Lo Stato non è solo finanziamenti pubblici, ma anche leggi e doveri uguali per tutti. Pochi, al sud, reclamano il rispetto di questa regola. C’è un grande silenzio su questo nodo cruciale da parte della grande maggioranza della società meridionale.
IL SILENZIO DEL SUD
Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.
Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.