UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD di Carmen Lasorella – Numero 2 – Ottobre 2015

cat-storia
cat-cultura
Carmen-Lasorella
per-cambiare-verso

Nel 1946, una donna trentina veniva eletta con i voti del Sud all’Assemblea costituente. Si chiamava Maria De Unterrichter. Era di cultura tedesca ed aveva sposato un napoletano. 
Contraddizioni? Fu una ricchezza. 
Accaddero tante cose in quell’anno in Italia. Il referendum cancellò la monarchia. Le donne ebbero il diritto di voto. Si lavorò alla Costituzione della Repubblica. Si prese in mano la vita del Paese, che usciva dalla guerra. Non ci furono solo i Padri costituenti, dunque, ma anche le Madri costituenti: 21 donne su 556 deputati. Una pattuglia composta da 9 Dc, 9 comuniste, 2 socialiste e 1 rappresentante del Fronte dell’Uomo qualunque, una formazione di centro-destra.

UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD

 

simbolo1

Con le colleghe che vissero quell’irripetibile avventura, condivise la prima battaglia istituzionale di genere, che superò le radici e le ideologie: ottenere il rispetto degli uomini; influire attraverso le scelte politiche sui destini della neonata repubblica in un dopoguerra di sconfitta; occuparsi della condizione femminile, cominciando da quella più emarginata del Sud.

Del Mezzogiorno erano in cinque: due siciliane, due abruzzesi e una pugliese, cui si aggiunse, sesta, la De Unterrichter, che era stata eletta nella circoscrizione lucana (Potenza, Matera), già che suo marito, Raffaele Jervolino, correva per Napoli. Lei veniva da esperienze mittle europee, dalla Fuci, dai movimenti femminili che stavano nascendo, dall’insegnamento e da una realtà profondamente cattolica.

Il Piano Marshall fu pensato per il Nord capitalista, mentre agli imprenditori del Sud non fu offerto lo stesso sostegno, nè condizioni di parità.

L’ambiente intorno non era dei più favorevoli. Per ragioni diverse, ma riconducibili allo stesso pregiudizio maschilista, le donne erano appena tollerate, considerate troppo emotive per occuparsi di politica o di economia, inadatte agli incarichi pubblici, vissute come una minaccia per la stabilità della famiglia. Lo pensavano i democristiani e perfino di più le sinistre, nonostante proprio le donne, durante la guerra, entrando nelle fabbriche e negli uffici, oltre agli impieghi sanitari e scolastici, avessero egregiamente sostituito gli uomini al fronte. Era un sentire diffuso, che il Sud esprimeva in modo radicale. Quel Sud che paradossalmente aveva segnato la più alta percentuale di affluenza alle urne delle prime elettrici (86,2 contro 84,8 elettori, mentre in Sardegna aveva superato l’87 per cento), laddove però le donne meridionali, in gran parte analfabete, avevano votato a maggioranza per la monarchia, condizionate dal retaggio delle tradizioni e dal fascino della corona. 
In un tempo in cui vigeva ancora la patria potestà e la potestà del marito, fuori dalla magistratura e dalla diplomazia, con salari deliberatamente più bassi e in un contesto culturale arcaico, che si imperniava proprio sull’arretratezza femminile,

le prime donne investite di un potere istituzionale pensarono al Sud. E cominciarono naturalmente dalla formazione, seguendo anche il metodo Montessori.

L’equilibrio, appunto. 
Sia per le donne, sia per il Sud non è stato mai cercato. Ai tempi della De Unterrichter sappiamo come è andata. Per le aree depresse del Mezzogiorno, si preferì una riforma agraria, piuttosto che l’industrializzazione. Alla domanda di giustizia sociale, si rispose con la creazione di una debole classe media, che avrebbe arginato le rivendicazioni comuniste e rassicurato “i padroni”, come pure gli interessi d’oltre oceano. Si consolò la miseria con le opere pubbliche e si alimentò il sottogoverno con la speculazione edilizia.

Perfino il Papa, negli stessi giorni, se ne è occupato. Ha espresso concetti forti: le donne devono trovare il posto che spetta loro nella società, la corruzione le sfrutta, i pregiudizi le isolano, peggio, sono ingiustamente demonizzate. Una società che vuole crescere deve trovare l’equilibrio.

In sostanza, deliberatamente, mancò una visione unitaria del Paese. Secondo i codici keynesiani, all’epoca di moda, solo lo Stato avrebbe potuto rilanciare l’economia del Sud. Il Mezzogiorno avrebbe vissuto di intervento pubblico e di ammortizzatori sociali. Sarebbe stata una storia di contributi a pioggia, con la Cassa del Mezzogiorno e di sudditanza ai partiti. Inevitabili le collusioni, l’infezione delle mafie, la sottocultura, la rinuncia al progresso – come teorizzava Pierpaolo Pasolini – per il quale il progresso era una nozione ideale, sociale e politica, molto più importante dello sviluppo, in sé solo pragmatico ed economico. 
Se ci saranno gli stati generali per il Mezzogiorno, come annuncia il governo Renzi, dopo 70 anni – diciamo – di equivoci, bisognerebbe trovare un centro alle mille e una cose da fare.

cat-sud

Contaminazione di altre esperienze, conoscenza, diritti, valori per incidere la carne morta di quella società, cercando anche di attenuare lo “scambio ineguale” – come lo definiva la semantica marxista – del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. Fu un lavoro eroico, presto condiviso dalle intelligenze locali più evolute, che si impegnarono nell’istruzione e nella sanità, puntando sull’associazionismo, per migliorare le condizioni primarie delle donne, oltre gli steccati della diffidenza o peggio in aperta ostilità. 
Quantum mutatis ab illo! Dovremmo poter dire oggi con le parole di Virgilio. Quanti cambiamenti da allora…Ma se scorriamo gli ultimi dati della Svimez (nel dopoguerra, la Svimez recitò un ruolo centrale nella politica per il Mezzogiorno, insieme alla Confindustria e ai governi filoamericani del tempo) l’ottimismo si arena. Nihil sub sole novum?! Niente di nuovo sotto il sole?! Fino ai 34 anni, al Sud lavora solo una donna su cinque. L’allarme povertà riguarda una persona su tre ed è donna. Due milioni di donne meridionali sono classificate NEET, ovvero non studiano, hanno rinunciato al lavoro e non si aggiornano. Nel complesso, la crescita del Mezzogiorno è stata del 13 per cento in quindici anni (2000 -2015), 40 punti in meno rispetto alla media europea, che segna il 53,6. La Svimez prevede che il divario Nord/Sud continuerà a crescere, che ci sarà uno tsunami demografico a seguito dell’aumento dell’emigrazione e del crollo delle nascite; che al Sud si produrrà di meno, si guadagnerà di meno, pagheranno di più i giovani e le donne.

Domanda: quale altro centro sarebbe migliore della ricerca dell’equilibrio? A cominciare proprio dal ruolo delle donne del Sud, che non sono mai state un problema, ma restano una risorsa? La loro esclusione è un deficit di democrazia.

Su ottomila comuni italiani, ce ne sono solo 200 nel Mezzogiorno, che portano la gonna. Sono i sindaci di piccole realtà, in gran parte di poche migliaia di abitanti. Quasi una famiglia, dunque, e nessuno si stupisce se in una famiglia a governare è una donna. E’ poco. La De Unterrichter scriveva: “Coraggio, bisogna prendere in mano il proprio destino”. La storia però ha dimostrato che non basta, quando manca l’equilibrio.

 

THE “MEZZOGIORNO” IN THE FIRE OF ATTENTION di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

cat-economia
cat-cultura
Carlo-Malinconico
A-great-occasion

In the last months the “Southern issue” has been lit up again. Firstly, the data gathered by Svimez in the 7-year research from 2007 to 2014, according to which Italy’s Mezzogiorno has had a smaller financial growth than Greece, then Saviano’s article on the state of abandonment of the South, finally Italy’s weekly magazine “L’Espresso” that claims “The South has disappeared” “Demographic collapse. Brain drain. Static economy. Missing entrepreneurs”. The reason for these condemnations comes from the attempt of bringing Southern Italy’s critic situation back in the objectives of the Government’s actions, that – as said- will be dealing with them next October. The Minister of Economic Development has pre-announced the summoning of the Southern States-Generals.

THE “MEZZOGIORNO”
IN THE FIRE OF ATTENTION

 

simbolo2

The need, felt by everyone, of placing once again the Mezzogiorno in the fire of National attention must be seen not as an unsolvable problem, but as a great occasion not only for the South but for the whole of the Country. For the energy and resources that can come of it, and for the margin of recovery and development that precise actions can bring, Southern Italy is an opportunity that will be able to favour financial and non-financial debts of the Country. Of course, as the SVIMEZ study reminds us, the task is not easy, but the results can be important. In the surely not brilliant general image of our Country, the numbers concerning the Mezzogiorno show it moving back more than the national average: from investments to employment, from capitalisation and size of companies to production capacities. It is important to consider that the pull of exportations that has been a big part of the however modest improvement of the economic Central-Northern conjunction, for structural reasons is not working for the South. The fear here is that these events will lead to a spiral that will bring to the so called desertification of the South, with sceneries going from economic depression to the drainage of youngsters who look for education and training before employment. This would be an enormous damage for the whole National Community. Italy’s South is traditionally complementary to the Northern economy, and the absence of internal demands that distresses the Northern economy would obviously benefit from a larger internal request, that has dropped especially in the South and that, when speaking about companies, would give an important push to the entire National economy. This is why Southern Italy must not be seen as a problem but as opportunity and efforts must be condensed in order to let the South, and with it the whole of Italy, outburst.

