TERRA LUCANA di Delio Colangelo – Numero 3 – Gennaio 2016

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turistiche, il primo collegamento sarà ovviamente al brand Matera 2019 che contiene una ricca offerta culturale – effettiva e potenziale – innervata di tradizione e innovazione; verranno indicate, poi, la costa ionica, dove tra la sabbia bianca e le Tavole Palatine hanno trovato posto imponenti villaggi turistici, e le rocce a picco sul mare della sofisticata perla tirrenica. Infine, vi saranno sporadiche citazioni dell’area del Vulture Melfese, con i suoi castelli federiciani e il corposo Aglianico, del brivido del volo angelico nelle Dolomiti Lucane e de “l’infinita distesa delle argille aride” osservata da Carlo Levi. Eppure, vi è un’ampia area interna, rigogliosa di natura e cultura, che è ancora poco conosciuta e che rappresenta una sfida fondamentale per i policy maker e per gli operatori economici che desiderano concretizzare attenzione, interesse e flussi crescenti verso la terra lucana.

i 12 siti di importanza comunitaria (SIC), 2 zone di protezione speciale (ZPS), 3 riserve regionali, 3 fiumi e 5 laghi di cui 2 naturali; in sintesi: una straordinaria varietà di ecosistemi e paesaggi, caratterizzati da notevoli risorse faunistiche e floristiche1.

Insieme al Parco Nazionale del Pollino e ai due parchi regionali di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane e della Murgia Materana, le aree protette della Basilicata racchiudono il 25% del territorio regionale, rappresentando quella “Basilicata Verde” da sempre identificata come asse portante dello sviluppo sostenibile della regione, ad oggi potenzialità solo in parte espressa. 
Il Parco dell’Appennino Lucano si estende nell’area sud-ovest della regione e abbraccia quattro ambiti territoriali: l’Alta Val D’Agri, la Val Camastra, l’alta Val Melandro e il Lagonegrese. In numeri

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1Per approfondire l’aspetto faunistico e floristico dell’area protetta, si veda la pubblicazione realizzata dall’Ente Parco, disponibile al link: http://www.parcoappenninolucano.it/apl/portal?c=35
2Nel 2013 La Fondazione Eni Enrico Mattei ha realizzato il progetto “Green Road Basilicata”: una serie di itinerari tematici per scoprire la cultura e la natura dell’area protetta seguendo il percorso della 598 Fondo Valle d’Agri.
3Per approfondire lo stato attuale e le potenzialità turistiche del Parco si veda la sintesi del rapporto realizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei in collaborazione con il Ciset, Centro Internazionale di studi sull’economia turistica, pubblicato negli atti del XXXIV convegno Aisre, Palermo 2013: http://www.grupposervizioambiente.it/aisre_sito/doc/papers/De%20Filippo.pdf
4Per un’analisi delle potenzialità di un’offerta integrata si rimanda alla ricerca realizzata dalla Fondazione Eni Enrico Mattei presentata alla VII Riunione Scientifica della Sistur, Università di Foggia 2015, i cui atti sono di prossima pubblicazione.

TERRA LUCANA

 

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Se si pensa alla Basilicata e alle sue risorse 

Una parte consistente dell’area interna lucana, che Rocco Papaleo ha in parte rappresentato con quel suggestivo percorso (Basilicata) coast to coast, è costituito dal Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese.

Un modo suggestivo per godere di questo paesaggio che muta, delle sue peculiarità e dei suoi colori, è quello di percorrere la 598 Fondo Valle d’Agri, che collega la costa ionica con l’autostrada A3, e attraversa buona parte dell’area protetta2. Partendo proprio dalla costa verso la parte interna della regione, si abbandonano le bianche dune e lo struggente paesaggio dei calanchi per varcare i confini del Parco. A segnalare l’ingresso nell’area protetta è lo scenario mozzafiato della Murgia di Sant’Oronzo: alti pinnacoli conglomeratici e pareti a strapiombo che sono bastioni naturali, simili a montanti di un antico cancello. Per alcuni kilometri si costeggia la Diga del Pertusillo, un lago artificiale realizzato negli anni ’60 che, pur avendo in parte stravolto il paesaggio della valle, l’ha arricchito di un nuovo e importantissimo habitat dove trovano rifugio numerose specie tra cui la lontra europea. Attraversando le alte vette della Val d’agri, come il Monte Raparo e il Monte di Viggiano, si può osservare come il fiume Agri abbia modellato un’ampia vallata, aspra e montuosa. Il Monte di Viggiano e, più a sud quello del Sirino, d’inverno diventano location di sciate e di ciaspolate notturne, mentre d’estate sono attraversati dai turisti amanti del trekking. L’ambiente montuoso è poi caratterizzato da importanti faggete come quelle di Arioso e Monte Ruggio, l’abete bianco dell’Abetina di Laurenzana e le numerose specie di orchidee che si trovano nella zona di Moliterno.

La geografia dei luoghi, assecondando le correnti della storia, ha consegnato al Parco dell’Appennino Lucano un patrimonio prezioso e quanto mai vario: dai borghi ai monasteri eremitici e comunitari, dai castelli e le roccaforti ai palazzi nobiliari di epoca moderna.

Vanta un territorio caratterizzato da importanti peculiarità archeologiche la Val d’Agri, di cui la più significativa è l’Area Archeologica di Grumentum, così come interessanti sono il sito archeologico di Torre di Satriano, che ha restituito tracce di frequentazione antropica del II millennio a.C. il Santuario di Serra Lustrante ad Armento.
Non possono mancare prodotti tipici di prima qualità. All’interno del parco sono presenti due prodotti a marchio IGP: il formaggio “Canestrato di Moliterno Stagionato”, cui è dedicata una sagra nel mese di agosto, e il fagiolo di Sarconi, coltivato in oltre 20 ecotipi locali. A marchio DOC è, poi, il vino Terre dell’alta Val d’Agri, prodotto nei comuni di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno. 
Va, infine, ricordata la risorsa petrolifera contenuta nell’area della Val d’Agri, che rappresenta il più grande giacimento on-shore d’Europa. L’intensa attività estrattiva – che corrisponde a circa il 7% del fabbisogno nazionale – se da una parte incide sul territorio e sull’ambiente, dall’altra viene limitata e contenuta proprio dall’azione di conservazione del Parco.

L’Ente Parco, infatti, nasce nel 2007 dopo anni di riflessioni e dibattiti ed è il più giovane d’Italia. Parallelamente all’attività di conservazione, ha attivato soprattutto negli ultimi anni una serie di iniziative di promozione e valorizzazione delle proprie risorse3.

Un importante successo è stato l’ottenimento nel 2013 della Carta Europea del Turismo Sostenibile, che ha permesso al Parco di entrare nel network delle aree protette europee e di attivare azioni per lo sviluppo sostenibile del territorio. Recentemente, vi sono stati gli eventi “Fuori Expo” organizzati a Milano in concomitanza con l’Esposizione Universale; il più importante, dal titolo “Appennino nel Mondo”, ha messo insieme Il Parco dell’Appennino Lucano e il Parco dell’Appennino Tosco-Emiliano per una riflessione sulle potenzialità del turismo di ritorno per le aree protette. Altra iniziativa importante è il progetto “NaturArte”, che consiste in una serie di iniziative di musica, trekking naturalistico, tradizioni popolari e degustazioni enogastronomiche realizzate nelle quattro aree protette lucane e finalizzate non solo a incrementare l’offerta turistica, ma anche ad avvicinare i parchi tra loro. Ciò dimostra la consapevolezza di quanto sia fondamentale la costruzione di un’offerta integrata4 di tutte le risorse naturalistiche e culturali dei parchi come unica strategia vincente per promuovere una Basilicata che non è solo Matera e le coste.

 

LA MEDITERRANEE ET NOUS di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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mais nous ne nous en rendons compte qu’en juillet, lorsque nous emmenons notre familles «à la mer”, et que nous voyons passer des formes étranges à l’horizon, sans nous demander ce qu’elles font là et pourquoi. Nous vivons avec une mer qui source à la fois de bien-être et de problèmes, et il est bon d’en comprendre les qualités et les limites.
Selon les chercheurs, le terme «méditerranée» a de nombreuses significations.

Fernand BRAUDEL disait «la méditerranée est un millier de choses mises ensemble. Ce n’est pas un paysage, mais un nombre infini de paysages. Ce n’est pas une civilisation, mais un certain nombre de civilisations superposées les unes aux autres. Cela est dû au fait que la méditerranée est un carrefour très ancien. Depuis des milliers d’années tout s’y rencontre, compliquant et enrichissant son histoire “.

Nous devons être conscients de ses caractéristiques et ses limites, et prendre des mesures pour réduire ces dernières au minimum, pour le bénéfice des générations futures.

