boschi del Gargano, in quelli del Pollino e a
Castelporziano. Stiamo parlando del capriolo italico, un timido abitante dei boschi di latifoglie che si è mantenuto geneticamente integro, identico a se stesso, dai tempi remotissimi della nostra penisola.
Una perla che si aggiunge al grande patrimonio che il nostro Paese conserva grazie alla fortunata convergenza di doni della Provvidenza e di umani ingegni trascorsi.
Gemme naturali, tesori dell’arte, dell’architettura, della cultura, che resistono alla barbarie dell’oggi in virtù di caratteristiche climatiche e geografiche felici e per il tenace lavoro di uomini lungimiranti.
LA LUNGA MARCIA VERSO LA SALVEZZA DEL PICCOLO CAPRIOLO DEL GARGANO
Come spiegare altrimenti quella grande emozione, quel tuffo al cuore che si prova, non importa se italiani o stranieri, quando ci troviamo di fronte alle armonie residue del Bel Paese?
Quello straordinario connubio tra uomo e paesaggio naturale che non ha pari nel resto del mondo.
Si pensa subito all’arte dei grandi maestri, ma non si riflette mai abbastanza sulla straordinaria eredità che i nostri antenati ci hanno lasciato non dissipando un patrimonio faunistico e paesaggistico che, seppure insidiato da mille minacce, è altrove ancora impensabile.
E non si tratta solo di vette sublimi, di foreste meravigliose, di superbi animali, come l’orso o il lupo, scomparsi da secoli, per responsabilità umana, in Paesi, come la Gran Bretagna.
In questo nostro trascurato e insidiato scrigno dell’abbondanza trova degnamente posto anche lui, il piccolo capriolo italico.
Sembrava prossimo all’estinzione, in Gargano come nellealtre storiche nicchie di sopravvivenza, perché minacciato da troppi nemici: bracconaggio, randagismo, eccessiva pressione di uomini e di allevamenti zootecnici.
Soprattutto si temeva per le sorti dei pochi individui superstiti nel Meridione dello Stivale: Gargano e Pollino.
La realizzazione dei Parchi Nazionali omonimi, negli anni novanta, insieme con la paziente e capillare opera di sorveglianza svolta dal corpo forestale dello Stato, ha prodotto un’inversione di tendenza.
Troppo presto per cantare vittoria, però i dati in possesso di Myrrha, in particolare per ciò che riguarda la Foresta Umbra, nucleo storicamente protetto del Parco Nazionale del Gargano, lasciano ben sperare.
I piani di censimento e di salvaguardia, finanziati negli ultimi anni dall’Ente Parco, hanno prodotto un primo, significativo risultato. La densità media del capriolo è risultata in sensibile crescita. Si è passati dalle 6-7 unità ogni cento ettari, censite nel 2008 dai ricercatori del dipartimento di scienze ambientali dell’Università di Siena, agli 8, 7 individui registrati, mediamente, in ognuno degli stessi scacchieri monitorati, nel 2013, da ricercatori del dipartimento di biologia dell’Università di Bari; un censimento che ha interessato, complessivamente, quasi tredicimila ettari situati nel cuore del parco. Gli esperti invitano alla cautela.
hanno la bellezza delle forme slanciate, il muso aggraziato, gli occhi grandi e vivaci, le lunghe zampe sottili, l’abilità acrobatica nel saltare gli ostacoli, il forte richiamo sonoro, in questo caso, assai sgraziato, simile al rauco latrare di un cane.
che vive confinata, ormai, “in purezza”, soltanto nei
Gli episodi di bracconaggio non sono cessati, anche se la loro frequenza, recentemente, appare in diminuzione, i cani vaganti sono una piaga insanata e lontana dall’essere estirpata, la presenza, spesso abusiva, di bestiame domestico sui pascoli condivisi con il capriolo è ancora eccessiva, il disturbo provocato dal turismo sporcaccione e selvaggio è arduo da tenere sotto controllo.
