LA RICCHEZZA NASCOSTA NEL POVERO MEZZOGIORNO – PARTE 1 di Carlo Curti Gialdino – Numero 1 – Luglio 2015

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archeologica impietrita nel tempo dalla terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; non solo perché tutta la striscia prospiciente il mare della Campania, a partire da Napoli, metropoli sin dall’antichità e le testimonianze delle varie dominazioni, è un concatenarsi di ritrovamenti archeologici noti (Pozzuoli, Paestum) e meno noti (Pontecagnano e i suoi reperti Etruschi); e, saltando alla Sicilia vi sono stratificazioni mozzafiato, di civiltà anche autoctone sovrapposte a civiltà, come la mitica torta sette veli che si gusta a Messina; senza dimenticare che ogni altra Regione meridionale, in varie epoche, ha ospitato vestigia di un glorioso passato. 
Il Mezzogiorno, insomma, è uno scrigno di tesori mai davvero presi in considerazione per diventare volani di sviluppo, Pompei compresa, pur essendo, insieme al Colosseo, il sito archeologico italiano più visitato.

E non solo perché qui c’è Pompei e la sua area 

L’unico problema per il locale a piano terra destinato a coronare il suo sogno era la creazione dei servizi igienici. Lo scolo aveva problemi di riflusso. Per cui, il signor Faggiano arruolò i suoi due figli maggiori per aiutarlo a scavare ed investigare sulle cause dell’inconveniente. Aveva previsto che per i lavori ci sarebbe voluto giusto una settimana. Se solo non avessero impattato in una sorpresa… “Trovammo corridoi sotterranei ed altre stanze, quindi continuammo a scavare” dice il sig. Faggiano, che ha sessant’anni. La sua ricerca del canale di scolo, che iniziò nel 2000, divenne una storia familiare di ossessioni e scoperta.

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LA RICCHEZZA NASCOSTA DEL POVERO MEZZOGIORNO

PARTE I

 

Si organizza il minimo indispensabile, quello utile a tour promozionali in fiere del turismo, dalla milanese BIT ad altre più esotiche, rivelandosi questo tipo di politica arida di risultati, se non per chi se ne va in giro per il mondo a fare il promoter delle bellezze meridionali.
Eppure, all’estero, pur non possedendo neanche la millesima parte dell’intrigante intreccio fra storia, cultura, località godibili del nostro Sud, riescono a fare grandi flussi turistici.
Situata nel tacco dello Stivale italiano, Lecce era un punto nevralgico del Mediterraneo, ambita dagli invasori per tale posizione strategica. Dai Greci ai Romani, fino agli Ottomani, i Normanni ed i Longobardi.
Per secoli, una colonna di marmo del santo patrono di Lecce, Oronzo, ha dominato la piazza centrale della città, fino a che, gli storici, nel 1901, non hanno scoperto un anfiteatro romano che si estendeva sotterraneamente per tutta quell’area ed hanno spostato la colonna per poter fare gli scavi.
“I primi insediamenti a Lecce risalgono ai tempi di Omero, o almeno così dice la leggenda”, dice Mario De Marco, storico e scrittore locale, rilevando che gli invasori sono stati attratti dalla posizione d’oro della città e dalle prospettive di saccheggio. “Ognuna di queste popolazioni è venuta e ha lasciato una propria traccia”.
Severo Martini, assessore alla Pianificazione territoriale e all’Urbanistica del Comune di Lecce, afferma che i reperti archeologici vengono alla luce regolarmente e possono rappresentare un bel problema per la pianificazione urbana. Un progetto per un centro commerciale ha dovuto essere ridisegnato dopo la scoperta di un antico tempio romano sotto il sito del parcheggio. “Ogni volta che si scava un buco” dice “secoli di storia escono fuori come niente”. Come per la famiglia Faggiano.

Tutto quello che Luciano Faggiano desiderava, quando acquistò l’anonimo palazzo a via Ascanio Grandi 56, era di aprire una 

trattoria.

Un nome assai simbolico, in quanto proviene da greco e significa “Vedimi, sono la vita”. “Continuavo a scavare per realizzare il mio accesso alla fogna”, dice. “Nel contempo, però, ogni giorno speravamo di trovare nuovi manufatti”. Gli archeologi spinsero il signor Faggiano ad andare avanti. Oggi, l’edificio si è trasformato nel Museo Faggiano, un Museo archeologico privato, autorizzato dal Comune di Lecce.
Scale in metallo consentono ai visitatori di scendere nelle camere sotterranee, mentre le sezioni di pavimento in vetro servono ad ammirare le stratificazioni storiche dell’edificio. Rosa Anna Romano, una docente operante presso il Museo, è la vedova di uno speleologo dilettante che ha contribuito a scoprire la Grotta di Cervi, una grotta sulla costa vicino Lecce, verso Otranto, decorata con pittogrammi neolitici. Per saperne di più, vi consiglio di consultare il sito www.museofaggiano.it.
Con molta sorpresa, scoprirete che è tradotto in 9 lingue, compreso russo, cinese e giapponese. Certamente, il MiBACT del Ministro Franceschini ha da imparare, con quel suo sito ‘verybello’ che a stento parla inglese! Intanto, però, lo stesso Ministero ha comunicato la disponibilità di Fondi europei 2014 – 2020 per sostenere iniziative culturali nel Mezzogiorno. Ecco la comunicazione divulgata dal Ministero: “La Commissione Europea ha approvato il programma operativo “Cultura e Sviluppo” 2014 – 2020 cofinanziato dai fondi comunitari (FESR) e nazionali, per un ammontare complessivo di circa 490,9 milioni di euro, che vede il MiBACT nel ruolo di amministrazione proponente e Autorità di gestione. Il Programma Operativo Nazionale (PON) “Cultura e Sviluppo” 2014 – 2020 è destinato a 5 regioni del Sud Italia – Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia –  ed ha come principale obiettivo la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore. Gestito dal MiBACT, il PON dà attuazione alle scelte strategiche ed agli indirizzi definiti dall’Accordo di Partenariato (AdP) tra l’Italia e la Commissione Europea.