 

cat-sud

ITA | ENG | FR

simbolo-art-marr

For this, an Industrial Policy that can give precise and trustworthy reference points is necessary. We must proceed with realism but also with strong determination. The task of this industrial policy has to be to show institutions and companies the priorities and the objectives to reach, in order to have joint and effective efforts. The resources, both public and private, are limited and therefore should be even more condensed on objectives that are considered essential. Obviously the aim is to start from the analysis already carried out by the Banca d’Italia, by SVIMEZ and other Establishments, to come up with prompts for the Government’s actions. Without forgetting that Institutions can do a lot by simply outlining priorities, describing accelerated processes, condensing competences to obtain the mentioned objectives. A lot can be done to sustain the action of private operators, even without drawing from public resources and without extraordinary measures.
The idea of summoning the States-Generals of the Mezzogiorno, pre-announced by the Italian Minister of the Economic Development, seems to be encouragement-worthy. Not only does this assembly belong to the tradition of Italy, but also the spirit and objective behind it can be agreed upon. National and local institutions, Universities, companies and syndicates must be able to express their own points of view in a sort of public and transparent consultation or, if preferred, in a service conference opened to an audience, a “début public” with prefixed timing. Then, each member will decide upon its resolutions concerning their margin of competence. Not a form of necessary paralyzing consultation with veto rights, but a communal discussion useful to bring together institutions, especially the local ones or the ones with delimited local competence, in order to ensure the coordination of guidelines and of actions on the territories.

 

simbolo-sole-cerchi

Starting from now suggestions to be evaluated by this consultation can be brought up. Among the economic initiatives the ones to be endorsed should be concerning global value chains, especially food and service related ones, being the fields in which Southern Italy has shown the most positivity, and the infrastructures, especially concerning Public Transport services and networking. The South does not need great endeavors, or at least this is not a priority, but what it needs is a strong maintenance of its territory, of the existing infrastructures and of its environment, with actions that would bring the positive effects of an immediate come-back, in economic terms of effects of expenses and immediate usability in favor of economic and tourist activities. One could aim at, for these reasons and taking example from other European Countries, the Special Economic Zones (SEZ) that, as explained by the SVIMEZ report, are areas “characterized by a port… and in which specific regimes of custom treatment, tax exemptions, administration aids and business services are effective, with the main objective of luring foreign investors”. And in these SEZs the guidelines of the EU’s fiscal compensation should be followed. In the Mezzogiorno the SEZs could be established in the transshipment port areas of Gioia Tauro, Taranto and Catania. Keeping in mind that the great lines that transport gas and are essential for the production of energy have different access points in Italy’s Mezzogiorno, and from here they radiate to the rest of the Continent: four pipelines start from the southern bank of the Mediterranean Sea and travel towards Europe, two of them reaching the Mezzogiorno. The Transmed that starts from Algeria, crosses Tunisia and reaches Mazara del Vallo, the Greenstream, that from Libia reaches Gela, and more are being designed: the Galsi from Algeria to Sardinia and then Piombino, the TAP (Trans-Adriatic Pipeline) that will cross Greece, Albania and connect to Italy’s lines in Salento, the Interconnector that will link Italy and Greece (at the port of Otranto).

 

simbolo-art-marr

To finance these investments the EU Structural Funds 2014-2020 must be used at their best- and here too we must have a joint cooperation. In fact there are administrations and Regions that have a greater knowledge on how to obtain said funding. The transferring of these best practices would be an added value, that one could reach either by sending experts from a dexterous region to a less able one, or by sending employees from less expert areas to the best ones for training. The State-Regions conference might give an impulse to this process.
Other indispensable resources of the Mezzogiorno are its culture and landscape. Not only the striking panoramic beauty or the single historical monument mesmerize the visitor, but the actual evocative nature of such beauties. Whether we talk about the Riace bronzes or the Valley of the Temples in Agrigento, the Greek Theatre in Siracusa, Paestum, Pompei or Herculaneum, of the countryside in Salento, Burri’s Cretto or the stones of Matera, what strikes the traveller is the myth, the legend behind each place, symbol, rock, stone, shrub, stack. Here, more than any other place in Italy, nature and things are alive and tell stories and traditions. The enhancement of the artistic, historical and archaeological heritage – that is Mezzogiorno’s real petroleum- needs a series of abilities that luckily are already present, but also a more effective communication system and the definition of quality routes that will express these values. The modern tools to access information and the possibility of sharing knowledge and experiences online must be used at their best, in order to create the necessary development synergy and the easiest access possible: a Southern Portal, around which one can urge the creation, by University students and younger ones, of apps to furtherer help users. Superintendents, Universities and operators can cooperate for this goal.

simbolo-sole-cerchi

Last, but not least, formation. Universities must find better forms of integration and coordination of courses in order to avoid duplications. It is also necessary to point out excelling centers and favor them. Post-University vocational training courses to support the creation of spin-offs in the most promising fields of economy could be established. Courses in which professors, graduates and economic operators would all be involved. 
At the base of all of this is legality. This must be the State’s task to ensure safety to citizens and operators. It is fundamental to create, especially in the South, excellent centers for the formation of young people who can set off towards judiciary careers, the Armed Forces or the Police. 
Of course these are just suggestions. Others, and better ones, can be found with one belief: that Southern Italy, even with all the recently re-emerged criticality’s, is a great growth opportunity, a laboratory in which one can experiment useful paths for the whole Country. Both energy and will are available, and it is possible to appeal to those in the Mezzogiorno who selflessly believe in and are ready to adhere to a “lever” of intelligence that could help in the relaunch design. It would be yet another gift from the South.

 

CONSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MEILLEUR di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

cat-economia
cat-cultura
Carlo-Borgomeo
Regarder-le

La question du développement du Mezzogiorno est une ancienne question, mais qui reste toujours ouverte, même si au cours des dernières années elle a semblée être particulièrement négligeable, presque marginale dans le débat politique et institutionnel.
Depuis toujours, nous avons été habitués à considérer le problème en termes d’écart économique entre le Sud et du Nord, donc, en substance, en termes de PIB. Mais étant donné les résultats de cette approche, il serait d’autant plus souhaitable de s’interroger sur la nature réelle de l’écart. Il faut se demander s’il s’agit principalement d’une question économique, de revenu, ou plutôt de degré de cohésion sociale, de sens de la communauté, de la diffusion de la culture de la légalité et, plus spécifiquement, de la qualité de la vie en société.

 

CONSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MEILLEUR

 

simbolo8

Depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale le développement envisagé pour le Sud a été, en fait, « dirigé de l’extérieur”, peu pertinent pour les réalités locales, manquant d’attention aux sujets émergents et d’une inattention inquiétante à la qualité. Au contraire, le développement est un processus lent qui devrait être construit avec la participation des nombreuses personnes qui ne peuvent pas être considérés comme des «bénéficiaires» mais des protagonistes.

C’est un facteur déterminant et non un appendice du développement. Habituellement, personne n’est ouvertement hostile ou opposé aux politiques sociales, mais dans les faits, nous voyons qu’elles ne sont mises en œuvre que lorsque l’économie est florissante ou en phase de croissance. Au contraire, maintenant nous assistons à des désinvestissements et à des coupes. Mais s’il n’y a pas une communauté cohérente, il n’y a pas d’amour pour les règles et il ne peut pas y avoir de développement.
Le phénomène important de décrochage scolaire, la faible capacité d’attirer et retenir les « cerveaux » au Sud, l’abandon et la négligence des biens publics, l’incapacité à valoriser notre patrimoine, ne sont que quelques exemples d’une culture politique myope qui, en plus de causer des dégâts directs à l’économie (il suffit de penser aux coûts pour gérer les « urgences » ou limiter les dégâts), prive le Sud et le pays d’un potentiel de développement énorme. Un exemple significatif en est la gestion de la garde d’enfants, qui, étant donné l’importance de l’écart entre le Nord et le Sud et le reste de l’Europe devrait être la priorité d’une politique un tant soit peu attentive à «l’avenir» de l’Italie. En Calabre, la couverture des services de crèches est d’un peu plus de 2%, tandis que dans l’Émilie-Romagne, le pourcentage d’enfants pris en charge par ce type de services est de 27,3%. Un énorme gaspillage de potentiel humain qui vaut également pour beaucoup d’autres régions du Sud comparées au Centre-Nord. Il faut ajouter aussi que le Conseil Européen de Lisbonne avait fixé pour 2010 un objectif de couverture en crèches de 33% dans chaque État membre. Un écart de citoyenneté, pourrait-on dire, qui commence à un âge précoce et qui continue en croissant et s’ajoute à d’autres problèmes, jusqu’au baccalauréat et au-delà. Quel sens a-t-il alors de développer de riches systèmes incitatifs pour attirer les investisseurs dans des régions desquelles, très souvent nous voudrions que nos enfants s’en aillent?

s’occuper sérieusement des questions sociales est une forme d’investissement pour le développement d’une région.

cat-sud

ITA | ENG | FR

Je ne le crois pas. Je pense que désormais aucune perspective crédible de développement n’est possible si nous ne partons pas de la conviction que la véritable priorité, dans le Sud, est la cohésion sociale. La question de la Sud est devenue, si elle ne l’a pas toujours été, un problème social: de nouvelle pauvreté, de besoins différents, de fragmentation du tissu civil.
Est-il logique, alors, d’imaginer des politiques pour attirer les investissements dans des régions à la culture administrative très faible et avec une communauté fortement désagrégée? Est-il logique de « faire circuler d’argent » dans des systèmes incitatifs et des subventions, sans sélection et sans (véritable) vérification des résultats, avec des systèmes administratifs et institutionnels incapables de dépenser et, surtout, rarement en mesure de le faire bien? Est-il juste, dans une perspective de développement, de mettre en œuvre diverses mesures pour soutenir les revenus, non pas dans une logique de soutien transparente, mais de mille manières, souvent ambiguës et clientélistes, qui aboutissent souvent à générer de nouvelles distorsions dans le marché du travail? Est-il logique d’ignorer qu’une part substantielle du PIB du Mezzogiorno se trouve dans l’économie souterraine (qui ne coïncide pas nécessairement avec la criminalité) et de n’essayer aucune politique autre que des mesures répressives cycliques et partiellement efficaces?
Encore une fois, je ne le crois pas. Nous devons partir, tout d’abord, de la conviction que