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LA MEDITERRANEE ET NOUS

 

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Pour nous méridionaux, qui connaissons les difficultés que nos ancêtres ont dû affronter pour survivre aux dangers provenant de la mer, cette phrase semble quelque peu optimiste, mais, dans l’ensemble, il est difficile d’être en désaccord avec le jugement historique de BRAUDEL. Un premier aspect de la méditerranée est son climat relativement doux, du moins sur les côtes, grâce au “chauffage central” que constitue le désert du Sahara, qui, dans notre partie du monde, déplace l’équateur thermique beaucoup plus au nord que l’équateur géographique.
Ce n’est pas par hasard que certains géographes ont défini la méditerranée comme la zone qui “s’étend de la limite nord des oliviers à la limite nord de la palme.” Soyons clairs: le climat de la méditerranée n’est pas idyllique, en raison de ses violentes tempêtes et du froid en hiver, mais il est certainement meilleur que celui de beaucoup d’autres régions du monde situées aux mêmes latitudes.
En revanche, les terres bordant la méditerranée sont soumises à des éruptions fréquentes, des tremblements de terre et des raz de marée qui ont toujours rendu la vie de ses habitants dangereuse. Elles sont par ailleurs, en grande partie montagneuses, ce qui pendant des siècles à empêché l’agriculture de se développer au-delà de la simple subsistance. Aujourd’hui nous voyons nos collines bien entretenues et couvertes de cultures, parfois de pointe, mais c’est le résultat du génie italien et des progrès de la technique.
En dépit de ces problèmes, la région méditerranéenne a attiré depuis la préhistoire de nombreux groupes ethniques essayant d’échapper à une situation insupportable et de migrer vers ses rives à la recherche d’une meilleure qualité de vie. Bien sûr, les nouveaux arrivants n’avaient aucun scrupule à exterminer, asservir, ou soumettre ceux qui vivaient dans ces lieux choisis par ces masses humaines pour s’y établir.
C’est seulement très récemment que les migrations de masse ont pris un caractère moins violent, simples fuites devant la guerre et l’injustice, même si de nombreux gouvernements ont exploité ces pauvres gens pour parvenir à leurs propres fins politiques; cela explique peut-être aussi les réactions des résidents des zones privilégiées de la méditerranée qui ne se sont pas toujours montrés très accueillants. Ces arrivées massives de l’est et du sud nous font comprendre pourquoi notre mer, où se croisent divers flux, doit être considéré comme un «carrefour stratégique», militairement et, surtout, commercialement.
En fait,

la «nouvelle route de la soie”, un énorme flux de marchandises qui transporte des matières premières et des produits manufacturés entre l’Asie et l’Europe, traversant le détroit de Malacca , le golfe d’Aden, Bab-el-Mandeb et Suez, pour entrer ensuite dans le bassin méditerranéen.

En conclusion, la méditerranée est notre principale source de bien-être et peut devenir le moteur du développement de notre Sud et plus généralement de l’ensemble de l’Italie côtière.

Il en dérive le concept actuel de «méditerranée élargie», qui comprend également la mer rouge, jusqu’au détroit de Bab-el-Mandeb et à la corne de l’Afrique, des zones où les événements ont des répercussions immédiates sur nous. Il suffit d’observer que, pendant les huit années où la piraterie a agi sans que personne ne s’y oppose de 2000 à 2008, le prix des céréales a augmenté, alors que le transit à travers le canal de Suez chutait de 20%, conduisant à un net appauvrissement de l’Egypte .
En fait, la méditerranée est une mer fermée, presque comme un bonbon bien emballé, dont le papier est tordu aux extrémités de manière à en retenir le contenu. Pour la méditerranée, ces extrémités sont précisément le détroit de Gibraltar et le canal de Suez / Bab-el-Mandeb, dont les “propriétaires” peuvent étrangler à leur guise la vie économique de tout le bassin.
A l’intérieur, la ligne principale de la circulation court vers l’est, avant de passer près de la côte nord-africaine, puis de traverser le détroit de Sicile et de continuer en pleine mer à l’est jusqu’à Suez. De cette ligne partent d’autres flux en direction nord-sud, vers les ports de la rive nord, liées à l’Europe centrale et orientale.
Le trafic maritime en méditerranée est cependant surtout un segment de ce que l’on appelle aujourd’hui

Nous avons vu que, dans les années d’activité maximale de la piraterie, la méditerranée s’est appauvrie. Ceci est un phénomène qui se répète: il y a des siècles, dans les années qui ont suivi la prise de Constantinople, le trafic avec l’Asie s’est déplacé vers la “route du Cap “, appauvrissant les populations méditerranéennes par la hausse des prix et de laissant nos ports à moitié vide. Le risque est que ce phénomène se répète!
Notre destin méditerranéen nous impose donc des priorités stratégiques claires. Aucune défense de notre qualité de vie ne sera possible si nous n’agissons pas sur deux fronts:
– le contrôle des zones marines, afin de réduire l’anarchie et la criminalité en mer, et de protéger les principales lignes de circulation contre ceux qui veulent les attaquer, dans la méditerranée élargie et, si nécessaire, même au-delà;
– la poursuite du développement de l’économie maritime, un secteur dont le potentiel de croissance est énorme: nos ports sont très inadaptés aux caractéristiques et aux besoins des marchands aujourd’hui. Il suffit de penser que seul Gioia Tauro, un noeud dans le trafic international des conteneurs, est en mesure , par Sto arrivando! flotte et de ses équipements, de répondre à ces besoins.

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le commerce international a toujours été le meilleur moyen de gagner leur vie pour les peuples de la méditerranée. Cela nous amène à la définition selon laquelle cette mer est «le point focal du commerce, des richesse accumulées, qui changeaient de mains et parfois se perdaient à jamais, de sorte que la méditerranée peut être perçue par son impacts sur des zones plus étendues.”

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THE MEDITERRANEAN AND US di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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but we only realize it in July, when we bring our families to bathe in it, and see strange shapes on the horizon without wondering what they’re doing and why. We live in a sea that is simultaneously a source of well-being and problems, and it is good to understand its qualities and limitations.

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THE MEDITERRANEAN AND US

 

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According to experts, the term “Mediterranean” has many meanings. Fernand BRAUDEL said, “the Mediterranean is a thousand things together. It is not a landscape, but an infinite number of views. It is not a sea, but a sequence of seas. It is not a civilization, but a number of civilizations superimposed on each other. This is due to the fact that the Mediterranean is a very ancient crossroad. For thousands of years everything has crossed it, complicating and enriching its history “.
As Southerners, we know the difficulties that our ancestors faced to survive the dangers coming from the sea, this sentence may appear somewhat optimistic, but, overall, you can not disagree with BRAUDEL in his historical judgement.
A first aspect of the Mediterranean is the relatively mild climate, at least on the coasts, thanks to the “central heating” given by the Sahara desert, which moves the thermal equator, in our part of the world, much more north than the geographical one.
Not surprisingly, some geographers have defined the Mediterranean as the area that “extends from the northern limit of the olive tree to the northern limit of the palm tree.” Let’s be clear: the climate of the Mediterranean is not idyllic, because of its violent storms and cold weather in winter, but it is certainly better than that of many other areas of the world at the same latitudes.
By contrast, the lands bordering the Mediterranean are subject to frequent eruptions, earthquakes and tidal waves that have always made life dangerous for the inhabitants. These areas are, moreover, largely mountainous and this for centuries has prevented the development of agriculture beyond mere subsistence. Today we see our well-groomed and filled with crops hills, but this is the result of Italian genius and technical advances.
Despite these problems, the Mediterranean area has attracted, since prehistoric times, numerous ethnic groups that tried to escape from an unbearable situation and migrate to its shores in search of a better quality of life. Of course, the newcomers made no bones about exterminating, enslaving, or otherwise subduing those who lived in the chosen places.
Only in very recent times the mass migrations have taken a less violent character, becoming a simple fleeing from war and injustice, although many governments have exploited these poor people for their own political purposes; perhaps this is also why the reaction of the residents in the privileged zone of the Mediterranean is not always welcoming. These mass arrivals from the east and from the south make us understand why our sea, where many flow lines cross, should be considered a “strategic crossroad”, militarily and, above all, commercial.
In fact, international trade has always been the best way to earn a living for the people of the Mediterranean. This brings us to the definition that this sea is “the focal point of trade, accumulated wealth, which changed hands and sometimes was lost forever, so that the Mediterranean can be measured by its broader implications.”
Hence the current concept of “Enlarged Mediterranean”, which also includes the Red Sea, to the Strait of Bab-el-Mandeb and the Horn of Africa, areas in which events have immediate repercussions on us. Suffice it to say that in the eight years in which piracy has acted with no one contrasting it, from 2000 to 2008, the price of cereals increased while transits through the Suez fell by 20%, resulting in a net depletion of Egypt .
In fact, the Mediterranean is a closed sea, almost like a well packaged candy, where the paper is twisted at the end, so as to retain the contents. For the Mediterranean, these twisted ends are precisely the constrictions of Gibraltar and the Suez / Bab-el-Mandeb, whose “owners” can strangle the economic life throughout the basin as they please.
Inside it, the main traffic line runs eastward, first passing near the North African coast, then crossing the Strait of Sicily and taking the eastern part, in the open sea, up to Suez. From this line, other north-south direction flows branch off, towards the ports of the north shore, connected with Central and Eastern Europe.
But the maritime traffic in the Mediterranean is more than anything a segment of what today is called the “New Silk Road”, a huge flow of merchants transporting raw materials and manufactured goods between Asia and Europe, passing through the Strait of Malacca , the Gulf of Aden, Bab-el-Mandeb and Suez, to then enter the basin.
We have seen that, in the years of maximum development of piracy, the Mediterranean has been depleted. This is a phenomenon that repeats itself: even centuries ago, in the years following the capture of Constantinople, the traffic with Asia moved on “Cape Route”, impoverishing the Mediterranean populations with rising prices and leaving our ports half-empty. The risk is that this phenomenon will repeat again!
Our Mediterranean destiny therefore requires some clear strategic priorities. No defense of our quality of life will be possible if we do not act on two fronts:
– the control of marine spaces, so as to reduce the illegality and crime at sea, and the protection of the main traffic lines against those who wish to attach them, in the enlarged Mediterranean and, if necessary, also beyond;
– the further development of the maritime economy, a sector whose growth potential is enormous: our ports are woefully inadequate compared to the characteristics and needs of merchant ships today. Suffice it to say that only Gioia Tauro, a node in the international container traffic, is able, for its depths and equipment, to meet these needs.
In conclusion, the Mediterranean is our main source of well-being and can become the engine of the development of our South, and more generally of the whole pet of Italy that faces it. We must be aware of its features and its limitations, and take action to minimize the latter for the benefit of the generations that will follow us.