Il signor Faggiano trovò tracce di un mondo sotterraneo che risaliva a prima della nascita di Gesù: un tomba messapica (antica popolazione italica stanziatasi nella Murgia meridionale), un granaio romano, una cappella francescana ed altri dipinti dei 

Cavalieri Templari,

dalla vicenda così controversa, perseguitati dal re Filippo il Bello di Francia. Ma quella è un’altra storia. Se vi capita, approfonditela. La trattoria è ora diventata un museo, dove i ritrovamenti sono esposti. ‘Gli uomini di casa’ scoprirono un piano nascosto che portò ad un altro piano in pietra medievale, che portò a sua volta ad una tomba dei Messapi, i quali vivevano nella regione secoli prima della nascita di Gesù. Presto la famiglia scoprì una camera usata per conservare il grano dagli antichi romani e la cantina di un convento francescano in cui le suore, al tempo, preparavano i corpi dei morti alla sepoltura. Le Forze dell’Ordine arrivarono e bloccarono gli scavi, intimando di non addentrarsi in siti archeologici abusivi. Il presunto ‘tombarolo’ rispose loro che stava solamente cercando di costruire un tubo di scarico.
Passato un anno, finalmente gli fu permesso di riprendere la sua ricerca per il tracciamento della fogna, a condizione che i funzionari della Sovrintendenza partecipassero ai lavori. Emerse, così, un tesoro sotterraneo costituito da antichi vasi, bottiglie devozionali romane, un antico anello con simboli cristiani, manufatti del Medioevo, affreschi nascosti ed altro. “Abbiamo trovato – dice Luciano Faggiano – molto vasellame di epoche diverse. C’erano due tombe, ma una era stata svuotata già ai tempi della costruzione dello stabile, nel 1933.
Le poche monete, molto corrose, frutto degli scavi sono ora allo studio della Sovrintendenza. Non so, dunque, di che epoca sono. Mi ha colpito l’anello, che doveva essere un anello da sigillo, tant’è che lo abbiamo ritrovato ancora sporco di ceralacca. Era in oro, almeno laminato su altro metallo, con uno stemma indimenticabile: l’ostia consacrata. E’ impressionante, il disegno richiama molto quello che ora Papa Francesco ha assunto come suo stemma. Sarebbe bello che lo vedesse.
”La casa dei Faggiano ha livelli che sono rappresentativi di quasi tutta la storia della città, dai Messapi ai Romani, dal Medioevo fino all’età bizantina”, dice Giovanni Giangreco, funzionario del Ministero dei Beni culturali, ora in pensione, coinvolto nella supervisione degli scavi. I funzionari della Sovrintendenza, intuendo di essere di fronte ad una grande scoperta, portarono un archeologo sul sito, anche se i Faggiano si sono accollati i lavori di scavo, sostenendone le spese. Il signor Faggiano, cuoco provetto, continuava a sognare ancora una trattoria anche se, ormai, il progetto era diventato la sua Moby Dick. Intanto ha fondato un’Associazione culturale, denominata “Idume”, dal nome del fiume che scorre sotto la città di Lecce.

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L’Accordo individua tra gli obiettivi tematici la protezione, promozione e sviluppo del patrimonio culturale, considerato asset potenzialmente decisivo per lo sviluppo del Paese, sia in quanto fattore cruciale per la crescita e la coesione sociale, sia per gli effetti e le ricadute positive che esso è potenzialmente in grado di determinare nei rispetti del sistema dell’industria turistica.
Il Programma ha una dotazione finanziaria di 490,9 milioni di euro, di cui 368,2 milioni di euro a valere sui fondi strutturali europei (FESR) e 122,7 milioni di euro di cofinanziamento nazionale.
Il PON “Cultura e Sviluppo” 2014-2020 viene attuato attraverso una filiera corta e diretta: il MiBACT Amministrazione titolare del Programma si avvale delle sue articolazioni territoriali (Segretariati regionali, Poli museali, Soprintendenze) nell’ambito di una strategia di raccordo e di coordinamento con le Amministrazioni regionali delle cinque regioni interessate, con le quali saranno sottoscritti specifici Accordi Operativi di Attuazione (AOA)”.
Nulla cambia circa la necessità di coinvolgimento delle autorità regionali, in passato piuttosto inerti in materia, tant’è che ci sono state tantissime volte che si è corso il rischio di perdere i Fondi pur attribuiti, proprio a causa dell’incapacità progettuale delle stesse.
Si spera, invece, che ora, messe sotto il microscopio proprio per gli errori del passato, le Regioni siano più efficienti nella loro azione. Molto si potrebbe fare, però, se i cittadini, pur se attanagliati dalla crisi, fossero più propositivi e meno rassegnati. Propositivi come il signor Faggiano di cui vi ho raccontato.
Da queste pagine, parte un appello affinché vi sia maggiore partecipazione e minore lamentazione.
La filosofia dell’armiamoci e partite, se protratta, non consentirà al Sud di mettere in pista i suoi beni straordinari: un’eredità che è davvero un peccato dilapidare!

 

IL PARCO LETTERARIO CARLO LEVI. UNA PERLA DA RISCOPRIRE di Antonio Genovese – Numero 1 – Luglio 2015

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1. La prima volta che ci ho messo piede, su invito di una professoressa in pensione (che di allievi ne aveva menati tanti, in giro da quelle parti), mi sono chiesto come avessi fatto a non venirci prima. Infatti, avevo letto il Cristo di Carlo Levi, moltissimi anni prima, e quasi pensavo ad un mondo altro da quello in cui pure avevo vissuto negli anni fondamentali della mia formazione, nella Basilicata occidentale, dove l’influenza del pugliese è assai più sfumata e più avvertita quella del campano.
Ma il primo impatto non è stato con la lingua, con uno dei tanti dialetti della Basilicata (ancora non sufficientemente studiati, a mio avviso, nonostante gli studi di Bigalke e di Rohlfs1) ma con il paesaggio, perché, lasciandoci alle nostre spalle Stigliano (e il Parco Regionale di Gallipoli Cognato), siamo scesi verso le valli alluvionali, abbandonando il verde 

IL PARCO LETTERARIO CARLO LEVI. UNA PERLA DA RISCOPRIRE

 

Sembrava quasi di vivere molte delle pagine del romanzo, specie di quelle in cui l’Autore (rispolverate nozioni di medicina, che pensava di non dover mai utilizzare) racconta della sua missione notturna verso la frazione di Pantano, in visita di un malato grave (di malaria) che, purtroppo, non riuscirà a salvare. Il percorso, fra i calanchi in una nottata d’inverno, tra il nevischio, con la luce silenziosa della luna bianca, parla di queste argille che «precipitano verso l’Agri, in coni, grotte, anfratti, piagge, variegate bizzarramente dalla luce e dall’ombra», che poi l’artista ha anche cercato di raffigurare in molte sue opere pittoriche (quelle in terra di Basilicata sono visitabili presso il Museo nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata, che si trova a Matera, e ha sede a Palazzo Lanfranchi3 o, ad Aliano, nella Pinacoteca, che pure il tour del Parco consentirà di visitare) ma che ovviamente vanno vissute, compiendo tali percorsi en plein air, se del caso anche guidati da qualche accompagnatore: il più famoso di tutti è il prete, don Pierino (vero e proprio Virgilio, conoscitore di ogni dettaglio ma che non sempre rivela di buon grado, se non si entra in sintonia con lui).
Anche il visitatore, perciò, dev’essere avvertito che, come tutti i posti piccoli e remoti, non sempre bene indicati (anche quanto a segnaletica stradale), occorre armarsi di quella pazienza e gentilezza che non sembra avere avuto l’autore di un risentito pezzo giornalistico4.

intenso dell’ambiente alto collinare-montano, per calarci, guadando i fiumi Sauro e Agri, in un paesaggio quasi lunare: erano i calanchi2.