Il faut engager une bataille culturelle et politique pour le Sud qui, tout d’abord, vise à aller au-delà de l’écart de PIB entre le Nord et le Sud et qui modifie la hiérarchie des interventions, des priorités, avec la conviction que la cohésion sociale, l’affirmation d’une logique communautaire adaptée ne sont pas des conséquences, mais des conditions préalables indispensables au développement.
Il faut refaire de la Politique (avec un grand P), récompenser l’exercice de la responsabilité, plutôt que les déclarations de loyauté, en développant une culture permanente de réseau, de confrontation, de débat, et d’écoute. En somme, nous devrions investir à nouveau dans les classes dirigeantes. Dans ce défi, le secteur tertiaire devrait jouer un rôle important, parce que – au-delà des cas sensationnels qui font l’actualité – il est capable d’exprimer un possible renouveau, porteur d’expériences et de bonnes pratiques qui, en fait, sont des éléments constitutifs de la vraie politique dans les territoires. Et je ne me réfère pas seulement aux aspects de solidarité et d’intégration, même s’ils sont importants, mais aussi aux dynamiques de réseau qui augmentent les possibilités de l’économie civile et le développement d’un bien-être commun.
Si nous imaginons un modèle qui ne cherche pas à tout prix un niveau de richesse improbable mais le développement ordonné et durable de nos territoires, alors nous pourrons construire un Mezzogiorno meilleur.

Il est clair que les importantes différences de richesses disponibles constituent une source formidable de différences dans les conditions de vie et il est fondamental de rappeler que le pays, malgré tout, a une obligation de solidarité avec le Mezzogiorno. Mais nous devons évaluer la validité de cette approche : est-ce la bonne, est-elle viable, est-elle culturellement gagnante et politiquement productive?

 

BUILD A BETTER SOUTH di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

cat-economia
cat-cultura
Carlo-Borgomeo
Looking-at

The problems of Southern Italy (the so called “Mezzogiorno”) are old, but, nevertheless, always new. Are we sure that conventional ideas about the Mezzogiorno are still valid – after so many years of policy failures? The gap between Northern and Southern Italy has increased, rather than reduced. Is this gap only a matter of income, or is it more of a social issue, a matter of quality of the civil society? We cannot imagine to attract new funding if the territories do not provide the essential services to the people, if there are no investments on education and culture, if we do not foster civic-mindedness, if we do not aim for social cohesion. 

BUILD A BETTER SOUTH

 

simbolo8

The development of the Mezzogiorno is an ancient topic, yet it remains open even if in recent years it has appeared feeble, barely marginal if compared to social and political debates.
The problem has always been assessed in terms of financial gap between North and South, so basically in terms of GDP. Considering the outcomes of this approach, though, we should be questioning the real nature of this gap. We must wonder if it is mainly financial, income-based, or maybe if it is rather affected by the degree of social cohesion, of sense of community, of distribution of legal knowledge and, more specifically, of civil coexistence.
It is clear that the strong differences in terms of available wealth are an adamant point of differentiation between the living standards, and it is right to say that Italy, no matter the circumstances, has a joint liability towards its Mezzogiorno. But one must first analyze the effectiveness of this approach: is it the right one? Is it feasible? Culturally successful and politically productive?
I personally believe not. I think that by now no realistic outlook of development will be possible if we don’t start from the belief that Southern Italy’s true priority is social cohesion. The Mezzogiorno issue has become, or has always been, a social issue: regarding new destitutions, different needs, fragmentations of the social canvas.

cat-sud

ITA | ENG | FR

Does it therefore make sense to imagine policies that will lure investments in territories with poor cultural administration and strongly broken up communities? Does it make sense to “spin some money around by promoting subsidies and benefits, without any selection or serious follow up of the results, with administrations and institutions that are unable to spend money, let alone in a good way? Is it right, when considering a policy of development, to actuate numerous income-supporting measures not trying to obtain a transparent assistance but rather through many unclear, client-based ways, that often cause further distortion in the labour market? Does it make sense to ignore that a substantial portion of the Southern GDP is made up of underground economy (not necessarily of a criminal nature) instead of trying out some sort of policy, if not cyclical and partially effective repressive measures?
Even in this case, I believe it does not. First of all we must up-bring the belief that seriously taking care of the social world is a way to invest in the development of a territory. It is a crucial aspect of the development itself, not an annex of it. Usually no one is blatantly against or in opposition to social policies, but factually we can only see these taking place in situations of flourishing or growing economy. Instead, we witness disinvestments and cut-offs. But without a cohesive community we cannot have love for rules and therefore development.

 

The growing phenomenon of early school leaving, the inability to attract and keep “brains” within our regions, the abandonment and negligence towards public assets, the incapability of appraising our heritage are just a few examples of a short-sighted policy that, in addition to affecting the economy (just think about costs when dealing with emergencies or when trying to limit damages), deprive Italy and its South of an enormous development potential. An example above all is the management of child-related services, with a gap between North and South and the rest of Europe so big that having a policy even vaguely interested in Italy’s “future” should be a top priority. In the southern region of Calabria the coverage of nursery schools is just over 2%, whilst in the north-eastern Emilia Romagna the percentage of children taken care of by childcare services is 27.3. A huge waste of opportunities that affects many other regions of the South compared to Italy’s central and northern ones. Moreover, the European Council in Lisbon set as a 2010 objective the 33% coverage regarding nursery school services for each Member State. A citizenship discrepancy, we could say, that starts for the earliest of ages and that carries on, growing and intertwining with other difficulties, up until adulthood and beyond. What is therefore the point in tuning rich subsidies to land investors in territories from which even we would often want our children to flee?

simbolo-art-foglia
simbolo-fog-cel
simbolo-art-foglia

From the end of World War II onwards the development imagined for Southern Italy has been, in fact, hetero-directed: little relevance to local thrusts, poor interest to emerging subject and a worrying inattention to quality. On the contrary, development is a slow process that should be built involving many parts that cannot be considered “beneficiaries” but protagonists.
We have to start a cultural and political battle for Italy’s South that will, in first place, set the objective to go beyond the gap of GDP between North and South, and change the hierarchy of the interventions and priorities, in the certainty that social cohesion and the setting of a righteous communal logic are not consequences but indispensable preconditions for development.
We must go back to doing Politics (with a capitol P), rewarding the exercise of responsibilities rather than the declarations of loyalty, developing a permanent knowledge of the net, of comparison, of debate, of listening. In other words, we should go back to investing in the Establishment. In this challenge the Leaders of Society must play an important role because – a part from the occasional striking news – in it we find those capable of expressing a possible new reality, bringing together experience and good deeds that, in concrete, are pieces of true politics in the territories. And I am not talking about solidarity and inclusive aspects, that are nevertheless important, but also other network dynamics that can increase financial paths and the development of a communal welfare.
If we keep in mind a model that does not chase unconvincing levels of richness to be obtained at any cost, but the organized and lasting development of our territories, we could build a better Mezzogiorno.

 

COSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MIGLIORE di Carlo Borgomeo – Numero 2 – Ottobre 2015

cat-economia
cat-cultura
Carlo-Borgomeo
Ma-dobbiamo

Il tema dello sviluppo del Mezzogiorno è una questione antica, ma sempre aperta, sebbene negli ultimi anni appaia particolarmente debole, quasi marginale rispetto al dibattito politico e istituzionale. 
Da sempre, siamo stati abituati a leggere il problema in termini di divario economico tra Sud e Nord, quindi sostanzialmente in termini di PIL. Ma visti gli esiti di questo approccio, sarebbe quanto meno auspicabile interrogarsi sulla natura reale del divario. Bisogna chiedersi se è soprattutto questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più precisamente, di qualità della convivenza civile. È evidente che le forti differenze in termini di ricchezza disponibile costituiscono una causa formidabile di differenziazione nelle condizioni di vita ed è sacrosanto ribadire che il Paese, nonostante tutto, ha un obbligo di solidarietà verso il Mezzogiorno.

COSTRUIRE UN MEZZOGIORNO MIGLIORE

 

simbolo8

Dal secondo dopoguerra in poi lo sviluppo immaginato per il Sud è stato, di fatto, “eterodiretto”: poca rilevanza alle spinte locali, scarsa attenzione ai soggetti emergenti e una preoccupante disattenzione alla qualità. Al contrario, lo sviluppo è un processo lento che andrebbe costruito con il coinvolgimento di tanti soggetti che non possono essere considerati “beneficiari”, ma protagonisti.