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FROM FILANGERI TO THE AMERICAN CONSTITUTION di Giannicola Sinisi – Numero 4 – Aprile 2016

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The revolutions of those times took up the historical scene, with the cruelty and generalizations that came with them, destroying the greatness of the intellectual turmoil and dimming the power of thought that lightened the era.

FROM FILANGERI TO THE AMERICAN CONSTITUTION

 

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Behind such revolutions was the need to establish a new status for the individuals and for the population, after centuries of obscurantism; the principles of democracy, forgotten since the time of Athens, came back to life in the passionate discussions of philosophers, legal experts and knowledgeable citizens.
All the interconnections of the European intellectuals were working to contribute to these new ideals, but soon they realized that Europe was not the right continent to apply these ideals, due to monarchical resistance and the persistence of feudalism.
On the contrary, the 13 ex-colonies of North America, the New Nation, were the perfect place to experiment with these new ideals, a sort of world laboratory for modernity.
When reading the works of authors of that time it is possible to grasp not only the actual content, but a surplus of enthusiasm and a universal idealism that went beyond the tight borders and the barriers of the single States, in order to face the entire world and the whole of humanity.
Francesco Mario Pagano, Neapolitan jurist and intellectual, believed that “State and citizenship” were words to abolish from the vocabulary of a modern society.
Antonio Genovesi elaborated the principles of “public happiness” in his economy lectures at the University of Naples.
Gaetano Filangieri in Naples had already published the first two volumes of his treaty on the “science of legislation” in 1780, trying to consider rules that could work for the whole world, outlining the road to grant freedom of the individual and development of the human being.
The visionary power of Filangieri is still appreciated, declining some of the aspects he elaborated: abolition of excise duties to guarantee development; freedom of the press to enable a righteous formation of the public opinion; the right to a fair trial are only few of the colors with which the young Filangieri from Naples tried to depict the rules for a new humanity.
And he was not alone.
The intellectual Masonic net of the times, before the papal bulls that would claim its illegality, has surely had a leading role in the promotion and divulgation of the new ideals, and determined the encounter of the innovative power of the young Neapolitan philosopher and jurist, Gaetano Filangieri, with an undisputed leader of the birth of the New Nation, the United States of America, Benjamin Franklin, both exponents of the Free Masonry.
Gaetano Filangieri was in Naples between 1780 and 1783, at the court of the King, already followed by a consistent fame among intellectuals thanks to his work, and kept a strong correspondence with many of these.
After taking part in the Committee of Five, held by Thomas Jefferson in 1776, in order to corroborate the New Nation in the European courts, Benjamin Franklin was sent to Paris, at the court of King Louis XVI of France, as the first of the American ambassadors.
From 1779 to 1781 Franklin became Master of the Lodge of the Neuf Soeurs, one of the most important expressions of the French Masonry.
In 1781 Luigi Pio, a young secretary representing the Kingdom of the Two Sicilies in Paris and another member of the Masonry, obtained the diplomatic role at the same court, becoming an essential channel between Filangieri and Franklin.
Franklin was astonished by Filangieri’s work, and from that moment a strong correspondence started between them, influencing the liberal principles of the first parliamentary and republican democracy of the planet.
The human and personal differences between Filangieri and Franklin were unbridgeable, yet their destinies travelled parallel from 1781 to 1788, up to the point when Tuberculosis broke Filangieri’s young life; he had yet to turn 35.
Young, idealist and intellectual the first; consummate politician, scientist and entrepreneur the latter, they only shared the fact they were great innovators, able to elaborate theories or inventions without any conformism.
Gaetano Filangieri had idealized Philadelphia and Pennsylvania to the point of seeing it as a land where the ideals of freedom that he supported with such vigor had already found life.
In a letter of the 24th August 1782, Filangieri writes to Franklin: “From childhood, Philadelphia has called for my eyes. I have grown so accustomed to seeing it as a land where I could be happy, that my imagination cannot get rid of this idea”.
Everything had started with a letter dated 11th September 1781 from Luigi Pio to Filangieri, where he explained that Franklin wished to encouraged him to obtain the work “Science of Legislation” as it was to be “more useful in his Nation, terribly lacking in aspects of this topic.”
A rich correspondence that followed in the years, in which Franklin also asked Filangieri for suggestions, as well as opinions on the Constitution of the 13 American States, sending him a copy of the book printed in Philadelphia.
This book is lost, and probably is still in some private library of the heirs of the jurist and philosopher.
The correspondence ended with a letter from the 14th October 1787 that Franklin, now President of the State of Pennsylvania, wrote to Filangieri to tell him of the approval of the American Constitution, adding a freshly printed copy of it.
Together with the news, Franklin asked for nine copies of the third volume on Criminal Legislation, and eight copies for the next publications on the Science of Legislation by Filangieri.
The third volume had also been the subject of a letter from Filangieri to Franklin, who was still in Paris, on the 21st March 1784, in which Filangieri sent a sheet from that book, marked by the letter “V”.
That page, recognizable also thanks to stylistic anomalies, included the proposal to establish that, as the first act of the process, there should be the summons to the accused, that is later found in 1791 in the Sixth Amendment of the US Constitution which provides for the right of the accused to be informed of the accusation.
The tribute sent by Franklin on the 14th October 1787 arrives in Naples on July 1st 1788, by which time tuberculosis had begun to undermine the health of Filangieri, that will pass away after three weeks, on the 21st July 1788 in Vico Equense.
It will be Filangieri’s wife, Charlotte Frendel, to respond to Benjamin Franklin, with a letter sent from Naples September 27, 1778 with which she announced the death of her spouse and followed through with Franklin’s request, thus providing the certainty that those copies of Filangieri’s work arrived at destination.
This story, as I said, describes the visionary power of the legal and philosophical thought of Filangieri, but also tells us about the importance of Naples at that time, when it was the centre of a European and international network of intellectuals who set out to forge the society and to regulate the future and the changes, with an eye to the whole world.
It questions us on how much we still need a network of modern Filangieris and Franklins to take charge of processing new rights and duties of which we all feel the need, with the same universal and reforming vision, thinking about the United States, but not only of America.

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DA FILANGIERI ALLA COSTITUZIONE AMERICANA di Giannicola Sinisi – Numero 4 – Aprile 2016

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Le rivoluzioni di quel tempo hanno preso la scena della storia, con la crudeltà e le generalizzazioni che le accompagnano, distruggendo la grandezza del fermento intellettuale, e smorzando la potenza del pensiero che animò quell’epoca.

DA FILANGIERI ALLA COSTITUZIONE AMERICANA

 

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Dietro le rivoluzioni c’era l’esigenza di stabilire un nuovo status per gli individui e per i popoli, dopo secoli di oscurantismo;

La potenza visionaria di Filangieri si apprezza ancora oggi declinando alcuni dei concetti che egli elaborò:

Le reti degli intellettuali europei erano tutte all’opera per contribuire alla elaborazione di questi nuovi ideali, ma presto si resero conto che l’Europa non era il continente giusto perché questi ideali potessero trovare applicazione per le resistenze che le monarchie, e le sacche del perdurante feudalesimo, vi opponevano.
Al contrario, le Tredici ex Colonie del Nord America, la nuova Nazione, erano il posto perfetto per sperimentare questi nuovi ideali, una specie di laboratorio mondiale per la modernità.
La lettura degli scritti degli autori di quell’epoca consente di cogliere non solo i contenuti, ma anche una carica di entusiasmo straordinaria ed un idealismo universale, che superava gli angusti confini e le barriere dei singoli Stati per guardare al mondo intero ed a tutta l’umanità.
Francesco Mario Pagano, giurista ed intellettuale napoletano, riteneva che “Stato e cittadinanza” fossero parole da bandire dal vocabolario di una società moderna.
Antonio Genovesi elaborava i principi di “felicità pubblica” nelle sue lezioni di economia nell’Università partenopea.
Gaetano Filangieri, nel 1780, a Napoli aveva già pubblicato i primi due volumi del suo trattato sulla “Scienza della legislazione” pensando a regole valide per il mondo intero, indicando la strada affinché gli ordinamenti potessero garantire le libertà dell’individuo e lo sviluppo della persona umana.

ed i principi di democrazia, dimenticati dai tempi di Atene, ritornavano ad occupare le discussioni appassionate di filosofi, giuristi e cittadini illuminati nei salotti e nei luoghi di riunione.

eliminazione dei dazi per garantire lo sviluppo; libertà di stampa per tutelare il corretto formarsi dell’opinione pubblica; diritto ad un processo equo, sono solo alcune delle tinte miracolose con cui il giovane Filangieri da Napoli, dentro il confine del regno dei Borboni, disegnava le regole per una nuova umanità.
E non era il solo.
La rete intellettuale massonica del tempo, prima delle bolle papali che ne determinarono la clandestinità, fu certamente protagonista ed artefice nella promozione e divulgazione dei nuovi ideali e determinò

l’incontro tra la potenza innovatrice del giovane filosofo e giurista napoletano, Gaetano Filangieri, ed un protagonista indiscusso della nascita della Nuova Nazione, gli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin, entrambi esponenti della Libera Massoneria.