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2. La visita della casa di Carlo Levi è una tappa obbligata del percorso. Essa è rimasta la stessa di quando fu lasciata dal confinato politico nel 1936, assai prima di quanto lui stesso pensasse, quando già si era rassegnato a viverci a lungo. Dentro non ci sono oggetti, né suppellettili, né arredi (se si vuole, invece, vedere qualcosa dell’oggettistica del periodo, bisogna farsi aprire le porte del cd. museo della “Civiltà contadina” di Aliano, pure previsto nel tour), essendo rimasta completamente vuota: un vuoto che sicuramente emoziona così come emoziona il paesaggio che da quella porta si ammira e che si può meglio apprezzare dalla terrazza panoramica. 
Qui Levi dipingeva e costituiva l’attrazione di tanti giovani alianesi, oggi dispersisi nel mondo. Una questione che mi incuriosiva, avendo qualche anno prima, avuto tra le mani una pubblicazione del Servizio studi di Cariplo (Il Paese di Carlo Levi: Aliano, cinquant’anni dopo), Bari 1985, pp. 124 (che nel frattempo mi risulta essere stato anche digitalizzato e quindi più facilmente consultabile) dove si mostravano le enormi trasformazioni intervenute nel piccolo comune portato all’attenzione del mondo dal suo illustre ospite (suo malgrado). La distanza può essere ancor meglio misurata leggendo (e scorrendo le belle immagini riportate) il saggio di C. Magistro, Aliano e i suoi protagonisti Il racconto, tra storia e letteratura, dal dopoguerra alla caduta del fascismo, in Basilicata Regione Notizie, nn. 129-130 (p. 142 e ss.)5.
In realtà le polemiche contro l’Autore erano divampate subito, nel primo dopoguerra, dopo la pubblicazione del romanzo, che andava a ruba anche all’estero, come ben documenta Francesca R. Uccella in Cristo si è fermato a Eboli. Gagliano e il parco letterario di Aliano: metamorfosi di una memoria, in Quaderns d’Italià 13, 2008, pp. 147-1606 (l’Autrice studia la relazione e l’interazione reciproca tra Levi, l’opera – il Cristo – e la comunità di Aliano dal 1945, data di pubblicazione del romanzo fino al 2001, anno dell’ istituzione del Parco Letterario Carlo Levi).
Insomma, se da un lato, gli «alianesi» (o meglio, alcune parti qualificate di essi) hanno modificato la propria posizione, passata dall’originaria avversione fino all’inclusione del suo cantore, con l‘istituzione del Parco letterario, dall’altro lo stesso Levi ha fatto diventare l’esperienza del confino così centrale nella sua vita di artista e di politico, da scegliere poi di essere sepolto proprio ad Aliano (e la visita alla tomba dell’Autore è, necessariamente, una tappa per il visitatore che magari, ivi, potrà rileggere proprio i passi del romanzo che narrano delle sue limitate e controllate passeggiate in quel luogo (posto a picco sui calanchi!: resisterà – con il tempo – alla sfida con i fenomeni naturali?) e degli incontri, narrati con un certo interesse umano e letterario.

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3. Certo non è un mistero che Levi preferisse vivere a Grassano piuttosto che ad Aliano: ne parla nel Cristo; ne racconta del ritorno, quasi come un premio al confinato «modello». Vi si reca nuovamente (per terminare di dipingere alcune tele) e richiama alla mente tutti i ricordi della sua prima sistemazione: una realtà sicuramente più vivace e cittadina (che i grassanesi hanno voluto ricordare e far visitare, istituendo anche un proprio, secondo parco leviano7) e che non avrebbe voluto lasciare, se non vi fossero stati i provvedimenti punitivi presi dall’autorità di polizia, per la sua relazione con una donna sposata (ad un noto personaggio) e che lo raggiungeva da Torino per vivere il proprio rapporto, più o meno clandestino, sicuramente non gradito al regime (e forse ai benpensanti grassanesi!).
Resta il fatto che l’omaggio a Grassano, contenuto nel libro, è piuttosto un ricordo letterario (come anche, per certi versi, lo è il passaggio per Matera), ma non segnerà l’Autore nel suo profondo così come lo segnerà Aliano, al punto che il medico e dissidente torinese sentirà il bisogno di farne il centro della sua nuova esistenza, quantomeno come ricordo indelebile e come riflessione continua su quella formidabile scoperta etno-antropologica.
La scoperta ha poi alimentato tutta una vasta letteratura (che, ovviamente, qui non può essere richiamata, bastando solo far rinvio al lavoro, sopra menzionato, di Francesca R. Uccella ed alla bibliografia contenuta nelle note del suo bel saggio) ed ha persino prodotto una ricerca dei discendenti dei protagonisti dell’opera che ha portato ad una documentazione fotografica (di Antonio Pagnotta) di grande rilievo: frutto della ricerca socio-fotografica della sociologa Graziella Salvatore e del foto-reporter Antonio Pagnotta, “La Ruota, la Croce e la Penna”8.
E si potrebbe continuare, ancora a lungo.
Ma forse qui conviene arrestarsi e riprovare a parlarne dopo un tour nella Basilicata orientale.

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 1 cfr. F.R., Le lingue della Lucania, in http://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1120&id=285326&value=consiglioInfor – 2 se ne veda qualche immagine, anche se solo parzialmente coinvolgenti – dato che l’esperienza va vissuta percorrendo tutta l’area ed immergendosi nella dimensione geologico-naturalistica – nel sito web del Parco Letterario: http://www.parcolevi.it/ – 3 http://www.visitmatera.it/palazzo-lanfranchi.html – 4 http://basilicata.basilicata24.it/lopinione/interventi-commenti/volevo-visitare-luoghi-fu-confinato-levi-cacciato-9791.php. – 5 ora in: http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/files/docs/32/36/05/DOCUMENT_FILE_323605.pdf – 6 cfr.: http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:YrOwPaKnjc4J:http://www.raco.cat/index.php/QuadernsItalia/article/download/129463/178846%2Bfrancesca+uccella+cristo&hl=it&gbv=2&&ct=clnk -7 http://www.comune.grassano.mt.it/Parco.php – 8 su cui, vedi http://www.italplanet.it/templateStampa.asp?sez=81&info=4915

 

IL NUOVO SUD, DOPO “VENT’ANNI DI SOLITUDINE”! di Giuseppe Soriero – Numero 2 – Ottobre 2015

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Il dibattito è già avviato non solo tra i meridionalisti, ma innanzitutto nella Politica e nel Governo.
I riflettori accesi in piena estate dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ hanno disgelato dati eclatanti di “quella parte dell’Italia che sta peggio della Grecia”: dai 46,6 mila euro di valore aggiunto per abitante di Milano si precipita ai 12 mila in provincia di Agrigento. 
Già Romano Prodi, nella prefazione alla nuova edizione del volume “Sud, vent’anni di solitudine”, aveva richiamato l’attenzione sul “Racconto di due economie” illustrato dall’Economist: il prodotto interno lordo per abitante, in Calabria (16.462 euro) è ancora la metà esatta di quello di un cittadino della Valle d’Aosta (34.415 euro). Adesso, in presenza di primi incoraggianti segnali di ripresa della produzione, e dei consumi, è doveroso chiedersi se l’area meridionale sarà questa volta coinvolta positivamente negli scenari di sviluppo del Paese. Il Governo annuncia infatti nuovi investimenti nazionali ed europei assieme all’elaborazione di un “Master Plan” per l’area meridiana.