Io credo di no. Penso che ormai nessuna credibile prospettiva di sviluppo sia possibile se non si parte dalla convinzione che la priorità vera, nel Sud, è la coesione sociale. La questione meridionale è diventata, se non è sempre stata, una questione sociale: di nuove povertà, di diversi bisogni, di frammentazione del tessuto civile.
Ha senso, quindi, immaginare politiche di attrazione di investimenti in territori a scarsissima cultura amministrativa e con una comunità fortemente disgregata? Ha senso “far girare un po’ di soldi” in incentivi ed agevolazioni varie, senza selezione e senza verifica (seria) dei risultati, con circuiti amministrativi ed istituzionali incapaci di spendere e, soprattutto, solo raramente in grado di farlo bene? E’ giusto, in una prospettiva di sviluppo, attuare svariate misure di sostegno del reddito, non in una logica di trasparente assistenza, ma in mille modalità, molte volte ambigue e clientelari, che spesso provocano ulteriori distorsioni nel mercato del lavoro? Ha senso ignorare che una quota consistente del PIL meridionale è fatto di economia sommersa (che non coincide per forza con quella criminale) e non tentare alcuna politica, se non cicliche e parzialmente efficaci misure repressive? 
Anche in questo caso credo di no. Bisogna partire, innanzitutto, dalla convinzione che

occuparsi seriamente del sociale è una forma di investimento per lo sviluppo di un territorio.

cat-sud

ITA | ENG | FR

E’ un aspetto determinante e non un appendice dello sviluppo. Solitamente nessuno è palesemente ostile o contrario alle politiche sociali, ma nei fatti notiamo che queste vengono praticate esclusivamente in condizioni di economia fiorente o in una fase di crescita. Di contro, assistiamo invece a disinvestimenti o tagli. Ma se non c’è una comunità coesa, non c’è amore per le regole e non può esserci sviluppo. 
Il consistente fenomeno della dispersione scolastica, la scarsa capacità di trattenere e attrarre i “cervelli” al Sud, l’abbandono e l’incuria dei beni comuni, l’incapacità di valorizzare il nostro patrimonio, sono solo alcuni esempi di una cultura politica miope che, oltre a provocare effetti diretti all’economia (basti pensare ai costi per gestire le “emergenze” o contenere i danni), privano il Sud e il Paese di un enorme potenziale di sviluppo. Un esempio su tutti è la gestione dei servizi all’infanzia, con un divario tra Nord e Sud e resto d’Europa così grande che dovrebbe essere la priorità di una politica minimamente attenta al “futuro” dell’Italia. In Calabria la copertura di asili nido è poco più del 2%, mentre in Emilia Romagna la percentuale di bambini presi in carico dai servizi per l’infanzia è del 27,3%. Un enorme scarto di opportunità che vale anche per tante altre aree del Sud rispetto a quelle del Centro-Nord. C’è da aggiungere, poi, che il Consiglio Europeo di Lisbona ha individuato per il 2010 l’obiettivo del 33% di copertura relativa al servizio asili nido in ciascun Stato membro. Un divario di cittadinanza, potremmo dire, che parte dalla tenera età e che prosegue, crescendo e intrecciandosi con altre criticità, fino alla maturità e oltre. Che senso ha, quindi, mettere a punto ricchissimi incentivi per attrarre investitori in territori dai quali molto spesso noi stessi vorremmo che i nostri figli andassero via?

Bisogna avviare una battaglia culturale e politica per il Sud che, in primo luogo, si ponga l’obiettivo di andare oltre il divario di PIL tra Nord e Sud e che cambi la gerarchia degli interventi, delle priorità, nella convinzione che la coesione sociale, l’affermarsi di una corretta logica comunitaria, non sono conseguenze, ma indispensabili premesse dello sviluppo.
Occorre riprendere a fare Politica (con la P maiuscola), premiando l’esercizio delle responsabilità, piuttosto che le dichiarazioni di fedeltà, sviluppando una permanente cultura della rete, del confronto, del dibattito, dell’ascolto. Insomma, bisognerebbe ritornare a investire sulle classi dirigenti. In questa sfida il terzo settore dovrebbe giocare un ruolo importante, perché – al di là degli eclatanti casi di cronaca – sa esprimere una possibile novità, portatrice di esperienze e buone pratiche che, nei fatti, sono pezzi di politica vera nei territori. E non mi riferisco solo agli aspetti solidaristici e inclusivi, pur importanti, ma anche alle dinamiche di rete che incrementano percorsi di economia civile e lo sviluppo di un welfare di comunità. 
Se abbiamo in testa un modello che non insegue a qualunque costo improbabili livelli di ricchezza, ma lo sviluppo ordinato e duraturo dei nostri territori, potremo costruire un Mezzogiorno migliore.

 

GATTOPARDO È IL VERO VOLTO DEL SUD? di Giorgio Salvatori – Numero 3 – Gennaio 2016

Giorgio-Salvatori
Colloquio-con

“La cosa migliore che possono fare i giovani è invecchiare”. L’affermazione è di Benedetto Croce, e richiama, a sua volta, l’elogio della vecchiaia di Platone. Ma che c’entra la dialettica giovani-anziani nel dibattito sul Meridione? C’entra se, da una parte, si scommette sulla capacità dei giovani di scrollarsi di dosso la pesante scimmia della sudditanza alle classi corrotte o mafiose, e se, dall’altra, qualcuno insiste sulla incapacità dei primi di affrancarsi dall’insostenibile giogo della rassegnazione. 

 

GATTOPARDO 
È IL VERO VOLTO DEL SUD?

 

simbolo2

Myrrha ha sposato la prima tesi. E a sostegno della sua convinzione ha deciso di schierarsi al fianco di tutti quei giovani (e meno giovani) che, nel moltiplicarsi delle iniziative a favore di una nuova etica politica, economica e sociale, scendono in piazza per affermare, soprattutto al Sud, il diritto-dovere di voltare pagina. Non la pensa così, com’è noto, Ernesto Galli della Loggia, storico e politologo, uno dei maggiori “maitre a penser” italiani. Lo incontro sul freccia d’argento Bari- Roma. Gli ricordo, con stupore misto ad amarezza, la sua apodittica sentenza di condanna, espressa dalle colonne del Corriere della Sera, nei confronti della società civile meridionale, giudicata, nella sua interezza, priva di coraggio, di voglia di cambiare, di desiderio di battersi contro sprechi, mafie, inefficienza e corruzione. Non stupisce molto l’elenco delle prove (Corriere della Sera del 21 dicembre scorso) che Galli della Loggia produce a sostegno della sua accusa: disoccupazione doppia rispetto alla media nazionale, crollo delle iscrizioni universitarie, reddito individuale e familiare da terzo mondo, record di presenza di organizzazioni criminali, assenza di iniziative politiche e sociali efficaci contro il prosperare del malaffare. Sorprende, invece, la sua rassegnata consapevolezza della sconfitta. Provo ad elencargli gli esempi di contrasto, le manifestazioni anti-pizzo, i cortei degli studenti. Mi risponde citando Benedetto Croce e aggiunge: “I giovani si agitano, scendono in piazza, occupano e disoccupano, poi si disperdono in mille rivoli per essere riassorbiti dalla stessa palude che li ha espressi o per avere la sola scappatoia dell’emigrazione, dell’espatrio, della “fuga dal Sud”. Nessuna speranza allora? “I giovani”, mi ripete come un mantra, “devono solo invecchiare”. Lo incalzo: ci sarà pure una ricetta, una possibilità di riscatto che Lei intravede per il Meridione, e qualcuno, se non una generazione, un gruppo, una classe, un élite, disposta a rischiare…Non mi fa continuare. “Le ricette lasciamole ai politici. Il riscatto è una parola che non mi piace”. Non mi arrendo e ribatto: “Mi consenta di ricordarle, Professore, che ci sono strade lastricate di vittime, meridionali, della mafia, persone che si sono opposte consapevolmente, alla piovra. Anche loro prive di coraggio, di voglia di cambiare?” “Mi creda”, è la sua replica, “non è cambiato nulla e non cambierà nulla. I comitati e le associazioni anti-camorra e anti-mafia esistono da decenni e la situazione non solo non è mutata, ma, anzi, è peggiorata”. Provo a contrattaccare: “Mi scusi, forse non c’è compiacimento, una specie di “cupio dissolvi” in questa sua analisi, cupa, dei mali del Meridione, ma, come italiano, non si sente mutilato, annichilito, umiliato dalla supposta deriva del Sud verso latitudini più distanti dall’Europa?” “Sì, ma non posso farci nulla”. “Eppure”, ribatto, “Sono convinto che ci sarà una via d’uscita che lei auspica per il nostro Meridione”. “L’unica, improbabile, via d’uscita è nelle mani degli elettori del Sud. E’ dalle urne che può venire il cambiamento. Il voto è il solo strumento per portare al governo delle 8 regioni meridionali e in Parlamento, rappresentanti degni di questo nome, capaci di difendere interessi collettivi e non di parte, di farlo con onestà e competenza, al servizio della società civile e non dei vecchi poteri clientelari”. Professore, “Mi fa tornare alla mente le “possibilità sepolte sotto una pietra” di cui parlava Kafka nei suoi diari. E’ comunque una chance per il Sud, dopo il cupo presagio di morte che lei ha profetizzato, per il Meridione, sul Corriere della Sera. Grazie della conversazione. Ne posso riferire dalle colonne di Myrrha?” “Certamente, ma non è banale?” “Mah! Forse è solo uno scambio, frettoloso, di punti di vista” – concludo – “Però non è banale né il problema del futuro del Sud e neppure il suo pensiero sul malessere della società italiana contemporanea. Buon viaggio!” “Arrivederci”.