Gaetano Filangieri era a Napoli tra il 1780 ed il 1783, alla corte del Re, godendo già di buona fama tra gli studiosi dell’epoca per la sua opera, e mantenendo una fitta corrispondenza con molti di questi.
Benjamin Franklin, dopo aver partecipato al Comitato dei cinque, presieduto da Thomas Jefferson, per la redazione della dichiarazione d’indipendenza delle tredici ex Colonie Americane, del 4 luglio 1776, fu inviato per nove anni a Parigi quale delegato del Congresso dei Tredici Stati Uniti d’America presso la corte di Luigi XVI, per accreditare la nuova Nazione presso le corti europee.
Dal 1779 al 1981 a Parigi fu il Gran Maestro della Loggia delle Neuf Soeurs, una delle più importanti espressioni della massoneria francese.
Nel 1781 Luigi Pio, un giovane segretario di legazione della Rappresentanza del Regno delle Due Sicilie a Parigi, anch’egli massone, ricevette l’incarico diplomatico presso la stessa Corte, e rappresentò il tramite essenziale tra Filangieri e Franklin.

Franklin rimase ammirato dall’opera di Filangieri, e da lì cominciò una corrispondenza fra i due che influenzò principi liberali della prima democrazia parlamentare e repubblicana del pianeta.

Le diversità umane e caratteriali di Filangieri e Franklin erano incolmabili, eppure i loro destini viaggiarono paralleli dal 1781 al 1788, ovvero sino a quando la tubercolosi interruppe la giovane vita di Filangieri che non aveva ancora trentacinque anni.
Giovane idealista ed intellettuale il primo; consumato politico, scienziato e imprenditore il secondo, avevano in comune solo l’essere dei grandi innovatori, capaci di elaborare teorie o di realizzare invenzioni senza alcun conformismo.
Gaetano Filangieri aveva idealizzato Philadelphia e la Pennsylvania fino ad immaginarla una terra dove gli ideali di libertà che egli propugnava con tanta passione avevano già trovato una prima attuazione.
In una lettera del 24 agosto del 1782 Filangieri scriveva a Franklin: “Fin dall’infanzia, Filadelfia ha richiamati i miei sguardi. Io mi sono così abituato a considerarla come il solo paese ove io possa esser felice, che la mia immaginazione non può più disfarsi di questa idea”.

Tutto era cominciato con una lettera dell’11 settembre 1781 di Luigi Pio, segretario di legazione del Regno delle Due Sicilie alla corte di Parigi, a Gaetano Filangieri, con la quale gli faceva sapere che Franklin lo incoraggiava a fargli avere il volume della Scienza della Legislazione

che riguardava la legislazione criminale “perché questa sarà più utile per la sua nazione, mancante tutt’ora di molti lumi su quest’articolo.” 
Una ricca corrispondenza scandì gli anni successivi, in cui Franklin chiese anche consigli al giovane studioso napoletano, financo un parere sulle costituzioni che dopo il 1776 si erano date le Tredici ex colonie d’America, inviandogli una copia del libro stampato a Philadelphia che le raccoglieva.
Si tratta di un libro perduto e che probabilmente si trova ancora in qualche biblioteca privata degli eredi, forse per linea femminile, del giurista e filosofo napoletano, in qualche palazzo di famiglia.
La corrispondenza si chiuse con una lettera del 14 ottobre 1787 che Benjamin Franklin, ormai Presidente dello Stato della Pennsylvania, scrisse a Gaetano Filangieri per comunicargli l’approvazione, il 17 settembre 1787, della Costituzione degli Stati Uniti d’America, allegando una copia del testo della Costituzione fresca di stampa della sua tipografia.
La notizia si accompagnò ad una richiesta di poter avere 9 copie del terzo volume, sulla legislazione criminale, e 8 copie degli altri successivi volumi della Scienza della Legislazione, nel frattempo pubblicati dal Filangieri.
Il terzo volume era stato oggetto anche di una lettera di Filangieri a Franklin, ancora a Parigi, del 21 marzo 1784, con la quale gli inviava un foglio di quel tomo contrassegnato dalla lettera “V”.
Quella pagina, individuabile anche per le anomalie stilistiche, includeva la proposta di stabilire che, come primo atto del processo, vi sia l’intimazione al reo, che troveremo nel 1791 nel VI emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti che prevede il diritto dell’accusato di essere informato dell’accusa.
L’omaggio inviato da Franklin a Filangieri il 14 ottobre 1787 giunse a Napoli il 1º luglio 1788, quando ormai la tubercolosi aveva cominciato a minare più gravemente la salute del nostro, che si spegnerà tre settimane dopo, il 21 luglio 1788, a Vico Equense.
Sarà la moglie di Filangieri, Charlotte Frendel, a rispondere a Benjamin Franklin, con una lettera spedita da Napoli il 27 settembre 1788, con la quale comunicò il decesso del coniuge e diede seguito alla richiesta di Franklin, così fornendoci la certezza che quelle copie dell’opera di Filangieri giunsero a destinazione.

Questa storia, come ho detto, descrive la potenza visionaria del pensiero giuridico e filosofico di Filangieri, ma ci racconta anche l’importanza di Napoli in quell’epoca, quando era al centro di una rete europea ed internazionale di intellettuali

che si proponevano di forgiare la società di quel tempo e di disciplinarne il futuro e i cambiamenti, con lo sguardo rivolto al mondo intero.
E ci interroga su quanto avremmo bisogno ancora oggi di una rete di moderni Filangieri e Franklin che si facciano carico di elaborare i nuovi diritti e doveri di cui tutti avvertiamo l’esigenza, nella stessa visione universale e riformatrice, pensando agli Stati Uniti, ma non solo d’America.

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IL MEDITERRANEO E NOI di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – numero 4 – Aprile 2016

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ma noi ce ne accorgiamo solo a luglio, quando portiamo le famiglie a “fare i bagni di mare”, e vediamo passare strane sagome che si stagliano all’orizzonte, senza domandarci cosa stiano facendo e perché. Viviamo in un mare che è fonte, al tempo stesso, di benessere e di problemi, ed è bene capirne le qualità ed i limiti. 
Secondo gli studiosi, il termine “Mediterraneo” ha numerosi significati.

Fernand BRAUDEL diceva: “il Mediterraneo è un migliaio di cose insieme. Non è un panorama, ma un numero infinito di panorami. Non è un mare, bensì una sequenza di mari. Non è una civiltà, ma un certo numero di civiltà, sovrapposte le une alle altre. Ciò è dovuto al fatto che il Mediterraneo è un crocevia molto antico. Da millenni tutto si incontra, complicando e arricchendo la sua storia”.

Dobbiamo essere consapevoli delle sue caratteristiche e delle sue limitazioni, e agire per minimizzarle, a beneficio delle generazioni che ci seguiranno.

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IL MEDITERRANEO E NOI

 

Ferdinando-Sanfelice

Per noi meridionali, che conosciamo le difficoltà che i nostri antenati hanno affrontato per sopravvivere ai pericoli provenienti dal mare, questa frase appare alquanto ottimistica, ma, nel complesso, non si può dissentire da BRAUDEL, nel suo giudizio storico.
Un primo aspetto del Mediterraneo è il clima relativamente benevolo, almeno sulle coste, grazie a quella sorta di “riscaldamento centrale” costituito dal deserto del Sahara, che sposta l’Equatore termico, nella nostra parte del mondo, ben più a nord rispetto a quello geografico.
Non a caso, alcuni geografi hanno definito il Mediterraneo come l’area che si “estende dal limite nord dell’olivo fino al limite nord della palma”.
Intendiamoci bene: il clima del Mediterraneo non è idilliaco, a causa delle sue violente tempeste e del clima rigido in inverno, ma è senz’altro migliore di quello di tante altre zone del mondo, alle stesse latitudini.
Per contro, le terre che si affacciano sul Mediterraneo sono soggette a frequenti eruzioni, terremoti e maremoti che, da sempre, hanno reso pericolosa la vita agli abitanti. Esse sono, oltretutto, in gran parte montagnose, il che non ha consentito, per secoli, uno sviluppo dell’agricoltura al di là della mera sussistenza. Oggi noi vediamo le nostre colline ben curate e adibite a colture anche avanzate, ma questo è frutto del genio italiano e dei progressi della tecnica.
Malgrado questi problemi, la zona del Mediterraneo ha attratto, fin dalla preistoria, numerose etnie, che cercavano di fuggire da una situazione insopportabile ed emigrare verso le sue rive, alla ricerca di una migliore qualità di vita. Naturalmente, i nuovi arrivati non si facevano scrupolo di sterminare, rendere schiavi, o comunque soggiogare, coloro che abitavano nei luoghi prescelti da queste masse umane, per stabilirvisi. 
Solo in tempi molto recenti le migrazioni di massa hanno assunto un carattere meno violento, di semplice fuga da guerre e ingiustizie, anche se molti governi hanno sfruttato questi poveracci per i propri fini politici; forse anche per questo le reazioni delle popolazioni residenti nelle zone privilegiate del Mediterraneo non sono sempre improntate all’accoglienza. Questi arrivi in massa, da est e da sud, fanno capire perché il nostro mare, dove si incrociano varie linee di flusso, deve essere considerato un “crocevia strategico”, sul piano militare e, soprattutto, commerciale. In effetti,

“La Nuova Via della Seta”, un enorme flusso di mercantili che trasportano materie prime e manufatti tra l’Asia e l’Europa, passano attraverso lo Stretto di Malacca, il Golfo di Aden, Bab-el-Mandeb e Suez, per poi entrare nel bacino.