IL NUOVO SUD, DOPO
“VENT’ANNI DI SOLITUDINE”!

 

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MEZZOGIORNO SENZA MERIDIONALISMO?

Scritti e libri hanno alimentato un dibattito fazioso tra i sostenitori del mercato e quelli dello Stato: chi gridava allo scandalo per le troppe risorse verso il Sud e chi replicava, implorandone ancora di più.
E giacchè “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”(Albert Einstein), sono da correggere i guasti indotti sia dal potere centrale che dalle classi dirigenti meridionali, risvegliando l’anima del Sud e suscitando fiducia tra le forze propositive cui si rivolge innanzitutto il messaggio suggestivo della rivista Myrrha. Le energie sane in campo sono tante.
Si può dire infatti che il Mezzogiorno, come l’ambiente descritto nel capolavoro di García Márquez, sia ancora oggi un luogo popolato da persone, quali il protagonista José Arcadio Buendía, «la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia». E si può naturalmente parlare di un’area territoriale certo diversa dal villaggio di Macondo, ma non affatto irrecuperabile, nella quale come altrove «le cose hanno vita propria […] e si tratta soltanto di risvegliargli l’anima».

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RISVEGLIARE L’ANIMA DEL SUD.

Archiviando, innanzitutto, la singolare semplificazione sulla «diversità» identitaria dei meridionali che aveva istigato in alcune zone del Nord una diffusa interpretazione razzista. Certo, l’intervento pubblico straordinario verso il Sud è stato, nel passato, gelosamente tutelato come la «calamita», considerata indispensabile da Arcadio Buendía per «sviscerare l’oro della terra». Una buona parte dei cittadini meridionali, come nel romanzo di Márquez, non riuscendo a «consolarsi dell’insuccesso delle proprie calamite», concepì l’idea di «utilizzare quella invenzione come arma da guerra». E gli effetti qui sono stati devastanti nel moltiplicarsi di calamite clientelari che hanno precluso ogni argine alla penetrazione della corruzione e delle mafie.

MALI DEL SUD E MALI DELL’ITALIA.

Il potere criminale ha saputo cogliere in tempo i ritmi della globalizzazione ed è riuscito a integrare capitali e risorse umane superando ogni dualismo dentro un sistema unitario con baluardi vistosi addirittura in Lombardia, in Liguria, in Emilia e a Roma capitale. Tutto ciò è accaduto proprio mentre la politica privilegiava un dibattito ideologico sul federalismo fiscale come misura risolutiva dell’utilizzo della spesa pubblica, soprattutto per rieducare il Mezzogiorno. 
Vale convincersi, pertanto, che né la politica, né la cultura, hanno più tempo per distrarsi, eternando stancamente meri conflitti territoriali tra “Nordisti” e “Sudisti” giacchè è arrivata l’ora di rivoluzionare il nesso tra politica, economia e pubblica amministrazione. La crisi internazionale ha clamorosamente squarciato il velo e lo scenario oggi è più netto: o le due aree del Nord e del Sud cresceranno insieme o la ripresa dell’Italia rimarrà sempre più tiepida proprio mentre il Mediterraneo è in ebollizione e spinge comunque verso la modifica di secolari equilibri.

UN NUOVO INTERVENTO PUBLICO E PRIVATO.

«Un’altra Europa è possibile» continua a scrivere Habermas nella direzione indicata con nettezza da Paul Krugman: «I nostri governi devono spendere di più, non di meno, assumere insegnanti, costruire infrastrutture, scegliere spese utili». L’analisi più rigorosa delle esperienze internazionali analoghe, dalla Germania all’Irlanda, ci dice che l’intervento dello Stato, solo se protratto nel tempo, con misure innovative e consistenti supporti finanziari, può ridurre drasticamente i divari territoriali interni fino ad annullarli.

Le novità di scenario vanno a questo punto valutate in tempo: la macroregione vera è quella euro mediterranea.

Hic Rhodus hic salta! Il Nord Africa, pur condizionato dalla evidente instabilità politica, cresce più dell’Europa ed è già all’attenzione dei capitali finanziari della Cina e dell’India tanto da indurre rispettabili studiosi a coniare il neologismo “Cindoterraneo”.

Qui, c’è la vera sfida culturale per chi voglia contribuire a innovare il Meridionalismo, sapendo ragionare sull’utilità europea del Sud: un’area che possa essere percepita nella sua validità da ogni cittadino europeo,

dai sistemi europei dell’economia, della finanza, dell’informazione, della scienza e della cultura. Il problema vero è se l’Italia, nel suo insieme, intenderà misurarsi in una competizione non scontata tra alleanze internazionali. Qui, più che altrove, è praticabile la riduzione del costo logistico totale, attraverso l’offerta di servizi integrati per affrontare la sfida globale dei mercati. Dopo l’ampliamento del Canale di Suez v’è la possibilità di raddoppiare in dieci anni i movimenti di merci (nel 2025 ben 56.880.000 di TEU); quale sistema portuale saprà trarne vantaggio? Solo la Spagna, la Francia, il Nord Africa o finalmente anche l’Italia? 
E giacchè le attuali deficienze logistiche implicano per noi “un costo superiore dell’11%, circa 12 miliardi di euro, rispetto alla media europea” (studio Cassa DD.PP.), il pieno utilizzo delle infrastrutture meridionali è la precondizione per tornare a crescere; mediante la specializzazione di filiera di alcuni poli produttivi e di tutti i porti meridionali da Gioia Tauro a Taranto, da Napoli a Cagliari a Catania, con una strategia di sistema, utilissima anche ai porti del Nord, da Genova a Trieste e proiettando finalmente la rete di Alta Velocità da Salerno verso Gioia Tauro e la Sicilia.
Si richiedono oggi, pertanto, coraggio civile e culturale, analoghi a quelli delle classi dirigenti che nel secondo dopoguerra diedero impulso al miracolo economico; per suscitare adesso il proficuo coinvolgimento di tutte le energie culturali, progettuali, operative espresse da sindacati, imprenditori, università, associazioni culturali. Con analogo spessore dell’impegno nazionale profuso per l’Expo di Milano si lavori insomma per esaltare la scelta di Matera 2019, indicando nuove capacità operative e anche nuovi riferimenti simbolici alle nuove generazioni.