Ma più di tutto è difficile vincere la stupita e irritata ironia dei molti che ritengono incomprensibile o irragionevole finanziare progetti di tutela per un animale che, altrove, è in progressivo aumento.
Si tratta però, in QUESTO CASO, del capriolo europeo, presente in varie regioni del vecchio continente e ormai abbondante anche da noi lungo la fascia alpina, nell’Appennino settentrionale e in Toscana.
Più grande e meno elusivo del nostro piccolo capriolo italico, è specie che non solo non rischia l’estinzione ma comincia a provocare anche danni alle coltivazioni e causa perfino problemi alla sicurezza stradale nelle aree di maggiore densità numerica. In comune i nostri due cugini
Non spaventatevi, però, se, camminando nel bosco, vi capiterà di ascoltare un improvviso e ignoto abbaiare nel folto della macchia mediterranea. Non si tratta di un cane randagio, ma del nostro piccolo acrobata che,
se vorrà proprio stupirvi, vi comparirà davanti, quando meno ve l’aspettate, compiendo un volo nel cielo degno di un consumato artista circense o di un campione olimpionico di salto in alto.
Un incontro molto meno improbabile diquanto si possa pensare per chi cominci a frequentare boschi e radure abitate dal nostro timido e capriccioso folletto.
Un dato empirico che spinge all’ottimismo è il moltiplicarsi degli episodi di avvistamento, recentemente segnalati a chi scrive, da parte di agenti forestaIi o semplici escursionisti.
I censimenti compiuti sul Gargano non indicano, con precisione, quale sia l’attuale consistenza numerica complessiva di questo prezioso dono del sud: cento esemplari, più di cento, meno di cento? Noi sappiamo, dagli studi di zoologia, che, per i mammiferi, è proprio cento la soglia minima al di sotto della quale una specie ha maggiori probabilità di estinguersi a causa del sommarsi, improvviso, di cause avverse: bracconaggio persistente, siccità, epidemie e infezioni contratte dal contagio con bestiame brado, inverni troppo rigidi, scarsità di risorse alimentari, abnorme prelievo di piccoli da parte di predatori come il lupo, la volpe, il gatto selvatico, e perfino il cinghiale, questi ultimi tutti presenti, sia in Gargano sia nel Pollino.
Questi pericoli possono ancora rendere difficile la sopravvivenza del nostro capriolo.
Il peggio, però sembra alle spalle. Difficile a credersi, ma la maggiore insidia per questo antichissimo inquilino della Foresta Umbra si profilò negli anni quaranta, durante l’occupazione alleata del promontorio pugliese.
I vecchi montanari raccontano che le esercitazioni di tiro, da parte dei mitraglieri britannici, avvenivano spesso sui velocissimi caprioli, allora numerosi e meno elusivi.
Verità o leggenda? Chissà. Il declino della specie, in ogni caso, cominciò in quegli anni. E senza la creazione del Parco essa sarebbe oggi, probabilmente, un ricordo del passato. Sicuramente la popolazione di capriolo del Gargano è ancora esigua, minacciata e quindi vulnerabile.
Gli sforzi della dirigenza del Parco, in particolare del suo Presidente, Stefano Pecorella, che ha preso particolarmente a cuore le sorti del capreolus italicus, per questo, vanno ancor più incoraggiati e lodati.
La consistenza numerica emersa dai recenti censimenti ci lascia sperare che la fatale soglia dell’estinzione non sia stata varcata in discesa ma, al contrario, superata in ascesa.
Se così fosse si tratterebbe di un successo esemplare, una conquista del Parco che va ben oltre i confini del Gargano, della regione che lo ospita, la Puglia, e perfino del nostro Paese. Un successo che tutti potremmo e dovremmo festeggiare. Basterà, a questo proposito, parafrasare quello che lo scrittore Dino Buzzati amava ripetere a proposito dell’orso bruno marsicano: “Il capriolo è anche avventura, favola e leggenda, la sua scomparsa ci renderebbe tutti più poveri e più tristi”.