In conclusione, il Mediterraneo è la nostra principale fonte di benessere e può diventare il motore dello sviluppo del nostro Sud, e più in generale di tutta la parte dell’Italia che vi si affaccia.

il commercio internazionale è stato sempre il modo migliore per guadagnarsi la vita, per i popoli del Mediterraneo. Questo ci porta alla definizione secondo cui questo mare è “il punto focale del commercio, di ricchezze accumulate, che cambiavano di mano e talvolta si perdevano per sempre, tanto che il Mediterraneo può essere misurato dalle sue ripercussioni più ampie”.

Da ciò deriva l’attuale concetto di “Mediterraneo Allargato”, che include anche il mar Rosso, fino allo Stretto di Bab-el-Mandeb e al Corno d’Africa, zone in cui gli eventi hanno ripercussioni immediate su di noi. Basti pensare che, negli otto anni in cui la pirateria ha agito senza che alcuno la contrastasse, dal 2000 al 2008, il prezzo dei cereali è aumentato, mentre i transiti attraverso Suez si sono ridotti del 20%, provocando un netto impoverimento dell’Egitto. 
In effetti, il Mediterraneo è un mare chiuso, quasi come una caramella ben confezionata, con la carta che, alle estremità, è attorcigliata, in modo da trattenere il contenuto. Per il Mediterraneo, queste estremità attorcigliate sono appunto le strettoie di Gibilterra e di Suez/Bab-el-Mandeb, i cui “proprietari” possono strangolare a loro piacere la vita economica in tutto il bacino.
Al suo interno, la linea principale del traffico si sviluppa verso est, passando prima vicino alla costa nord-africana, per poi attraversare il Canale di Sicilia e immettersi nella parte orientale, in mare aperto, fino a Suez. Da questa linea si dipartono altri flussi in direzione nord-sud, verso i porti della sponda settentrionale, collegati con il Centro e l’Est d’Europa.
Ma il traffico marittimo nel Mediterraneo è soprattutto un segmento di quella che oggi viene chiamata

Abbiamo visto che, negli anni del massimo sviluppo della pirateria, il Mediterraneo si è impoverito. Questo è un fenomeno che si ripete: anche secoli fa, negli anni successivi alla presa di Costantinopoli, il traffico con l’Asia si spostò sulla “Rotta del Capo”, impoverendo le popolazioni mediterranee per l’aumento dei prezzi e lasciando i nostri porti semivuoti. Il rischio è che questo fenomeno si ripeta! 
Il nostro destino mediterraneo ci impone quindi alcune chiare priorità strategiche. Nessuna difesa della nostra qualità di vita sarà infatti possibile se noi non agiremo su due fronti:
– il controllo degli spazi marini, in modo da ridurre l’illegalità e il crimine per mare, e proteggere le linee di traffico principali, contro chi voglia attaccarle, nel Mediterraneo allargato e, se necessario, anche oltre;
– l’ulteriore sviluppo dell’economia marittima, un settore il cui potenziale di crescita è enorme: i nostri porti sono terribilmente inadeguati rispetto alle caratteristiche e alle esigenze dei mercantili di oggi. Basti pensare che solo Gioia Tauro, un nodo nel traffico internazionale dei container, è in grado, per fondali e attrezzature, di soddisfare queste necessità.

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IL MEDITERRANEO PROSSIMO VENTURO di Giorgio Salvatori – Numero 4 – Aprile 2016

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A colloquio con Emmanuele Emanuele, il mecenate della cultura condivisa e dell’assistenza solidale.



Sfugge ad ogni facile definizione il Professor Emmanuele Francesco Maria Emanuele, Presidente della Fondazione Roma e della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo.

Il Professore discende da una blasonata famiglia siciliana di antichissime origini ispaniche: un passato familiare illustre che non offusca un presente altrettanto fulgido: avvocato cassazionista, saggista, cultore del bello, esperto di economia e di finanza, ex banchiere.

Sono nate così la Fondazione Roma, alla fine degli anni novanta e, successivamente, la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo. 
“Mi sento un uomo del sud Europa, un cittadino del Mediterraneo. Non ho mai voluto imitare, né ho mai invitato i miei conterranei ad emulare, modelli di sviluppo, di cultura e di visione del mondo, distanti dalla nostra storia, dalla nostra civiltà millenaria. In una parola: il nord Europa è altra cosa da noi. Come italiani dovremmo, invece, promuovere, privilegiare, relazioni feconde con i popoli del Mediterraneo, non evocare, continuamente, esempi acriticamente giudicati ‘superiori’ perché provenienti dal settentrione del continente. Questo sarebbe il miglior antidoto contro la ‘germanizzazione’ dell’Europa e la progressiva marginalizzazione del nostro Paese. Solo ricostruendo pazientemente la rete di rapporti e di scambi economici e culturali con i Paesi del Mediterraneo l’Italia potrebbe acquisire o riacquisire un ruolo centrale in questo grande bacino di civiltà e di spiritualità che è stato, e io auspico possa tornare ad essere, il Mare Mediterraneo.”

Presidente, non la spaventa il bagno di sangue che promana dai territori del sedicente stato islamico?
“Nei secoli passati abbiamo distrutto, ucciso, devastato anche noi occidentali. L’Islam e il medio oriente non possono essere giudicati, oggi, solo per l’odio e la violenza dei fanatici della jihad, peraltro agevolati dal ‘vulnus’ provocato dall’imperizia e dall’avidità di alcuni Paesi occidentali. Ovvio che la furia devastatrice dell’Isis vada in ogni caso fermata e combattuta, dal momento che è difficile interfacciarsi con la cieca esaltazione usando come arma la sola logica. Ma in generale ritengo che

Poi bisognerebbe varare una campagna di rieducazione, di ‘acculturazione’, finalizzata a valorizzare e far fruttare le grandi risorse e potenzialità del nostro Meridione, che non sono poche:

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IL MEDITERRANEO PROSSIMO VENTURO

 

Giorgio-Salvatori

di far sentire il nostro meridione come centro del Mediterraneo e non come periferia, stracciona, dell’Europa continentale?
“La condivido e la sposo senza riserve. Va nella stessa direzione in cui la Fondazione Terzo Pilastro sta lavorando, tenacemente, da tanti anni. Consideratemi uno dei vostri. Stiamo percorrendo la stessa strada.”

Su questa via maestra, il Professor Emanuele ha avuto subito, ben chiari, due obbiettivi: interventi a favore delle fasce sociali più deboli, coerenti con la missione istituzionale delle fondazioni, e una vocazione squisitamente mediterranea.

Non è un caso, e neppure un vezzo, che il Terzo Pilastro, nato da una costola della Fondazione Roma, si chiami proprio così. Terzo pilastro bancario, penserà qualcuno (quello, per convenzione, dedicato alle assicurazioni dei depositi). 
No, non si tratta di questo. 
Terzo Pilastro è un riferimento esplicito sia al terzo settore, quello cioè degli interventi privati a favore del sociale e del pubblico; sia al passo, omonimo delle Sacre Scritture, in cui si fa obbligo morale, per tutti, di esercitare la solidarietà caritatevole nei confronti dei più bisognosi e degli indigenti. 
Ecco allora dipanarsi, come per incanto, una fitta rete di interventi, finanziati dalla Fondazione, negli ambiti più vari della solidarietà sanitaria, assistenziale, culturale, educativa. 
Ne citiamo solo alcuni, ma l’elenco è lunghissimo e spazia dalla erogazione di contributi per progetti ed iniziative nel campo della salute, della ricerca scientifica, dell’assistenza alle categorie più deboli della popolazione, dell’istruzione e della formazione, dell’arte e della cultura, fino alla promozione di mostre, conferenze ed eventi internazionali volti a favorire il dialogo interculturale tra i popoli del Mediterraneo e tra il Nord e il Sud del Pianeta.
Incontriamo il Professor Emanuele nella suggestiva sede della Fondazione, a Roma, a Palazzo Sciarra.
Muovendoci nelle ovattate atmosfere del palazzo, nelle sue sale sontuose, tra pareti splendidamente affrescate, vengono alla mente l’ammirazione, l’invidia o l’adulazione con cui alcuni dipingono il potere del Presidente: “Ottavo Re di Roma”, hanno scritto alcuni giornalisti, dotati di ardente immaginazione.
La prima affermazione del Professore è, comunque, dirimente: “tra l’impiego speculativo del capitale bancario e l’uso a fini sociali e ‘non profit’ delle rendite, garantite dalla legge sulle fondazioni, ho scelto questa seconda strada. Anche perché, e gli eventi degli anni più recenti lo hanno dimostrato, spesso, in Italia, la prima strada è stata percorsa da spericolati capitalisti senza capitale. Il risultato è cronaca dolorosa e recente.”

la cooperazione con i popoli del Mediterraneo e la comprensione del loro diritto a vivere in pace e prosperità, nel solco delle proprie antiche tradizioni, ci deve spronare a fare meglio, e di più, in questa direzione.