 

MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ di Giusto Puri Purini – Numero 2 – Ottobre 2015

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Palestina a Roma, il viaggio di S. Paolo.
Poi, l’esperienza ai “Vivai Del Sud” come Art-Director, in un contraltare di ombre sfavillanti, al design milanese, allora imperante, rigoroso e scarno.
Il mio punto di partenza di questa lunga ricerca senza fine è stato un libro, divenuto un cult degli anni 60, edito in USA, “The Hole Earth Catalogue”, accompagnato da uno splendido “Architettura Spontanea” di Bernard Rudowsky.
Nel Mediterraneo, quell’edificare nuragico, quei trulli di pietra, le Pagliare salentine e tante altre tipologie simili, sprigionavano un fascino che solo una vera armonia con la natura circostante poteva sprigionare.
Il Sud diventava così un osservatorio privilegiato, ed era l’habitat a far scorrere fra le genti quel minimo comune denominatore. Cambia lo scenario e il pensiero va al Nostro Mare, ai 1-10 -100 – Mediterranei, sparsi nel mondo, dove condizioni simili avevano creato Civiltà Simili, fino a raggiungere, nonostante rivalità e conflitti, eccellenze in tanti campi.

Dall’Himalaya quindi, “nuovo” antico centro, verso di noi (occidente) come un sasso in uno stagno attraverso fasce circoncentriche di culture e civiltà complesse, fino al Mediterraneo, alle colonne d’Ercole, superate psicologicamente e storicamente solo nel 1492, dall’altra parte, verso il continente americano, dove le colonne d’Ercole asiatiche rappresentavano per i popoli in movimento un “unicum” terrestre, continuo, e oggi è in distanza reale come da Stromboli vedere Panarea.
In questa collocazione strategica delle cose, come un grande progetto del passato, appare più naturale, originale per noi del Mediterraneo, proporre un viaggio a ritroso dai Greci verso oriente, alla ricerca di quelle tracce unificanti che diano ragione al progredire all’incontrario della storia e delle sue influenze.

immaginare un nuovo centro più “Mediterraneo” degli altri, il più alto, il più forte, il più vario climaticamente, centro di produzione di fonti vitali quali l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco.

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MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ

 

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Questa e altre sono

le responsabilità di MYRRHA, raccogliere quelle tracce originarie, per avviarci verso una nuova contemporaneità dei mezzogiorni, che prodotta dal territorio e dalle genti che ci vivono, contribuisca, con quelle nobili origini, alla trasformazione del mondo in direzioni il più possibile sostenibili.

Ma, se similitudini tra le poleis sono una certezza, che nasce dalle analogie delle necessità, diverso è il discorso sulle ideologie, sulle religioni, che dovrebbero essere le cinghie di trasmissione delle varie conoscenze, e dei suoi vari stati di sviluppo, e al contrario offuscano, ora da una parte ora dall’altra, con interventi drastici, l’immagine con la quale hanno assunto il loro ruolo egemonico tra le genti.
Se prevalesse la politica del “senso comune”, quello con la C maiuscola, a dispetto delle faziosità pratiche e della microconflittualità, in un’area come quella del Mediterraneo, rimarrebbero, alla fine, le diversità individuali e culturali sempre più appariscenti e spettacolari, come anche le sfumature e le similitudini… si fonderebbero piramidi con colonne, palme con bastoni, vezzi con potenzialità costruttive, i vuoti con i pieni, le ombre con la luce, i colori, in un infinito gioco delle parti, un crogiolo pieno da cui pescare con passione.

Come un’atomizzazione del territorio, collegati da flussi energetici, così ci appaiono gli insediamenti umani del Mediterraneo ed è questo infine il segno di molteplicità, intesa come scuola, fucina delle esperienze umane, come sviluppo del viaggio e della ricerca, e oltre a noi verso Est, l’immane pianeta oriente, più antico, più vasto, più alto, con altrettanti paradisi,

(French quarter, S. Charles, ecc.).
Immaginare tutto ciò, insieme ad influenze indiane, africane, francesi, inglesi, creole… un altro Mediterraneo e così via… Ed è questo il senso della ricerca (così come appare nell’Oltre il 7), suggerendo di collegare a questi viaggi, ed a questi spunti, un progettare continuo, un essere presente con strumenti adeguati, dubbi e certezze (impermanenze) suggerendo porte da aprire, sguardi da volgere, attivare i nostri sensi, raccontare le storie che fluiscono da nuovi incontri, costruire molteplici direzioni.
E, viaggiando oltre i Greci, quindi, verso la Ionia; l’Asia Minore e oltre; riuscire a far pace con la cultura d’origine, quella Greca, la nostra, nonostante si sia impadronita nei secoli di verità profonde, provenienti dal lontano oriente, e dopo averle acquisite, abbia alzato un baluardo verso quelle culture, considerando barbare le terre dalle quali Alessandro Magno, tanto aveva appreso (per esempio il Dio unico) in così poco tempo.
Scoprire, inoltre, affascinati, le favole dei miti, e, con l’architettura, le loro componenti terrene, come il mito della “Chimera”, drago e leone, sconfitta da Bellerofonte, con un dardo di piombo, con l’aiuto di Pegaso il cavallo alato, e precipitare sui monti della Lycia accanto ad Olimpia, lasciando al suolo 600 bocche di fuoco ancora fiammanti oggi, e descritte da Erodoto, in viaggio via mare da Side verso Alicarnasso, trent’anni dopo l’epica impresa di Alessandro Magno (330 a.C.).

 

Questo “non essere” cultura sedentaria ne ha spinto alcuni, nei tempi più remoti, verso il nord prima, e verso oriente poi, ancora… verso lo stretto di Bering, e le pianure nord americane, determinando la nascita e lo sviluppo di nuovi popoli, allungatisi e frazionatisi in un’infinita migrazione verticale… fino all’australe 

Patagonia…

Il Sud è nel mio DNA e nella mia mente da sempre. Un’attrazione irresistibile per quelle leggende e quei miti! Ho avuto un padre triestino-mitteleuropeo e una madre salernitana. Il Sud è entrato nella mia vita, come longitudine e latitudine, durante i miei studi alla facoltà di Architettura a Valle Giulia, e proseguito come scenografo di Roberto Rossellini con “Gli Atti degli Apostoli”, dove si descrive, dalla 

con centri del mondo come il Kaylas nell’Himalaya, ove il “macro” del pianeta si esalta, e i fiumi fluiscono senza fine verso i quattro punti cardinali della terra, e con loro fluisce il sapere, antichi intrecci, di dialogo cosmico mai interrotto, quel fruscio di qualche cosa che è arrivato anche a noi e forse ad altri.
E poi, oltre l’estremo Oriente, l’America invasa in tempi più recenti ancora dal “suo Oriente”, ma questa volta siamo noi, i popoli dell’occidente, ad avere incrinato l’idilliaco vivere delle popolazioni indiane, ricche di grandi civiltà e depositarie di antichi segreti. Vi abbiamo condotto in catene gli africani, e da questa unione impossibile è nato il nuovo continente, dove il magnifico e l’orribile si sono spesso avvinghiati in furiosi corpo a corpo, per fare sorgere comunque un laboratorio umano d’incredibile spessore, che da questa esperienza sta conducendo oggi la sfida mondiale agli altri continenti e alle vecchie sedimentazioni.
Mi viene in mente, tra gli altri “Mediterranei” il Golfo del Messico con New Orleans, regina in USA della musica, città “entertainment” del passato.