Questo, in sintesi, il resoconto della conversazione, avvenuta su un treno ad alta velocità, tra chi scrive e il Professor Ernesto Galli della Loggia. Ai lettori di Myrrha libere riflessioni ed eventuali commenti, con l’invito a pubblicarli, se lo desiderano, sulla nostra pagina di Facebook – MYRRHA – il dono del Sud.

cat-sud
simbolo-art-marr

 

FENOMENI LUCE di Giusto Puri Purini – Numero 3 – Gennaio 2016

art_purini-copertina (2)
cat-sud
cat-cultura
Uno-cento-mille

…E dunque dopo tanto percorrere, tanto praticare, è del “Fenomeno Luce” che andrebbe disquisito… nel riconoscere alla sua invadenza ed alla sua mancanza (assenza), il valore di ciò che in arte si tace o si manifesta.
Questa continua alternanza è l’altalena della vita, e non limitandosi a percepire di questo fenomeno i valori visivi, ma anche quelli spirituali, ambientali, culturali e volumetrici, si accede alla soglia della porta della conoscenza, e scoprendola non piena, ma, soave e traforata, si attraversa, alla ricerca della luce che vi affiora; quindi, superata la soglia, si rivolge indietro lo sguardo ed attraverso lo stesso traforo, si scopre la luce lasciata… dall’impulso “innovativo” e dalla comprensione di ciò che si lascia ci si proietta verso il nuovo.

Da qui il millenario culto per il Dio dell’innovazione che portava con sé il segno dei tempi nuovi. L’isola si ancorò al fondo marino con immensi pilastri di cristallo e, sulla superficie, gli uomini con l’aiuto degli dei collaborarono a costruire l’isola della luce. In questo racconto, appare la zattera-isola, il nuovo e la luce insieme, il culto, la cultura ed il fiorire della civiltà…

Chi ne ripartiva, tornava alle sue terre arricchito del sapere. I metodi, per esempio, di interazione tra progettualità e cerimonialità, con una metodologia quotidiano-sociale, fonte di arricchimento collettivo tesa a sostenere anche durante lo scorrere della vita terrena l’anello impermalente che ci lega alle forze cosmiche, sono stati molteplici, e, molti sfrondati del loro “Divino” sono oggi i metodi con i quali esercitiamo le nostre magre, asciutte e specialistiche professioni.
Così allora, la Geomanzia, oggi Architettura, tesa a perpetuare i valori esoterici, in simbiosi con quelli astrologici, cerca ogni volta, nell’intreccio della lotta tra il vento e l’acqua (Feng shui) il luogo predestinato alla costruzione.
Accanto alle colline verdeggianti, ed in presenza di un corso d’acqua, il drago e la tigre si incontrano, e dal loro atto d’amore nasce un vortice di energia benefica, e sarà quello il luogo ideale prescelto per l’insediamento (zona esogena).

Sfere-Fine-Pagina

FENOMENI LUCE

 

Giusto-Purini-Marrone

La luce, quindi, anche come filo di Arianna della storia: ed essa, da lei abbagliata, ci racconta, sotto molteplici aspetti, il suo comparire nelle religioni come ammaliatrice degli spiriti, nella mitologia per significare i luoghi sacri; nei territori, nelle città, nei picchi montuosi, nella biologia per spiegare la vita; nella musica, nella pittura…dovunque! Anche nella fisica, ove si sostiene che, più un corpo si avvicina alla velocità della luce, più aumenta la sua massa, fino a divenire luce essa stessa, compaiono quelle grandi teorie ove innumerevoli spunti ed affinità le avvicinano alle antiche scritture.
Quindi immaginando della luce, un “incredibile” processo all’incontrario, tendente alla formazione di una massa, di una forma, in un inesauribile processo di raffreddamento, tra le infinite probabilità, sorgiamo noi e ciò che ci circonda.

La luce, nelle antiche scritture, ci è mostrata come sintesi finale dell’unione cosmica, dove tutto confluisce, e le nostre essenze si realizzano in quell’infinito…

golfo del Messico, mare Giallo, mare Andamano, mar Nero… luoghi lontani, territori ancora da scoprire in profondità; la tendenza: “in profondità”! Conquiste nuove del sapere, altri fenomeni luce dove applicare ciò che si va apprendendo. Ma è casa, la prima culla “home”, e quindi tornati nel “Mare Nostrum” possiamo vedere altre leggende, altri miti applicati al fenomeno luce, come i fabbri di Vulcano, Dio del fuoco, nel cuore dell’Etna, le luci dello Stromboli, che con le sue cicliche esplosioni (ogni 15/20 minuti) indicavano il percorso ai naviganti diretti verso l’alto Tirreno; le pietre megalitiche ad Arzachena in alta Sardegna disposte ad arco come le corna del bue sacro, a formare la tomba dei giganti, violata all’alba dal primo raggio di sole, attraverso la piccola fessura ad arco intagliata ai piedi della pietra più grande, colei che ripara il dormiente nel suo sonno eterno: ed ecco ancora, dall’interno il volto del dormiente percepire il primo raggio di luce… 
Gli elementi vitali, quindi, in comunicazione tra di loro, fori e trafori, permettono all’energia di continuare ad essere trasmessa.
Così pure il Ka-Ba dell’antico Egitto, energia che dall’interno (tombe) si trasmette verso l’esterno (Ka) e viceversa (Ba), perché anche ciò che non è più, sotto forma materiale, continui a fluire verso la grande luce finale.
La tomba di Ramsete, il culto di Amon e la poetica del sole. Questi e mille altri spunti “luminosi” per una lettura coordinata dei miti, delle leggende, delle cerimonie, dello sciamanesimo, che formano il nostro archetipo, le colonne di cristallo, sulle quali stabilizzare la nostra zattera-isola, vista come terra non ferma… Su queste basi è necessario fondare una vasta area di ricerca, basata sull’applicazione di un metodo che tenda all’utilizzazione della cultura e della conoscenza per applicare la lezione della mitologia alle successive fasi dell’evoluzione dei popoli del Mediterraneo;

Ed ecco che “Fenomeni Luce” vari, dall’Egeo, la porta della conoscenza, alle colonne d’Ercole, dalla velocità della luce al raffreddamento della materia, dall’infinitesimamente piccolo all’infinitesimamente grande, conducono alla percezione di quella irrealtà psicofisica detta: “impermanenza”.

L’essere e non essere, l’apparire (colpire) e sparire, la metafisica e la metamorfosi, sono fenomeni conseguenti a questa consapevolezza, ed è attraverso la porta traforata della conoscenza che si compie il rito di colui che ritorna un attimo con lo sguardo sui suoi passi e non vi sarà più paura del nuovo… le due facce di una stessa medaglia, un unico filtro luminoso ma nelle due diverse realtà da osservare. 
Ed anche qui, una manovra di ingegneria umana complessa, ci consegna le possibilità di percepire a fondo le “sensazioni professionali” che esercitiamo.
E’ la luce, insieme agli occhi, direttamente collegata alla nostra memoria conoscitiva, ai nostri dati, alla nostra capacità di produrre immagini, suoni o pensieri, a “divenire” nel nostro mondo fantastico, e prendere forma non solo come discorso progettuale (in pianta), ma con qualche cosa di, sempre in movimento, mutevole, fluido, impermalente…
…uno, cento, mille… Mediterranei.
Avvinto dalla luce adesso mi trovo nell’Egeo, nelle Cicladi, sono ciò che rimane del grande pianeta scomparso: Mu; ed esse affiorarono dal mare come gemme, formando un cerchio (ciclo) il cui centro è appunto Delos… la lucente.

art_purini-1 (2)

Penso oggi che più tempo impiega un corpo a raffreddarsi e più armonicamente si disporrà l’insieme dei nostri meccanismi fisico-biologici, migliori e più consapevoli saranno quindi le certezze di “essere” e di poter usare le capacità infinite di cui siamo dotati.
Ma ciò che il raffreddamento a timer armonico non ci avrà dato, si potrà ottenere con lo studio, la ricerca, l’applicazione, e a mano a mano che ci si libera del proprio ego e si accetta di far parte dell’universalità, si rientrerà in possesso di quegli strumenti per i quali siamo stati resi operativi. Si può dire ancora che la luce è pura energia, che l’energia deriva dalle esplosioni atomiche dei tanti soli figli di quella piccola esplosione, che fu all’origine del Big Bang…

La mitologia racconta che Delos era l’unica isola galleggiante, e che qui Letona, amata da Zeus, inseguita dall’ira della moglie Era, costretta dal divieto di partorire in qualsiasi terra ferma, vi si recasse e desse alla luce Artemide ed Apollo…

siamo nel Mediterraneo tra tante storie impermanenti… il Mediterraneo come esempio mondiale di club-sandwich culturale, strati di storia sovrapposti, sapori che si confondono… uno, cento, mille Mediterranei…

dalla creazione del loro habitat quotidiano, alle infrastrutture del territorio, alla creazione dei luoghi sacri (vedi Delos), primi veri grandi centri d’incontro tra genti diverse, vere Nazioni Unite del passato.

Il corpo e la terra in simbiosi; le nostre vene, dove viva scorre l’energia, il “Ci”, assimilato ai fiumi, ai corsi d’acqua, questo era l’architetto astrologo-cerimoniere.
Il “Fenomeno luce” si perpetua, anche se oggi l’uomo esternamente si spente, cavaliere com’è della “Coca Cola” e dei suoi ridicoli egocentrismi.

