informazione perversa, di Non legge. Denunciamo la violenza e ovunque: oggi, domani e sempre. Come madri, insegnamo la Non violenza e che finalmente, in questa Italia da emergenza femminicidio, si faccia una Legge, giustizia vera contro la violenza.

Da Posidippo, frammento 11: un figlio lo si alleva comunque, anche se si è poveri, mentre una figlia la si espone anche se si è ricchi.