Il fatto di collegare impianto architettonico e giardino attraverso continui confronti e interazioni, ha reso possibile assimilare i segnali di un’architettura filtrante che sdrammatizzasse la severa occupazione di spazio del corpo centrale, con elementi leggeri che ne fossero come un’intercapedine e, quindi, anche matrice di una nuova possibilità di progettazione anche a livello di scale diverse, dai padiglioni effimeri ad interi quartieri di case minute (2 piani) e leggiadre, soffuse di Palladismo e ricche di armonia

Da qui l’idea dei due orienti, se visto dal nostro osservatorio mediterraneo, marginale in qualche modo rispetto al movimento vorticoso delle genti sino, mongole, tibetane.
Esse sono per noi il profondo oriente; quindi diviene “oltre oriente” per noi anche la terra degli maquis sugli altopiani messicani, e gli sciamani di corvo Rosso nelle “Black Hills”.
Le similitudini etniche sono stupefacenti, quelle semantiche e spirituali altrettanto…
Coloro invece che sono rimasti e hanno vegliato nei millenni all’ombra del Kaylas, nel centro del mondo al centro delle vette più alte, lì dove l’impatto della deriva dei continenti è stato più forte (subcontinente indiano con continente asiatico) sono il popolo tibetano, detto per eccellenza “il popolo degli uomini” così come si definiscono gli indiani delle praterie americane.
Questo popolo degli uomini è oggi calpestato come tanti altri popoli in terre ancora più lontane, ad Oriente… e come ci accaniamo contro la foresta Amazzonica, privando la terra del suo ossigeno, così falciamo i popoli antichi, cinghie di trasmissione di quella impertinenza, di cui avremo bisogno, oscurando i pochi fenomeni luce a noi rimasti.
Andare quindi verso oriente in un viaggio orizzontale attratti da un’antica verità, un’origine storico-geografica comune, una culla dei popoli, che attraverso il suo dispiegarsi, illustri come un grafico i movimenti vorticosi degli uomini;

 

LE MEZZOGIORNO AU CENTRE DE L’ATTENTION di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

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La « question méridionale » a été ravivée ces derniers mois. Tout d’abord par les données de l’étude SVIMEZ pour le septennat 2007-2014, selon laquelle le Sud de l’Italie a eu ces dernières années une croissance économique plus faible que celle de la Grèce, puis l’article de Roberto Saviano sur l’état d’abandon du Sud, puis l’article du magazine l’Espresso dénonçant le fait que « le Sud a disparu » « Effondrement démographique, fuite des cerveaux, économie immobile, entrepreneuriat absent ». Le mérite de ces publications a été de remettre l’état critique du Sud parmi les objectifs de l’action gouvernementale, le gouvernement ayant indiqué qu’il s’en saisira en octobre. Le ministre du Développement économique a en effet annoncé la convocation des Etats Généraux du Sud.

LE MEZZOGIORNO AU CENTRE DE L’ATTENTION

 

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Le Sud constitue une opportunité qui peut bénéficier au pays tant sur le plan économique que sur les autres plans, grâce aux énergies et aux ressources qu’il recèle et au potentiel de réhabilitation et de développement que des actions bien ciblées peuvent libérer.

Bien sûr, comme le note le rapport SVIMEZ, l’entreprise n’est pas facile, mais les résultats peuvent être significatifs. Dans le cadre général – certainement peu brillant – des résultats de notre pays, les chiffres concernant le Sud montrent une baisse plus importante que la moyenne nationale: qu’il s’agisse de l’investissement ou de l’emploi, de la capitalisation ou de la taille des entreprises ou de leur capacité productive. Il n’est pas négligeable que les exportations qui expliquent une grande partie de l’amélioration – bien que modeste – de la situation économique du Centre-Nord, ne se développent pas, pour des raisons structurelles, dans le Sud. La crainte est que ces facteurs ne se traduisent par une spirale qui conduise à la désertification du Sud, avec des scénarios allant de la dépression économique à l’émigration des jeunes en quête de formation ou d’emploi. Cela causerait un dommage énorme l’ensemble de la communauté nationale. Le Sud est traditionnellement complémentaire à l’économie du Nord et l’absence de demande intérieure qui affecte l’économie du Nord, bénéficierait certainement d’une augmentation de cette dernière, qui a diminué précisément dans le Sud et qui, en cas de reprise, donnerait une impulsion majeure à l’ensemble de l’économie nationale. Voilà pourquoi le Sud ne devrait pas être considérée comme un problème mais comme une opportunité et il convient de concentrer les efforts pour redonner un élan au Sud et, avec lui, au pays. La mission de la politique industrielle doit être d’indiquer aux institutions et aux entreprises des priorités et des objectifs à atteindre, de sorte que les efforts soient coordonnés et efficaces. Les ressources publiques et privées sont limitées, il donc indispensable de les concentrer sur quelques objectifs jugés essentiels. Bien sûr, il faut s’inspirer des analyses de la Banque d’Italie, de SVIMEZ et d’autres instituts, pour en dégager des axes d’actions. Sans oublier que les institutions peuvent faire beaucoup si elles peuvent identifier des priorités, des moyens d’accélérer et de concentrer les compétences nécessaires pour atteindre ces objectifs. Bref, beaucoup peut être fait pour soutenir l’action des opérateurs privés même sans l’utilisation de ressources publiques et sans recours à des outils exceptionnels. 
L’idée de convoquer des Etats Généraux du Mezzogiorno, annoncé par le Ministre du Développement Economique est digne d’encouragement. Les Etats Généraux n’appartiennent pas à la tradition de notre pays. Mais l’esprit et le but en sont partagés. Les institutions nationales et locales, les universités, les opérateurs économiques et financiers, les syndicats doivent pouvoir exprimer leurs points de vue dans le cadre d’une consultation publique et transparente ou d’une conférence institutionnelle élargie aux citoyens, d’un débat public avec un calendrier prédéfini. Puis chacun prendra ses décisions dans sa sphère de compétences. Il ne s’agit pas d’une forme de concertation paralysante avec droits de vote, mais d’une discussion commune qui permette également de créer des synergies entre les institutions, notamment locales ou à compétences territoriales définies, afin d’assurer la coordination des politiques et des actions sur le territoire.
Des propositions qui pourraient être soumises à cette consultation peuvent déjà être avancées.
Il convient de privilégier parmi les initiatives économiques celles qui investissent dans les filières productives (global value chain) en particulier le secteur agro-alimentaire et les services, ces derniers constituant au Sud le secteur qui montré une croissance majeure, et dans les infrastructures, en particulier les services publics de mobilité et les réseaux.