Un banchiere atipico, visto che, da anni, si dedica, soprattutto, ad attività filantropiche e culturali. 
Moderna figura di mecenate-manager, poiché a lui si devono alcune delle più importanti mostre d’arte degli ultimi anni; esente, tuttavia, dalla tentazione di far incetta egoistica delle opere migliori. 
Finanziere “sui generis”, perché il suo destino professionale si è incrociato, per un lungo periodo, con quello dei grandi nomi dell’alta finanza nazionale ed europea, ma che ha deciso di scegliere, senza esitazioni, alla fine degli anni novanta, di coltivare la neonata pianta delle fondazioni piuttosto che adagiarsi nel comodo vagone letto di una grande banca.
Ma allora, si chiederà qualcuno, che cosa fa, esattamente, il Professor Emanuele? Difficile, anche qui, darne conto per esteso.

il terreno da privilegiare sia la ricomposizione, la ricostruzione dei rapporti di collaborazione e di scambio. Restituiamo ai popoli del Sud una dignità, un orgoglio di appartenenza alla civiltà e alla tradizione mediterranea. La via d’uscita è questa, la migliore per l’Italia in particolare.”

Provate, innanzitutto, a pensare a quelle persone, poche in verità, che, per un dono naturale, riescono a riposare solo tre, quattro ore, al giorno, e per il resto del tempo pensano, lavorano, si ingegnano per creare nuove opportunità di benessere diffuso che, nel caso del Professore, sono quasi tutte volte al sostegno ‘olistico’ di chi vive ai margini della società dello spreco.

Fedele a questo assunto, il Professore, attraverso la sua Fondazione, ha favorito e realizzato diverse iniziative di cooperazione con i Paesi del Mediterraneo: dalla Conferenza internazionale ‘Mediterraneo porta d’oriente’, organizzata a Palermo insieme con il Censis, al sostegno ad un imponente progetto di irrigazione nelle aree pre-desertiche di Nabeul, in Tunisia; dal restauro del monastero siro-cattolico Mar-musa al Habashi, del VI secolo d.c., alla creazione a Jaramana, sempre in Siria, di un campo di calcio per la comunità locale e per i profughi iracheni ospitati nella stessa località. E ancora: l’imponente ristrutturazione della Basilica di Sant’Agostino di Ippona ad Annaba (uno dei pochi luoghi di culto cattolici ancora presenti in Algeria), in cooperazione con altri Paesi dell’area mediterranea; la realizzazione, negli istituti di istruzione superiore di Aqaba-Eilat, di programmi scolastici di scambio tra studenti palestinesi ed israeliani; la partecipazione dell’Orchestra Sinfonica di Roma al Festival Internazionale di musica nell’anfiteatro di El Jem in Tunisia; la Conferenza internazionale ‘Il ruolo delle donne nella nuova stagione del Mediterraneo’, che ha riunito lo scorso anno a Valencia le più autorevoli esponenti dell’area mediterranea tutta – con una forte rappresentanza dei Paesi del Maghreb – nei campi dell’economia, della cultura e della società civile, e i cui lavori proseguono tuttora on-line, su una piattaforma web dedicata di discussione che la Fondazione Terzo Pilastro amministra, al fine di stilare in futuro il ‘Manifesto di Valencia’ per un nuovo Mediterraneo… e via dicendo.
A suggellare questa vocazione, la scorsa estate, la Fondazione ha cofinanziato la prima pubblicazione che raccoglie, in quasi 500 pagine, le immagini, i suggerimenti, le indicazioni utili per visitare i borghi più belli del Mediterraneo. 
Per il suo personale impegno, profuso a favore del ‘Mare Nostrum’, il professor Emanuele è stato premiato dall’UNESCO a Valencia, in Spagna, lo scorso anno alla X edizione della “Multaqa de las Tres Culturas”, presso il Centro UNESCO Valldigna. Ma se questa è la strada da percorrere, in generale, per i Paesi dell’Europa meridionale, quale è la via d’uscita, in particolare, per il nostro Sud, il vituperato, malandato meridione dello stivale? Il professor Emanuele ha solo un attimo di esitazione:
“Non ho la presunzione di indicare ricette miracolose; tuttavia – afferma – se avessi la facoltà di intervenire in prima persona invertirei immediatamente la tendenza delle erogazioni a pioggia. Queste sono servite, finora, soltanto a strutturare la politica del consenso in cui chi prende i finanziamenti diventa un suddito, privo di volontà e di iniziativa, e chi li elargisce diviene un monarca che distribuisce, a fini clientelari, incarichi parassitari e privilegi. Un rapporto rigido, nefasto, che avvantaggia pochi e scontenta i più, peggiorando la situazione di arretratezza e di sudditanza del Sud rispetto al potere centrale e ai suoi valvassori locali.

clima invidiabile, turismo, industrie di trasformazione agroalimentari, pesca sostenibile e itticoltura, difesa e promozione del territorio, riqualificazione edilizia, urbana e rurale. Qui dovremmo intervenire. Saremmo ancora in tempo per cancellare gli obbrobri delle grandi opere devastanti e modificare gli errori e i fallimenti delle industrie sovradimensionate e inquinanti che, come a Termini Imerese, a Priolo, come a Taranto, sono costrette a chiudere a decine, generando migliaia di disoccupati.”

Ma non è semplice, anche per industrie ‘leggere’, come quelle dell’agroalimentare, e neppure per le nuove e indispensabili infrastrutture, attrarre finanziamenti ‘ad hoc’, sganciati dalle politiche clientelari e mafiose.
“No, è meno difficile di quanto si creda: basterebbe, ad esempio, pensare per il Meridione ad una politica di incentivi e di benefici fiscali, un po’ come ha fatto l’Irlanda in passato, per attrarre capitale nuovo, fresco, vitale. Creare dei porti franchi, ad esempio, dove si godano vantaggi tributari come il non pagare dazi di importazione delle merci alla dogana, farebbe finalmente confluire verso il Sud investimenti nazionali e stranieri.” 
I giovani, però, soprattutto al Sud, sono ancora, troppo spesso, costretti ad emigrare per trovare lavoro. In particolare, i più dotati. Pensiamo soltanto alla notizia, commentata con stupore da molti media italiani, che ci ha rivelato che il più giovane primario neurochirurgo del Regno Unito è un napoletano: Pierluigi Vergara, 32 anni. Uno che, come altri, ha visti riconosciuti i suoi meriti solo all’estero…
“Per questa ragione la Fondazione Terzo Pilastro finanzia, in collaborazione con alcune Università, diversi progetti di ricerca anche nel Meridione, proprio per frenare l’emorragia dei cervelli e favorire la loro permanenza in Italia, preferibilmente al Sud che soffre più del settentrione per questo esodo di giovani. Sosteniamo e finanziamo anche corsi di formazione professionale, di artigianato in particolare, una grande tradizione del nostro meridione che rischia di morire e che pochissimi, a parte la nostra Fondazione, aiutano a sopravvivere e prosperare. Penso sia un dovere morale sostenere i meno fortunati a crescere e ad acquisire una dignità di cittadini del Mediterraneo, a non restare prigionieri del fatalismo e della rassegnazione. Lo ripeto,

Le culture del Mediterraneo, insieme, hanno creato la civiltà dell’Occidente, non dimentichiamolo.”

Una prospettiva che mi ricorda il progetto ambizioso di Federico II di Svevia.
“Grande italiano, grande europeo, grande mediterraneo. Confesso di sentirmi influenzato sin da ragazzo, in molte mie iniziative, dal suo pensiero, dalla sua visione del Mondo, dal suo amore per il diritto, dalla sua inclinazione per la letteratura (creò una lingua, la “romanza”, che avrebbe consentito ad arabi, ebrei, latini e greci di conversare tra di loro), dalla sua idea della centralità politica di un grande Mediterraneo, ed infine da passioni comuni come la caccia e la poesia. Tra l’altro, e probabilmente non a caso, sono stato insignito nel 2002, come penso Le sia noto, del Premio Federichino – da parte delle Fondazioni Federico II di Göppingen, Jesi e Palermo – per aver onorato la mia terra natale con il lungo impegno profuso nel lavoro e dello studio. E proprio a lui, a Federico II, la Fondazione Terzo Pilastro ha dedicato una grande mostra a Palermo. Sì, è una figura prodigiosa, un gigante del nostro passato. Dobbiamo ispirarci anche a lui se vogliamo sperare nella rinascita, nel ‘rinascimento’ del nostro meridione.”

Un’ultima domanda, Professore:

che ne pensa di Myrrha, del nostro progetto di rivalutare la percezione del Sud agli occhi dei lettori;

 

DE FILANGIERI À LA CONSTITUTION AMÉRICAINE di Giannicola Sinisi – Numero 4 – Aprile 2016

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Les révolutions de l’époque occupèrent la scène de l’histoire, avec la cruauté et les généralisations qui les accompagnèrent, et détruisirent la grandeur du ferment intellectuel, et affaiblirent le pouvoir de la pensée qui animait l’époque.