Com’è importante invece praticare le isole della luce che sono dentro di noi, ma come dice il buddismo tibetano, dette forze (che ci spingono verso l’illuminazione) appaiono in forme spaventose ai nemici della luce e della verità.
Volendo visualizzare oggi queste forme spaventose potremo pensare alla Psichiatria, allo psicosomatico, alla paranoia, allo stress, al razzismo… religioni e sensi di colpa e quant’altre forme di sgretolamento umano il mondo occidentale e moderno ha saputo assumere nella costante e ossessiva ricerca del muro pieno, dell’ostruzionismo.
Rendersi conto che la gran parte delle malattie esistenziali del nostro tempo, nascono dalla volontà di disattendere le leggi naturali che sono insite in noi, questa volontà cosciente di voler frapporre la “ragione”, quindi il razionale, seppur fondamentale in ogni essere pensante, ad ogni soffio di metafisica, di illuminazione, di camminare con le proprie gambe, è senz’altro causa, come è dimostrato oggi, di malattie profonde, che al limite intaccano il nostro sistema neurovegetativo e rendono precario il nostro sistema (immunitario). 
Ecco che l’ostruzionismo, l’ignoranza, portano automaticamente ad un conflitto luce-malattia (buio), anche malattia di sempre; c’è oggi nella società una sindrome del “non sapere più” o del “non aver mai saputo”.
“Barbara” è la condizione del brodo primordiale, che ha originato il mondo occidentale, e con le sue barbarie ogni distruzione è stata lecita, nel passato e nel quasi presente… ma oggi, dopo le utopie ottocentesche, e le distruzioni novecentesche, una società più equa, assistenziale, informatica si è pur creata in occidente; ma

l’attesa che la ricchezza ed il benessere possano divenire gli alleati dei “Fenomeni luce”, si sta rivelando una delusione cocente.

Come sotto un rullo compressore, valori e spessori antichi sono stati spezzati via, ed i loro sacerdoti “licenziati e messi in catene”.
Questo anche perché il pensiero, nel suo imbruttimento attuale, dai generosi sospiri socratici, alla mesta depressione pan-germanica, ha contribuito alla creazione di un pensiero “dominante” e tutto quanto non gli attiene, viene definito trasgressivo, quindi tollerato, ma ridotto all’impotenza. Il volto freddo del capitalismo aleggia su di noi, dopo tanto illusionare… 
Naturalmente vi sono eccezioni: ad eventi eccezionalmente repressivi, rispondono uomini eccezionalmente rappresentativi: per leggi fisiche che regolano il flusso della luce nello spazio, Einstein, Hawking; Tiensing Gyatsò per la luce dello spirito ed il riscatto dell’uomo; Piero della Francesca per la luce nell’arte, e poi altri nelle scienze, religioni, politica e poi, semplici maestri di vita del quotidiano, presi tra la gente, dovunque. Ecco quindi prodursi lungo questa strada, forme più complesse ed articolate del sapere, nuovamente primarie, in grado di comunicare non solo per date storiche o per ordini di capitelli, ma anche ad esempio attraverso i “vezzi” dei popoli; molto spesso manifestati dalle loro architetture.
Se dovessimo dunque ipotizzare l’esistenza di due strade maestre, non è che quella di serie B, il “nuovamente primario”, sia più praticabile di quella di serie A, ma attraverso la prima si manifesta meglio la continua “reincarnazione” della storia; come se un filo logico, un narratore unico, ci facesse prendere un ascensore verso il passato e viceversa, ed è questo filo di Arianna, quello che mantiene vive le tradizioni, che ci rende delle lente, lentissime metamorfosi di una architettura e di un territorio, della loro mutazione -dall’austerità al vezzo (penso alle colombaie delle torri di Mykonos) – merletti a definire i contorni delle architetture realizzati oggi in mattoni forati e poca calce, o quello che noi italiani abbiamo fatto nel Dodecanneso vestendo le architetture che nascevano ispirate alla neo razionalista Sabaudia, con i veli delle Mille e una notte,… i vetri colorati della finestra di Tangeri… il tufo giallo di Noto, dove una città è scolpita come una statua, i pergolati a vigna di Sorrento, le cupole dei camusi di Pantelleria… le bianche colonne rotonde dell’architettura Eoliana… Nulla contro la serie A!

Anzi quanti elementi sintetici, tipici dell’espressione di ogni diversa civiltà, si manifestano nelle facciate, negli snodi strutturali, nei contenuti, nella sontuosità della “Grande Opera”, nella compiutezza di un messaggio culturale complesso, veri pilastri, a testimoniare le glorie di ogni civiltà!

Ma spesso è l’espressione del potere che le ha create a mostrarcele come cattedrali nel deserto, opere realizzate nel loro significato più profondo, anche a dispetto di una committenza spesso ignara del contenuto artistico e spirituale, ma pronta a paludarsi ed a moltiplicare attraverso di esse la propria immagine.
Questo dualismo, arte e potere, è alla radice della costruzione della nostra e di altre civiltà. Forse nella costruzione della città-stato italiana, questo dualismo arte e potere e le due strade, di cui prima si ipotizzava (A e B), si fondevano, attraverso una conflittualità che si stemperava per divenire concausa di interessi.

Il principe e l’artigiano, l’artista ed il religioso, il mercante e l’astrologo, il guerriero ed il mistico, concorrevano in modo mirabile alla costruzione di un qualche cosa che potremmo definire “evoluzione”,

vedi Sigismondo Malatesta, il signore e Leon Battista Alberti, l’Architetto e la magia della funzione oriente occidente nei lavori malatestiani di Cesena, rappresentazione di un sistema di vita dove gli uomini virtuosi e gli dei si identificavano, lavorando ora per gli uni, in sfide tecnologiche e spregiudicate, ora per gli altri.
In altri casi, ove la corda dei rapporti intersociali era troppo tesa, e quasi sempre a svantaggio del popolo suddito, il potere immancabilmente produceva disequilibrio, e più di ogni altra, ne risentiva l’architettura, pronta ad esasperare suddivisioni sociali, con barriere territoriali e diktat urbanistici… 
Quindi, tornando un attimo ai “vezzi” delle sontuose facciate di cui prima, frutto, come si diceva, di committente ove la corda sociale era troppo tesa, essi ci raccontano del travaglio degli artisti che vi affidavano messaggi della loro autonomia di pensiero e di creazione.
“Vezzi”! dai volti grotteschi e sacrilegi degli altorilievi delle chiese dei secoli bui, ai putti del Barocco, alle volute effimere, ai bugnati sproporzionati e martellati, alle “false prospettive”, arte dell’inganno? Del raggiro architettonico? Non ci erano forse costretti? E non è la costrizione a spingere spesso l’uomo ad escogitare sempre più ingegnosi stratagemmi?
Ed anche arte del segno, della ricerca di un linguaggio solo fra iniziati, esoterico il filo di Arianna, delle isole della luce che era dentro di loro!
La “Serie B”, dunque, come “inconscio” portato in superficie dalla profonda necessità dell’uomo di praticare le proprie libertà, di proseguire quel dialogo diretto con l’ancestrale, e di preservare gli strumenti primari di comunicazione verso l’evoluzione delle “cose”, in perenne conflitto con l’altra via (Serie A).

Siamo schegge di stelle; quindi attori di una metamorfosi che appare inarrestabile, ognuno con il suo processo di raffreddamento, il suo manifestarsi nella propria unicità, ma tutti insieme provenienti dalla stessa sorgente cosmica: “La Luce”.

 

LE COLONNE DELLA VITA di Giovanna Mulas – Numero 3 – Gennaio 2016

cat-cultura
Giovanna-Mulas-Verde
Per-vincere-la

LE COLONNE DELLA VITA

 

Sfere-Fine-Pagina

ogni costituente si fonde in un’amabile armonia capace di sopravvivere alle sfide di un progresso che può essere rappresentato da quel turismo di massa oramai divenuto, come dichiara Maurice Aymard, una “invasione pacifica ma non innocente”: in nome di una veloce ricreazione è capace di annientare i fragili equilibri delle società esistenti, considerando il nostro meridione una ricreazione, un gioco, non una realtà da conoscere e nella quale perdersi.
O ritrovarsi.

Se è vero che siamo ciò che siamo stati, la storia, questo remoto crocevia culturale, non è altro che una incessante serie di interrogazioni rivolte al passato in nome dei problemi e delle curiosità di un presente che ci circonda e chiude. Questo è finalmente da assimilare, o saremmo foglie che non sanno di appartenere allo stesso albero.
In realtà tutto aderisce alla natura originaria, nonostante gli uomini pare che non abbiano mai assorbito nulla dalla storia, né agito in base ai principi da essa edotti:

Eppure è indispensabile, per l’Uomo, cominciare a comprendere che il temuto dolore non serve a togliere merito e dignità, ma a maturare, ad abbracciare quell’Attorno che è rappresentazione del Templio che è la nostra interiorità.

Ma la comprensione o meglio, l’accettazione della sofferenza, avviene se non ci distrugge, se non annienta lo spirito quindi il rispetto per le cose semplici, indispensabili. Per dirla alla Pessoa: Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non è dolore. 
Pare impossibile uscirne per quanti ne attraversano, a piedi nudi, il sentiero; ma passa, passerà: si farà più sopportabile. Occorre lasciare che scorra il tempo, Colui che tutto sana. Pare impossibile uscirne per quanti ne attraversano, a piedi nudi, il sentiero; ma passa, passerà: si farà più sopportabile. Occorre lasciare che scorra il tempo, Colui che tutto sana. 
Pensiamo alle Colonne d’Ercole, ritenute l’accesso verso un nuovo mondo, sorveglianti della rotta per luoghi sacri, simbolo di crescita, illuminazione mentale e spirituale dopo la prova, necessaria ad ogni uomo, del dolore. Secondo Platone, la perduta Atlantide era situata oltre le Colonne d’Ercole, nel regno dell’Ignoto, per Bacon, tra le colonne corre il sentiero che porta verso il superamento delle incertezza terrene, al perfetto ordine dell’Uomo Nuovo. 
“La città degli eletti filosofici si staglia dalla vetta più alta delle montagne della Terra, e qui gli dèi degli sapienti se ne stanno insieme in una felicità eterna”.

Dunque dopo e solo dopo, appare la visione del mondo oltre ogni diversità e cultura: solo questa può e potrà cristallizzare un dato tipo umano al fine di donare all’intera Comunità.

