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COSENZA E IL PARCO DELLA SILA di Helene Blignaut – Numero 9 – Dicembre 2017

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COSENZA E IL PARCO DELLA SILA

 

Helene-Blignaut_verde

Sono in giro a Cosenza di sotto, un quadrato tagliato in diagonale dove faccio la spesa di cipolle e origano e scivolo tra moda, gioielli e sculture e poi me ne vado laggiù, oltre un fiume che non manca di ricordarci quanto i Goti piansero Alarico.

E m’infilo su per una strada stretta dove severi edifici di pietra antica
mi scortano ai fianchi, interrotti da vicoli e scalette storte
che salgono verso un non si sa dove.

 

E passo la cattedrale sonnolenta a ogni ora. Arrivo in cima, sulla piazza dei nobili palazzi e del Teatro Rendano e il verde di un giardino che mi porta più su, lungo la strada di curve a S e giunge al gran Castello Svevo. E poi scendo e riscendo.

 

Da sotto, mi volto a guardare questo agglomerato a cono, un insieme di elementi scuri intrecciati come dita di mani giunte in preghiera, ma dalla modernità del quadrato, siamo pronti per risalire ancora. Si va “in Sila”. E’ un giugno talmente verde che ci colora pelle e pensieri. Andiamo con la macchina e mi prende un profondo senso di colpa:

 

 tra queste foreste eterne e silenziose, tra i cespugli dove occhieggiano bonari i lupi e una fauna timida, e i fiori di ginestra 

vibrano ovunque in macchie gialle,

mi domando perché non siamo saliti a cavallo. Il rumore di zoccoli potrebbe essere gradito ai padroni del parco. Il rombo dei motori del progresso suona come una violazione, così tento di compensare parlando a bassa voce. 

 

I boschi, i laghi e le pianure sterminate dove riposano mucche e buoi e passeggiano greggi di pecore, mi fanno apprezzare quanto la lingua italiana sia esatta: 

il participio passato del verbo splendere non esiste. E’ un verbo difettivo e dice tutto nel suo participio presente: splendente.
Da sempre e per sempre. Niente di compiuto e tutto in divenire.


Molto più alto, tra dirupi vertiginosi, mi aspetta un borgo antichissimo, Longobucco, dove donne pazienti tessono le fibre di ginestra e c’è qualcuno che tinge le pezze con frutta e liquirizia, e tra i vicoli sono stesi copriletti e tovaglie, sipari multipli che mi portano a un belvedere. Da qui, la maestosità della natura si offre alla vista e ancora m’impone il silenzio, mi rallenta l’anima in pensieri leggeri. Ma è impossibile fermarsi. La macchina è già stata messa in moto. Mi arrendo. Scendiamo alle porte del parco, a Camigliatello, per comprare funghi profumati da svenire di fame e, già che ci sono, tovaglie e tappeti dal tatto rustico come una franca stretta di mano.

 

Ora, di nuovo giù, nel quadrato di Cosenza moderna, voglio comprare ancora origano e liquirizia che, nonostante l’accurata confezione, lasceranno per sempre nella mia valigia
un ineffabile profumo di Calabria.

 

 

 

 

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