DE FILANGIERI À LA CONSTITUTION AMÉRICAINE

 

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Derrière les révolutions, figurait la nécessité de construire, après des siècles d’obscurantisme, un nouveau statut pour les individus et pour les peuples;

La puissance visionnaire de Filangieri s’apprécie encore aujourd’hui en déclinant quelques-uns des concepts qu’il élabora:

Les réseaux d’intellectuels européens étaient tous à l’oeuvre pour contribuer au développement de ces nouveaux idéaux, mais se rendirent bientôt compte que l’Europe n’était pas le continent adapté pour appliquer ces idées du fait des résistances que les monarchies et les poches de féodalisme persistant leur opposaient.
Inversement, les Treize anciennes Colonies anglaises d’Amérique du Nord, la Nouvelle Nation qu’elles formaient était l’endroit idéal pour expérimenter ces nouveaux idéaux, comme un laboratoire du monde pour la modernité.
La lecture des écrits des auteurs de cette époque permet de découvrir non seulement leurs idées, mais aussi l’enthousiasme extraordinaire et l’idéalisme universel qui les animaient et dépassaient les limites étroites et les barrières des Etats pour se tourner vers le monde et à toute l’humanité.
Par exemple, Francesco Mario Pagano, un juriste et intellectuel napolitain, pensait que « l’Etat et la citoyenneté» étaient des mots à bannir du vocabulaire d’une société moderne.
Antonio Genovesi, lui, développait les principes de «bonheur public» dans ses conférences à l’université d’économie napolitaine.
Gaetano Filangieri, en 1780 à Naples, avait déjà publié les deux premiers volumes de son traité sur la «Science du Droit” en réfléchissant à des règles applicables dans le monde entier, ouvrant la voie à des systèmes qui garantissent les libertés de l’individu et le développement de la personne humaine.

et ce furent les principes de la démocratie, oubliés depuis l’antique Athènes, qui retournèrent à occuper les discussions passionnées des philosophes, des juristes et des citoyens éclairés dans les salons et les lieux de rencontre.

l’élimination des droits de douane pour permettre le développement; la liberté de la presse pour permettre la formation d’une opinion publique; le droit à un procès équitable, tels sont quelques-uns des composants miraculeux avec lesquels le jeune Filangieri de Naples, à l’intérieur des frontières du royaume des Bourbons, dessinait les règles pour une nouvelle humanité.
Et il n’était pas seul.
Le réseau intellectuel maçonnique de l’époque, avant que les bulles papales ne le contraignent à la clandestinité, fut certainement protagoniste et agent dans la promotion et la diffusion des nouveaux idéaux et permit notamment

la rencontre entre la puissance d’innovation du jeune philosophe et juriste napolitain, Gaetano Filangieri, et un héros incontesté de la naissance de la Nouvelle Nation, les Etats-Unis d’Amérique, Benjamin Franklin, tous deux franc-maçons.

Gaetano Filangieri était à la Cour du Roi de Naples entre 1780 et 1783, jouissant d’une grande réputation parmi les savants de l’époque pour son travail, et entretenant une abondante correspondance avec un grand nombre d’entre eux.
Benjamin Franklin, après avoir participé au Comité des Cinq, dirigé par Thomas Jefferson, chargé de la rédaction de la Déclaration d’Indépendance du 4 Juillet 1776 des treize anciennes colonies américaines, fut envoyé pour neuf ans à Paris à la cour de Louis XVI en tant que délégué du Congrès des Treize États-Unis d’Amérique, pour obtenir l’accréditation de la nouvelle nation auprès des cours européennes.
De 1779 à 1781 il fut à Paris le Grand Maître de la Loge du Neuf Soeurs, l’une des expressions les plus importantes de la franc-maçonnerie française.
En 1781, Luigi Pio, un jeune secrétaire de légation de la Représentation du Royaume des Deux-Siciles à Paris, lui aussi franc-maçon, fut nommé à la Cour de France, et devint l’intermédiaire essentiel entre Filangieri et Franklin.

Franklin fut impressionné par le travail de Filangieri, et de là commença une correspondance entre eux qui influença les principes libéraux de la première démocratie parlementaire et républicaine du monde.

Les différences entre Filangieri et Franklin étaient très gra,des, mais leurs destins furent parallèles entre 1781 et 1788, jusqu’à ce que la tuberculose interrompe la jeune vie de Filangieri qui n’avait pas encore trente-cinq ans.
Le premier, jeune Idéaliste et intellectuel, le second homme politique, scientifique et entrepreneur, avaient uniquement en commun d’être des grands innovateurs, capables de développer des théories ou des inventions en toute liberté, sans contraintes.
Gaetano Filangieri avait idéalisé Philadelphie et la Pennsylvanie jusqu’à l’imaginer comme une terre où les idéaux de liberté qu’il préconisait avant tant de passion avaient déjà été mis en œuvre.
Dans une lettre du 24 Août 1782 Filangieri écrivait à Franklin: «Dès l’enfance, Philadelphie a attiré mes regards. Je suis tellement habitué à la considérer comme la seule terre où je puisse être heureux, que mon imagination ne peut plus se défaire de cette idée ».

Tout avait commencé par une lettre du 11 Septembre 1781 de Luigi Pio, Secrétaire de Légation du Royaume des Deux-Siciles à la Cour de Paris à Gaetano Filangieri, dans laquelle il l’informait que Franklin lui demandait de se procurer le volume de la Science du Droit

sur le droit pénal, « parce qu’il serait utile pour Sto arrivando! nation, qui manquait encore de beaucoup de lumières sur ce sujet.”
Une riche correspondance se développa les années suivantes, dans laquelle Franklin demanda également conseil au jeune érudit napolitain, y compris son avis sur les constitutions que s‘étaient donné les treize anciennes colonies d’Amérique après 1776, et lui envoyant une copie du livre imprimé à Philadelphie qui les contenait .
Il s’agit d’un livre perdu qui se trouve probablement encore dans une quelconque bibliothèque privée des héritiers du juriste et philosophe napolitain, peut-être en ligne féminine, dans un des palais de la famille.
La correspondance se termina par une lettre du 14 Octobre 1787 que Benjamin Franklin, désormais président de l’État de Pennsylvanie, écrivit à Gaetano Filangieri pour l’informer de l’approbation, le 17 Septembre 1787, de la Constitution des Etats-Unis d’Amérique, en y joignant une copie du texte de la Constitution à peine sortie de l’imprimerie.
La nouvelle était accompagnée d’une demande de 9 copies du troisième volume sur le droit pénal, et de 8 copies des volumes suivants de la Science du Droit, publiés entre temps par Filangieri.
Le troisième volume fut l’objet d’une lettre de Filangieri à Franklin, encore à Paris, du 21 Mars 1784, avec laquelle il lui envoya une feuille de ce volume marqué de la lettre “V”.
Cette page, identifiable également par ses anomalies de style, comprenait la proposition d’établir que le premier acte de procédure pénale soit de demander à l’accusé s’il plaidait coupable, une disposition qui figure dans le sixième amendement à la Constitution des Etats-Unis de 1791, qui prévoit le droit de l’accusé d’être informé des faits qui lui sont reprochés.
L’hommage envoyé par Franklin à Filangieri le 14 Octobre 1787 arriva à Naples le 1er Juillet 1788, alors que la tuberculose avait commencé à miner plus sévèrement la santé de Filangieri, qui s’éteignit trois semaines plus tard, le 21 Juillet 1788, à Vico Equense .
Ce sera la femme de Filangieri, Charlotte Frendel, qui répondra à Benjamin Franklin, dans une lettre envoyée de Naples le 27 Septembre, 1788, dans laquelle elle l’informa de la mort de son conjoint et répondit à la demande de Franklin, nous offrant ainsi la certitude que les copies de l’oeuvre de Filangieri atteignirent leur destinataire.

Cette histoire, comme je l’indiquais, montre la puissance visionnaire de la pensée juridique et philosophique de Filangieri, mais elle nous décrit aussi l’importance de la Naples de l’époque, qui se trouvait au centre d’un réseau européen et international d’intellectuels,

qui se proposaient de forger la société de l’époque et d’en modeler l’avenir et les changements, avec un oeil tourné vers le monde entier.
Cela nous conduit à nous demander si nous n’aurions pas à nouveau besoin d’un réseau de Filangieri et Franklin contemporains qui se chargent d’élaborer les nouveaux droits et devoirs dont nous sentons tous la nécessité, dans une même vision universelle et réformatrice, en pensant aux États-Unis, mais pas seulement à ceux d’Amérique.