Come scrive Luigi M. Lombardi Satriani: “…Assistiamo a sempre più intensi processi di carnevalizzazione della vita, che marcano nettamente la nostra temperie culturale e politica. Quanto più clownesca la sfera pubblica, tanto più carnevalizzata la vita sociale. Tant’è. Così appare il mondo che ci è dato vivere”.

Durante la fase di evoluzione l’Uomo soffre – perché rinnegare quella sensibilità che ci appartiene come e per Natura? – ma non teme: guarda dall’esterno il suo dolore.

La tradizione rinascimentale riporta che i pilastri recavano l’avvertimento “Nec plus ultra” (anche “non plus ultra” “nulla più in là”), che serviva da ammonimento per i navigatori a non proseguire oltre. “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”, ovvero Porta del Buio?. Si ribaltino immagine e pensiero; la Porta del Buio non diviene, forse, Porta della Conoscenza? Buio per la Luce dunque e ancora, disillusione o patimento, comunque attraversamento della propria parte inconscia, quindi rifiutata e temuta ché sconosciuta. L’idea di morte non genera forse immotivato timore dovuto alla comune ignoranza del dopo, se dopo esiste?. Anche qui la superbia umana ha il sopravvento sul raziocinio: voler necessariamente credere a un dopo è ritenere di essere degni di un dopo.

I pilastri si fanno metafora di equilibrio tra due forze opposte, “Stabilità” e “Forza”i due opposti di cui è costituita la natura umana. Sono espressioni attive e passive dell’energia divina, bene e male, il sole e la luna, luce e oscurità.

E’ in questi attimi del navigare l’Esistere che è bello incontrare un legame forte, più forte Di e Tra tutti Noi: 
e qui vedo l’Uovo, espressione figurata dell’embrione primigenio da cui sarebbe scaturita la vita, è ciclo che arriva al sangue e lo continua, dove la terra si ferma. 
Quando la foschia dell’illusione sfuma si apprende, ad esempio, a smascherare l’inutile abbaiare di un altro, a sgonfiarlo di ogni presunzione come farebbe lo spillo sul palloncino ché gonfio, tronfio come è, non riesce più ad accogliere niente altro che non sia la propria boria, e simulazione.
A volte il coraggio di svilire, spezzare il falso e l’apparenza, non rappresentano incoscienza o amore del pericolo quanto capacità di distinguere cosa è ‘male’ per un uomo o per l’intera Comunità, e cosa non lo è. Per dirla alla Seneca, il coraggioso custodisce la propria tutela e nello stesso tempo patisce con risolutezza gli eventi che hanno l’ipocrita apparenza di mali.

Nella ‘Forza’ sarà ‘Stabilità’ la mia dimora.

(Da ‘Riflessioni, Pensieri’)

cat-sud

 

LA COSTITUZIONE MANCATA A NAPOLI di Cesare Imbriani – Numero 3 – Gennaio 2016

cat-storia
cat-cultura
Cesare-Imbriani
Stato-Napoletano

Avrei potuto, anzi forse dovuto titolare le poche cose che dirò: “i Borbone e le Costituzioni mancate” o, meglio, “i Borbone e le occasioni mancate”, riferendomi così ai vari problemi di politica interna e internazionale, un insieme di nodi irrisolti o mal gestiti la cui somma si è riflessa alla fine nel dissolvimento del Regno delle due Sicilie. Basti ricordare la “questione dello zolfo”, che vide coinvolte con differenti ruoli le due maggiori potenze dell’epoca, Inghilterra e Francia, oppure la necessità della riconquista della Sicilia manu militari da parte di un sovrano della dinastia restato nel dire comune (dopo il bombardamento della città di Messina) con l’appellativo di Re Bomba, o ancora le mancate risposte ad una laicizzazione costituzionale in una Europa che era una polveriera di richieste di rappresentatività democratica.
Ho scelto invece di riferirmi alla Costituzione Napoletana del 1820/21 per tre ordini di motivi:
1- Perché, nei fatti, ritengo che, insieme ai noti problemi interni del Regno delle Due Sicilie (legati essenzialmente al mancato costituzionalismo ed anche ai problemi della annessione in una logica di stato unitario del Regno di Sicilia), la fine dello

 

LA COSTITUZIONE MANCATA
A NAPOLI

simbolo1

In definitiva si può ritenere che il 1820/21, per dirla con un termine molto usato in economia, rappresenti una sorta di benchmark interpretativo. In tale periodo re Ferdinando, stretto dai suoi rapporti con l’Austria per la attuazione ed il rispetto degli impegni derivanti dal Congresso di Vienna, ma anche da quelli della restaurazione del Regno fece esporre il figlio Principe vicario Francesco che, quale suo mandatario, promulgò una Costituzione sul modello di quella spagnola di Cadice.

Ciò però si realizza in un quadro di costanti e mancate risposte istituzionali e politiche da parte dei Borbone alle problematiche interne specie al costituzionalismo, di cui quello del 1820/21 fu una occasione a mio avviso stoltamente mancata, perché avrebbe consentito alla Casa regnante di collocarsi dal lato giusto della storia.
2- Certo, e siamo al secondo motivo, anche (per alcuni, soprattutto)

l’ottuso rifiuto di una effettiva modernizzazione istituzionale – dopo il periodo rivoluzionario del 1789 e quello murattiano dell’inizio del secolo – ebbe un ruolo fondamentale e favorì nel momento della dissoluzione del Regno

davanti alla avanzata delle truppe garibaldine (in palese violazione del diritto internazionale) un comportamento di non interventismo, un benign neglect all’incontrario, delle varie potenze: tale atteggiamento riguardò oltre a Francia e Gran Bretagna (come poteva essere prevedibile), persino l’Austria, frenata nel suo intervento anche dalle superiori capacità della flotta inglese. La Prussia era invece distante, ancora in crescita ed alla ricerca di un consolidamento di ruolo in Europa; la Spagna era ormai troppo debole e poco ascoltata nel contesto dell’equilibrio dei poteri. Solo la Russia cercò di intervenire diplomaticamente davanti all’evidente sopruso militare e politico che veniva perpetrato, anche in ricordo dell’atteggiamento a lei favorevole del Regno delle Due Sicilie in occasione della Guerra di Crimea, quando di contro il Piemonte le si era schierato contro con Francia e Gran Bretagna; ma ciò non bastò.
3- Ecco, quindi, e siamo al terzo motivo, l’importanza politica della vicenda del 1820/21 e della

Costituzione

(concessa dopo moti insurrezionali di matrice carbonara che coinvolsero guarnigioni nella zona di Nola – gli ufficiali Morelli e Silvati, il prete Minichini – e poi in Irpinia), la quale

avrebbe collocato il Regno napoletano dal lato delle monarchie costituzionali, prima di tutte nell’Italia Continentale.

Per il vero, una prima Costituzione sulla falsariga di quella inglese fu concessa dai Borbone alla Sicilia nel 1812,quando la parte continentale del loro Regno era sotto il dominio francese nella persona di Murat. Tale costituzione viene quindi correttamente ricordata come l’assetto costituzionale italiano che anticipò il normale decorso di democratizzazione già implicito nelle dinamiche risorgimentali; purtroppo la Sicilia, nell’ambito delle sue continue vicende indipendentiste, quando si concretizzò una Costituzione ispirata da Lord Bentinck, la vide dismessa nel successivo accorpamento unitario del Regno di Borbone. Ed è ben noto che la mancata risoluzione, almeno in termini federali, della questione siciliana fu un altro fondamentale motivo di debolezza del Regno napoletano.

all’inizio del 1821, Re Ferdinando l si recò a Lubiana, al Congresso convocato con fini di Restaurazione dopo i moti insurrezionali di quel periodo; promise solennemente nel partire da Napoli, che avrebbe difeso e giustificato la Costituzione nel consesso delle altre nazioni.

Era una Costituzione con evidenti limiti istituzionali, ma rappresentò un’occasione importante perché era determinata in un clima sicuramente lealista rispetto all’istituto monarchico. Gli stessi deputati dell’epoca, tra cui Giuseppe Poerio, padre del più noto Carlo (storicamente conosciuto, perché alcuni anni dopo divenne un simbolo internazionale della repressione delle libertà attuate dai Borbone) erano per la massima parte fedeli all’istituto monarchico, seppur recependo le abbondanti tracce dell’illuminismo locale.
In ciò Napoli dopo le esperienze rivoluzionarie del 1799 e l’epoca murattiana, piena di cambiamenti ideali e strutturali, si era sempre differenziata idealmente e culturalmente dall’altra “capitale agognata”, Palermo, dove invece il riconoscimento del Regno passava attraverso un complicato gioco di richieste di rappresentatività politica e gestionale, al fine di ripristinare autonomie statuali, che configgevano con l’atteggiamento fortemente unitario, da un punto di vista politico ed economico, dei Borbone.
Ma i patti sottoscritti non furono rispettati:

la Costituzione del 1820, seppure nei suoi limiti, era la cosa giusta al posto giusto, nel momento giusto, da un lato, per allentare la sudditanza verso l’Impero Austro-ungarico (che a sua volta si dissolse nel 1918,cioè meno di sessanta anni dopo il Regno delle due Sicilie); dall’altro, per far divenire lo Stato napoletano un Attore rispettato ed autorevole del processo di unità nazionale, che all’ epoca perseguiva anche vie federaliste;

Viceversa, la sua richiesta di intervento giustificò una spedizione di truppe austriache, che attraversò la penisola e si scontrò con l’esercito napoletano guidato dal generale Guglielmo Pepe nei pressi di Rieti e poi alle gole di Antrodoco.
La sconfitta dell’esercito costituzionale comportò il ripristino di un regime di monarchia assoluta nel Regno delle due Sicilie; le dolorose esecuzioni di vari rivoltosi, seppur leali ad un istituto monarchico costituzionale, la diaspora dei Deputati del primo Parlamento napoletano ed il pagamento per molti anni del corpo di spedizione austriaco (una sorta di beffardo tutoraggio, come ancora oggi si vede nel contesto delle relazioni internazionali) furono i dolorosi residui di una vicenda che peserà negli anni a venire, sconnettendo la intellighenzia risorgimentale del Sud dai destini dei Borbone. Per inciso, il generale Pepe lo ritroviamo nel 1848 a difendere Venezia per poi morire nel 1855 esule a Torino.
Insomma,

tutto ciò avveniva ben prima che il Piemonte si impossessasse di quel ruolo che ci condusse all’unità nazionale.

cat-sud

 

LIBRERIA MARESCRITTO di Matteo Eremo – Numero 3 – Gennaio 2016

art_eremo-copertina
cat-sud
cat-arte
cat-storia
Matteo-Eremo
Una-Piccola-perla

“Il seguente articolo – estratto da un racconto più ampio contenuto nel volume: La voce dei libri II. Storie di libraie coraggiose raccolte e raccontate da Matteo Eremo – è qui pubblicato per gentile concessione dell’editore Marcos y Marcos e dell’autore”.