La nécessité, ressentie par tous, de mettre à nouveau le Mezzogiorno au centre de l’attention nationale doit être considérée non pas comme un problème insoluble, mais comme une grande chance, non seulement pour le Sud, mais pour tout le pays.

Le Sud n’a pas besoin de grands travaux, ils ne sont en tout cas pas une priorité, mais d’un entretien adapté du territoire, des infrastructures existantes et de l’environnement, avec des interventions qui auraient l’avantage d’un retour immédiat en termes économiques, et de résultats rapides sur l’activité économique et touristique.

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ce qui frappe le voyageur c’est le mythe, la légende qui figure derrière chaque lieu, symbole, rocher, buisson ou falaise. Ici, plus que dans toute autre partie de notre pays, la nature et les choses sont vivantes et racontent des histoires et des traditions.

La base de tout est la légalité. Elle doit constituer l’engagement de l’Etat à assurer la sécurité des citoyens et des opérateurs. Il faut favoriser particulièrement dans le Sud la création de centres d’excellence

La valorisation du patrimoine artistique, historique, et archéologique – qui constitue la vraie richesse naturelle du Sud – requiert un ensemble de compétences qui heureusement existent déjà, mais aussi une communication plus efficace et la définition de parcours de qualité qui expriment ces valeurs. Il faudrait utiliser au mieux les moyens modernes d’accès à l’information et la “mise en réseau” des connaissances et expériences, afin de créer les synergies nécessaires au développement et en faciliter l’accès: un Portail Pour le Sud, autour duquel solliciter la création, par des universitaires et des étudiants, d’applications pour faciliter l’accès aux utilisateurs. Les administrations, les universités et les opérateurs peuvent coopérer dans ce but.
Last but not least, la formation. Les universités doivent trouver de meilleures formes d’intégration et de coordination des cours, pour éviter les chevauchements préjudiciables. Il conviendrait ensuite de se concentrer sur les centres d’excellence, de les identifier et de les favoriser. Des cours de formation post universitaires peuvent être institués pour soutenir la création de spin-off dans les secteurs économiques les plus prometteurs, identifiés dans les axes de développement, des parcours qui impliquent les universitaires, les diplômés et les opérateurs économiques.

pour inciter les jeunes à entreprendre des carrières dans la magistrature et les forces armées et de police.
Il ne s’agit bien sûr que de quelques idées. Il peut s’en trouver d’autres et des meilleures, avec une conviction : que le Sud, malgré les critiques qui ont récemment ressurgi, est une grande opportunité de croissance, un laboratoire dans lequel peuvent être expérimentées des voies utiles à l’ensemble du pays. L’énergie et la volonté sont là et il peut être fait appel à ceux qui dans le Sud croient et sont prêts à adhérer, de manière désintéressée, à une «mobilisation» des intelligences qui puissent contribuer à concevoir un nouveau démarrage. Ce serait un autre don du Sud.

A cette fin il serait utile de s’inspirer de ce qui a été réalisé dans d’autres pays européens sur les Zones Economiques Spéciales (ZES) qui, comme l’explique l’étude SVIMEZ, sont «les zones caractérisées par la présence d’un port … et dans lesquelles sont appliqués des systèmes de traitement douanier spécifiques, des exonérations fiscales, des facilités administratives et de services aux entreprises, dans le but principal d’attirer des investisseurs étrangers ». Les avantages fiscaux prévus par l’UE devraient être utilisés dans ces ZES. Dans le Sud, les ZES pourraient être établies dans les zones portuaires transhipment de Gioia Tauro, Tarente et Catane. Sans oublier que les grands réseaux qui transportent le gaz, et sont essentiels pour la production d’énergie, ont différents points d’accès dans notre Mezzogiorno et de là, rayonnent dans le reste du continent: quatre gazoducs partent de la rive sud de la Méditerranée vers l’Europe, deux d’entre eux vers le sud de l’Italie: le Transmed qui de l’Algérie traverse la Tunisie pour arriver à Mazara del Vallo, le Greenstream, qui de la Libye arrive à Gela; et d’autres sont prévus: le gazoduc Galsi entre l’Algérie et la Sardaigne puis vers Piombino; le TAP – le gazoduc trans-andriatique, qui traversera la Grèce et l’Albanie pour rejoindre le réseau italien à Salento; l’Interconnexion Grèce-Italie (Port d’Otrante).
Pour financer ces interventions il convient d’utiliser au mieux les Fonds Structurels pour la période 2014-2020. Là aussi, une coopération mutuelle est nécessaire. Il existe en effet des administrations et des régions capables plus que d’autres de partager leurs connaissances sur les modalités d’accession à ces fonds. Le transfert de ces best practice constituerait une valeur ajoutée à exploiter, par le détachement d’experts des meilleures administrations dans celles moins efficaces, ou l’envoi d’employés de ces dernières dans les premières pour apprendre les méthodes les plus adaptées. La Conférence Etat-Régions pourrait donner une impulsion au processus.
Une autre ressource clé de notre Mezzogiorno sont la culture et les paysages. Ce n’est pas seulement la beauté des panoramas ou des monuments historiques ou archéologiques qui surprend le visiteur mais le caractère évocateur de cette beauté. Qu’il s’agisse des bronzes de Riace, ou de la Vallée des Temples d’Agrigente, du théâtre grec de Syracuse, de Paestum, de Pompéi ou d’Herculanum, de la campagne du Salento, du Cretto Burri ou des Sassi de Matera,

 

IL MEZZOGIORNO NEL FUOCO DELL’ATTENZIONE di Carlo Malinconico – Numero 2 – Ottobre 2015

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Si è riaccesa negli ultimi mesi la “questione meridionale”. Prima i dati della ricerca Svimez per il settennio 2007-2014, secondo cui il Mezzogiorno d’Italia ha avuto negli ultimi anni una crescita economica inferiore a quella della Grecia, poi l’articolo di Saviano sullo stato di abbandono del Sud, poi l’articolo de L’Espresso che denuncia “È sparito il Sud” “Crollo demografico. Fuga di cervelli. Economia immobile. Imprenditoria assente”. Il merito di queste denunce è stato quello di riportare le criticità del Sud negli obiettivi dell’azione di Governo, che – a quanto comunicato – se ne occuperà a ottobre prossimo. Il Ministro dello sviluppo economico ha preannunciato la convocazione degli Stati Generali del Sud.