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FRANCO CAVALLO, LA POESIA di Alessandro Gaudio – Numero 4 – Aprile 2016

FRANCO CAVALLO, LA POESIA

 

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 La plaquette, edita per i tipi di SIC − che poi confluiranno nella bellissima esperienza delle edizioni Altri Termini, nate da una costola dei Quaderni internazionali omonimi che, inaugurati nel maggio del ’72, risulteranno fondamentali, tra l’altro, per il recupero in chiave ironica e neosperimentale del surrealismo e delle avanguardie storiche europee −, ha una circolazione quasi clandestina: eppure, la silloge, pubblicata in proprio, giunge sorprendentemente fin sulla scrivania di Pier Paolo Pasolini che, qualche mese dopo, in aprile, ne dirà sinteticamente sulle colonne del «Tempo»: «un libriccino delizioso, − assicurerà Pasolini, al termine di una delle sue Descrizioni di descrizioni − credo fuori commercio».1 Forse sarà stato il Piccolo arazzo musicale che Cavallo, all’interno di Rien ne va plus, dedica proprio a Pasolini ad attirare l’attenzione del più grande intellettuale italiano del secondo Novecento? O, piuttosto, sarà stato il tono stravagante della poesia di Cavallo (poi scomparso nel 2005) a sollecitarne la considerazione?
A quell’altezza, Cavallo poteva già vantare, tra le altre cose, la pubblicazione di due apprezzabili raccolte di versi per Rebellato e, in particolare, di altre due sillogi, all’interno dell’importante collezione di poesia della Piccola Fenice degli italiani (diretta da Roberto Sanesi) che l’editore Guanda di Parma inaugurò alla fine degli anni Sessanta proprio con Fétiche di Cavallo.2 Per i lettori di «Myrrha» non riproduco l’elogio della natura dedicato a Pasolini, preferendogli invece Bruchi perché mi sembra che in essa sia maggiormente manifesta l’ammissione di una debolezza, quasi la certificazione di uno scacco dell’intelligenza, frutto dell’unione dell’indolenza meridiana del poeta campano e dello scetticismo riguardo alle regole fisse della trigonometria borghese che tanto disturbavano anche il grande intellettuale bolognese.

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l(ex)iquida obniscienza in presenza glaucale
nell’altissimo pino vedean li dèi e l’amore,
pipsula in insula corallina anfitrioni − e

poi ritornati alle belle giornate d’autunno
sull’auto(bus) che li conduce all’accettazione
supina della res padronale, lambruschi lombri-
chi cauti alla pozzanghera e alla genuflessio-
ne, alle regole fisse della trigonometria bor-

ghese (ah, corona di spine della rivoluzione!)

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Nel gennaio del 1974 Franco Cavallo (nato nel ’29, a Marano, vicino a Napoli) pubblica un minuto volumetto contenente nove poesie e intitolato Rien ne va plus.

Rien ne va plus si era aperto prendendo in prestito da Edoardo Sanguineti l’ammissione franca dell’inutilità dei nostri destini («che non ci sono più storie / che si possono raccontare») e proseguirà, nella lirica successiva a quella qui riproposta, contestando il rapporto assiduo e geometrico tra la casa (la sua, come quella di Racine e quelle di tutti i poeti) e l’albero del Potere (scritto con l’iniziale maiuscola). Già nel 1974, al di sotto della franca accettazione dello scacco di un’intera generazione di intellettuali (sancita e resa definitiva, poi, dalla morte di Pasolini), Cavallo si calava, come un bruco, nel corpo vivo della lingua, cercando − come egli stesso aveva ammesso più volte − di realizzarsi in essa, provando a scavare in sé alla ricerca del posto sotterraneo in cui quella lingua si cela e correndo il rischio, alla fine dello scavo, di non trovare comunque niente.
A questo vuoto la poesia di Cavallo contrappone un eccesso di materialità3 che, poi, continuerà a caratterizzarla nei versi degli anni seguenti; essa è frutto di una scrittura che «[…] cigola / come il cardine / di una vecchia cassapanca» e che accoglie la mancanza, tematizzandola e, di fatto, prosciugandola o, se si preferisce, occupandola con la propria inquietudine formale e lessicale.4 Tuttavia, al di là di quel niente che si riempie di sé («Manca sempre qualcosa, − aveva detto qualche anno prima l’autore di Poesia in forma di rosa − c’è un vuoto / in ogni mio intuire […]»),5 ciò che nella poesia di Cavallo aveva incuriosito Pasolini era stata, con ogni evidenza, l’espressione della condizione greve di chi ha ormai compreso che tutto è stato fatto: di questo niente resta una confusa memoria che, in versi, è all’incirca un’ipotesi di distruzione; più propriamente, è una eco che si ripete di canto in canto, sino a includere, nella sua irrimediabile vacuità, l’intera condizione umana e la sua sorte. È su questo crinale che la poesia (anche quando, negli anni successivi, si verserà nel nonsenso) ricorrerà alla consistenza delle sue figure grammaticali e linguistiche e delle sue parole-cose per riempire quell’assenza che Cavallo sente così presente e finirà per ribadire l’indissolubilità del legame strutturale che la congiunge alla storia.

 1 P.P. Pasolini, Descrizioni di descrizioni, a cura di G. Chiarcossi, Milano, Garzanti, 2006, p. 390. 2 Si tratta di Paesaggio flegreo del 1957 e Reliquia marina e altri versi del 1959 per Rebellato e, per Guanda, di Fétiche (1969) e I nove sensi (1971). 3 Cfr. V.S. Gaudio, L’ascesi della passione del Re di Coppe, Milano, Celuc, 1979, p. 7. 4 Stefano Lanuzza ha già parlato della poesia di Franco Cavallo come di «parole squillanti nel vuoto»; l’espressione segnala con grande efficacia la concomitanza nei versi del poeta campano di nichilismo e artificio formale (cfr. S. Lanuzza, Lo sparviero sul pugno. Guida ai poeti italiani degli anni ottanta, Milano, Spirali, 1987, p. 117). 5 P.P. Pasolini, Poesia in forma di rosa [1964], Milano, Garzanti, 2012, p. 169.

 

CITTÀ SICURE: NORD E SUD A CONFRONTO di Giorgio Salvatori – Numero 4 – Aprile 2016

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Poi, però, si deve mettere in conto il crescente problema della sicurezza: scippi, rapine, furti, omicidi, danneggiamenti. Roba che in Paese o in campagna avviene di rado, salvo alcune aree del Nord a recente, alto tasso di aggressioni a persone e di furti in abitazioni. Ma dove avvengono, con maggiore incidenza i crimini metropolitani? Quale è la città più sicura e, all’opposto, quella più insicura? Gli ultimi dati ISTAT disponibili risalgono ad oltre un anno fa, ma il Corriere della Sera, recentemente, è tornato a commentarli in relazione alla situazione, critica, di Milano.

CITTÀ SICURE: 
NORD E SUD A CONFRONTO

 

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Li ricordiamo anche noi, perché le classifiche dei reati, riferite al numero delle denunce rilevate, ci regalano alcune conferme ma anche qualche sorpresa. 
Partiamo dalle prime. Sud e Isole, purtroppo, continuano a far registrare il maggior numero di omicidi rispetto alle altre Regioni italiane, ma il Nord vanta, in base ai dati ISTAT, altri primati negativi. Milano è la capitale dei furti, con quasi 8000 denunce ogni centomila abitanti, seguita da Bologna, con 7600, e, poi, Roma, Torino, Firenze, Venezia, Rimini. A Milano, poi, è preoccupante la curva ascendente del numero dei furti se messa a raffronto con l’andamento, sostanzialmente stabile, dello stesso tipo di reati a Napoli, una città dove quasi ogni scippo denunciato balza agli onori della cronaca nazionale e serve a rinforzare, nell’opinione di molti, la convinzione che passeggiare senza scorta nella ex capitale del regno borbonico sia rischioso quasi come avventurarsi, da soli e disarmati, nei territori controllati dall’ISIS.
Per i furti, invece, dati alla mano, il Nord, e, in particolare, il Nordovest, batte il Sud (con la sola eccezione di Catania) con percentuali decisamente superiori rispetto al vituperato Meridione. Ed anche sul fronte rapine Milano e Torino non brillano certo per maggiore sicurezza, risultando ai primi posti, in Italia, insieme con Napoli e Bari. Napoli, però, resta indietro rispetto a Bologna, Firenze, Milano e Roma per numero di reati connessi con lo spaccio di droga. 
Anche atti di vandalismo e danneggiamenti, sorprendentemente, vedono in testa Torino, Milano e Genova. 
Qualcuno osserverà che, su tutto, comunque, dominano incontrastati i feroci delitti imputabili alla criminalità organizzata, fenomeno storicamente e geograficamente legato al meridione. Andiamo a esaminare, allora, i dati forniti, in questo campo, dal Ministero dell’Interno. Prendendo come termine di paragone il 2007, il rapporto del Viminale sulla sicurezza, nel 2015, ci mostra un andamento discendente degli omicidi di mafia, ’ndrangheta, camorra e altre simili consorterie criminali. Queste morti, che erano 147 nel 2007, sono scese a 49 nel 2014. Una diminuzione di oltre il 70 per cento rispetto a sette anni prima. Tutto bene allora? Assolutamente no. 
Il percorso è sempre in salita. Non soltanto perché i dati globali non sono rassicuranti per nessuna città italiana (ad eccezione di Matera, guarda caso al Sud, dove, in termini relativi, la vita scorre decisamente più tranquilla che altrove) ma anche perché è ancora lunga la strada da percorrere per sconfiggere il radicamento al Sud della criminalità organizzata, la sua espansione al Nord, la quiescenza di troppi cittadini meridionali ed anche, spesso, settentrionali, di fronte a questo cancro spaventoso. 
Modificare il generico pregiudizio antimeridionale, però, è il secondo dovere che ci impone l’analisi meno emotiva e più razionale della realtà in cui siamo immersi, giorno dopo giorno, dal Nord al Sud della Penisola. La coesione sociale, economica e culturale della Nazione va perseguita come un bene comune fondamentale e non come una iattura da scongiurare. Vagheggiare il ritorno a piccole e chiuse patrie regionali, nell’età del pianeta globale, non può essere altro che mera e vana utopia.

Editoriale-del