Immaginate una libreria vicino al mare, in Salento, in uno dei punti più estremi della nostra penisola, a due passi dalle coste dell’Albania e della Grecia. Immaginate un luogo minuscolo ma coloratissimo, dove è possibile sfogliare le pagine di un libro con in sottofondo le note celestiali di un capolavoro come Kind of Blue di Miles Davis.

a Tricase, fino a quel momento, non c’era stata richiesta di libri perché era mancata l’offerta, non il contrario. Il problema non era aprire una libreria al Sud ma, semmai, superare i pregiudizi. Perché la gente desiderosa di leggere c’è, eccome: bisogna solo offrire un servizio e un luogo adatti alle loro esigenze.

simbolo2

 

LIBRERIA MARESCRITTO

 

Foto-di-Tamara

Un tempietto consacrato all’olimpo dei libri da una giovane donna che, dopo essere emigrata al Nord come tanti suoi conterranei del Sud, ha deciso di tornare nella propria città di origine per aprire una libreria. Sì, avete capito bene. Vendere libri nella più periferica delle periferie, dove nemmeno le librerie di catena osano andare, in una piccola cittadina del Capo di Leuca, al confine tra due mari: l’Adriatico e lo Ionio.

Letture contro i pregiudizi

 

“A vent’anni” racconta Isabella “ho sentito una forte esigenza di compensare le mie lacune culturali. Si trattava di un’autentica necessità di emancipazione da certi limiti del pensiero, di liberarmi da quelle che Henry Miller chiama ‘pastoie della propria natura’. Cercavo letture in grado di farmi vedere le cose da un punto di vista alternativo. 
“È così che è avvenuto l’incontro con gli autori che più amo e da cui mi sono lasciata influenzare: Marguerite Duras, Céline, Kafka, Simone de Beauvoir, la Beat Generation, Musil, Pasolini, Boris Vian, John Fante… Lo definirei un vero e proprio punto di non ritorno. Già mentre mi immergevo per la prima volta in quelle letture scoprivo nuovi orizzonti di senso. I miei libri erano tutti sottolineati, annotati, con le pagine usurate e ingiallite per il mio continuo soffermarmi su passaggi che ritenevo illuminanti.
“Mentre studiavo e lavoravo saltuariamente, ho cominciato a chiedermi cosa volessi fare nella vita, finché non ho raggiunto i miei fratelli a Bologna. Lì, all’ombra delle due torri, mentre mi reinventavo in diversi ruoli, mi sono posta la fatidica domanda: perché non aprire una libreria a Tricase, dove sono nata e cresciuta? 
“Gli aspetti positivi che potevano decretare la buona riuscita dell’impresa non mancavano di certo in quel periodo, alla fine degli anni Novanta. Pur essendo il centro più grande del Capo di Leuca, innanzitutto, Tricase aveva qualche piccola cartoleria rifornita di scolastica, ma nemmeno una vera libreria. Poi si trovava a soli tre chilometri dal mare, in una posizione privilegiata. 
“All’epoca, inoltre, stava per esplodere il fenomeno del Salento, con la riscoperta di forme musicali come la pizzica e la taranta. Eravamo ancora lontani dal successo turistico di oggi, ma già in quel momento si poteva intuire che ci sarebbe stato un grande rilancio della mia terra. Avevo però un dubbio: perché nessuno aveva aperto una libreria a Tricase? 
“All’epoca, purtroppo, ero ancora vittima del preconcetto secondo il quale al Sud è tutto più difficile. Per tanti anni, d’altronde, i nostri giovani sono emigrati al Nord o all’estero rafforzando una paura e un complesso di inferiorità con il quale chi nasce nel meridione prima o poi deve fare i conti. 
“La situazione, in realtà, è diversa:

Isabella Litti, l’intraprendente e coraggiosa libraia di Marescritto, è un perfetto testimonial della forza e della portata, troppo spesso sottovalutate, dei libri. 
La sua vita è infatti segnata da un netto spartiacque: c’è un prima e un dopo aver cominciato a leggere. E il dopo, ça va sans dire, è tutta un’altra storia.

“Un contesto in cui rientra anche la riscoperta della lentezza, una virtù messa in cattiva luce da una società frenetica, iperproduttiva e isterica. Del resto, chi l’ha detto che la velocità è tutto? Al contrario, come ci insegna Franco Cassano con una bellissima metafora, dovremmo ‘essere lenti come un vecchio treno di campagna, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne soltanto la copertina’. 
“Il futuro dei libri, non solo quello del Sud, passa anche da concetti come questo”.

basta leggere un libro come Il pensiero meridiano di Franco Cassano per assumere tutta un’altra prospettiva e capire che occorre restituire al Sud la sua antica dignità di soggetto del pensiero, riformulando l’immagine che esso stesso ha di sé. Non più ‘periferia degradata dell’impero’, ma centro di un’identità ricca e molteplice, autenticamente mediterranea.

“Non era un problema di domanda, ma di offerta”

 

L’avventura di Isabella Litti parte ufficialmente nel giugno del 2004, in un piccolissimo locale di appena trenta metri quadrati nel cuore del centro storico di Tricase. 
Il nome, così evocativo e sinestesico, è un omaggio a un ricercato libretto fotografico dell’amata Marguerite Duras: Il mare scritto, appunto. 
L’avvio è tutto in salita. Il budget limitato costringe Isabella a partire con grande cautela, con un catalogo di soli duemila titoli, e a passare attraverso i grossisti.
“Già nel corso del primo anno” ricorda Isabella Litti “ho però iniziato ad avere diversi riscontri positivi e ho capito una cosa fondamentale:

“Rinfrancata da queste considerazioni, ho speso tutte le mie energie per crescere in maniera costante, reinvestendo tutti i guadagni nella libreria: in pochi anni il catalogo è così passato da due a quattordicimila titoli, grazie anche ai rapporti di fiducia sviluppati nel tempo con gli editori”.
Marescritto è un piccolo mondo senza tempo a due passi dalla piazza principale di Tricase, dove svettano le sagome severe di due chiese e il profilo fiabesco del castello, nella cui Sala del trono Isabella organizza spesso le presentazioni. Il locale che ospita la libreria, d’altronde, è troppo piccolo per gli eventi.

La limitatezza degli spazi, però, non è vista dai clienti come un aspetto negativo, anzi. Isabella è infatti riuscita a creare un ambiente estremamente bello, intimo e di qualità. Un luogo vivace, ricco di spunti e di contaminazioni sotto le solide volte a botte del soffitto.

Qual è, dunque, il segreto di questo minuscolo scrigno? “Innanzitutto” spiega la libraia “contano molto il catalogo e la piacevolezza del luogo, entrambi studiati accuratamente. Marescritto si è formata attorno alle esigenze dei lettori, ma tenendo conto dei miei gusti e delle accortezze che studio stando qui, mentre osservo quello che accade in libreria.
“Il secondo segreto è invece la terra su cui sorge. Tricase è una cittadina vivace, con ben tre cinema, e si trova a due passi dal mare, la cui vista opera un vero e proprio sfondamento nel modo di pensare”.

Festina lente

 

Nonostante la sua lontananza rispetto ai grandi centri produttivi del paese, Tricase si è dunque rivelato da diversi punti di vista un luogo privilegiato in cui aprire una libreria. Tanto che Isabella Litti, dopo aver confutato molti stereotipi, ora guarda con estrema fiducia al futuro del libro e del proprio mestiere. 
“Il turismo” spiega la libraia “garantisce un grande volume di vendite da maggio a settembre, ma anche durante tutto il resto dell’anno non ci possiamo lamentare, anzi.

Siamo infatti troppo periferici per subire la concorrenza delle librerie di catena, che non ci pensano proprio ad aprire da noi. E la base di clienti su cui possiamo contare è molto solida, anche perché il Salento, in controtendenza con molte zone del Sud e persino del Nord, subisce sempre meno il problema dell’esodo dei propri giovani.

Molti, anzi, stanno rientrando negli ultimi anni. 
“Col tempo siamo diventati un punto di riferimento per il tessuto sociale del luogo e abbiamo contribuito a rivitalizzare il centro storico. Ora ci sono numerosi ragazzi che vengono qui a chiacchierare e a confrontarsi, comprando tanti libri. Siamo diventati un luogo di aggregazione e confronto”.

Circondato dalle acque del Mediterraneo, a più di mille chilometri dalla frenesia della grande capitale italiana dell’editoria e dell’industria, c’è un Sud che, riscoprendo la propria identità e i benefici della lentezza, va decisamente più forte di tante realtà del Nord.