 

IL MEZZOGIORNO NEL FUOCO DELL’ATTENZIONE

 

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Per le energie e le risorse che può esprimere e per il margine di recupero e di sviluppo che azioni ben mirate possono realizzare, il Sud costituisce un’occasione in grado di avvantaggiare i conti, economici e non, del Paese.

Certo, come ricorda il rapporto SVIMEZ l’impresa non è facile, ma i risultati possono essere importanti. Nel generale quadro – non certo brillante – dei risultati del nostro Paese, le cifre che riguardano il Mezzogiorno indicano un arretramento maggiore rispetto alla media nazionale: dagli investimenti all’occupazione, dalla capitalizzazione e dimensione delle imprese alla capacità produttiva. Non insignificante è la considerazione che il traino delle esportazioni, che costituisce gran parte del, sia pur modesto, miglioramento della congiuntura economica del Centro-Nord, non funziona, per ragioni strutturali, al Sud. Il timore è che questi fattori diano luogo ad un avvitamento, che porti alla cosiddetta desertificazione del Sud, con scenari che vanno dalla depressione economica alla fuga dei giovani in cerca di formazione prima ancora che di occupazione. Sarebbe un danno enorme per l’intera comunità nazionale. Il Sud è tradizionalmente complementare all’economia del Nord e la carenza di domanda interna, che affligge l’economia del Nord, certo si avvantaggerebbe di una crescita della domanda interna, che proprio al Sud è maggiormente calata e che, in caso di ripresa, darebbe una spinta importante a tutta l’economia nazionale. Ecco perché il Sud non va visto come un problema ma come un’opportunità ed occorre una concentrazione di sforzi per ridare slancio al Sud e, con esso, al Paese.

L’esigenza, da tutti avvertita, di mettere nuovamente il Mezzogiorno nel fuoco dell’attenzione nazionale deve essere vista non come un problema irresolubile, ma come una grande occasione, non solo per il Sud ma per tutto il Paese.

Non di grandi opere ha necessità il Sud, almeno non come priorità, ma di una robusta manutenzione del territorio, delle infrastrutture esistenti e dell’ambiente, con interventi che avrebbero il pregio di un ritorno immediato in termini economici di effetto della spesa e della fruibilità immediata a vantaggio delle attività economiche e turistiche.

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Certo occorre una politica industriale che dia punti di riferimento precisi e affidabili. Le energie non possono disperdersi in mille rivoli. Occorre procedere con realismo ma anche con determinazione.

Compito della politica industriale deve essere quello di indicare a Istituzioni e imprese le priorità e gli obiettivi da realizzare, in modo che gli sforzi siano coordinati ed efficaci. Le risorse, pubbliche e private, sono limitate e a maggior ragione occorre concentrarle su alcuni obiettivi ritenuti essenziali. Certo si deve partire dalle analisi già elaborate da Banca d’Italia, da SVIMEZ e da altri Istituti, per trarne gli spunti dell’azione di governo. Senza dimenticare che le Istituzioni possono fare molto già se riescono a individuare priorità, descrivere procedimenti accelerati, concentrare le competenze per realizzare detti obiettivi. Insomma, molto si può fare, anche senza impiego di pubbliche risorse e senza ricorso a strumenti straordinari, per sostenere l’azione degli operatori privati.
L’idea della convocazione degli Stati generali del Mezzogiorno, preannunciata dal Ministro dello sviluppo economico appare meritevole d’incoraggiamento. Gli Stati generali non appartengono, invero, alla tradizione del nostro Paese. Ma lo spirito e l’obiettivo sono condivisibili. Istituzioni nazionali e locali, Università, operatori economici e finanziari, sindacati debbono poter esprimere i rispettivi punti di vista in una sorta di consultazione pubblica e trasparente o, se si vuole, una conferenza di servizi allargata al pubblico, un débat public con tempi prefissati. Poi ognuno prenderà le sue determinazioni nell’ambito della propria sfera di competenza. Non una forma di necessaria concertazione paralizzante e con diritti di veto, ma una discussione comune che valga anche a mettere in sinergia le istituzioni, specie locali o con competenza territorialmente delimitata, al fine di assicurare il coordinamento delle direttive e delle azioni sul territorio. 
Possono fin d’ora avanzarsi proposte da sottoporre al vaglio di questa consultazione. 
Tra le iniziative economiche, occorre privilegiare quelle che investono sulle filiere produttive (global value chain), specie della catena alimentare e dei servizi, questi ultimi essendo – oltre tutto – il settore che ha manifestato al Sud la maggiore positività, e sulle infrastrutture, specie quelle dei servizi pubblici di mobilità e sulle reti.

Si potrebbe puntare, a questo fine e prendendo spunto da quanto avvenuto in altri Paesi europei, sulle Zone Economiche Speciali (ZES), che come spiega il rapporto SVIMEZ, sono “aree caratterizzate dalla presenza di un porto … e nelle quali vigono specifici regimi di trattamento doganale, di esenzioni fiscali, di facilitazioni amministrative e di servizi alle imprese, con il principale obiettivo di attrarre investitori stranieri”. E andrebbe percorsa in queste ZES la via della fiscalità di compensazione nell’ambito dell’UE. Nel Mezzogiorno, ZES potrebbero essere costituite nelle aree dei porti transhipment di Gioia Tauro, Taranto e Catania. Senza dimenticare che le grandi reti che trasportano gas e sono essenziali per la produzione dell’energia hanno diversi punti di accesso al nostro Mezzogiorno e da qui si irradiano al resto del continente: dalla riva Sud del Mediterraneo partono quattro gasdotti verso l’Europa, due dei quali verso il Mezzogiorno d’Italia: il Transmed che dall’Algeria attraverso la Tunisia arriva a Mazara del Vallo, il Greenstream, che dalla Libia arriva a Gela; ed altri sono in progettazione: il Galsi dall’Algeria alla Sardegna e poi a Piombino; il TAP – Gasdotto Trans Adriatico, che attraverserà la Grecia, l’Albania per connettersi alla rete Italiana in Salento; l’Interconnettore Grecia-Italia (Porto di Otranto). 
Per finanziare questi interventi occorre utilizzare al meglio i Fondi strutturali 2014-2020. Anche qui è necessaria la mutua collaborazione. Esistono infatti amministrazioni e regioni capaci più di altre di trasferire conoscenze sulle modalità di accesso a tali Fondi. Il trasferimento di queste best practice costituirebbe un valore aggiunto, cui si potrebbe accedere o con il distacco di esperti delle migliori amministrazioni presso quelle più deficitarie o attraverso l’invio di dipendenti di queste ultime presso le prime per apprendere i comportamenti virtuosi. La Conferenza Stato regioni potrebbe dare un impulso al processo. 
Altra risorsa fondamentale del nostro Mezzogiorno sono la cultura e il paesaggio. A sorprendere il visitatore non è solo la bellezza panoramica o il singolo monumento storico-archeologico, ma il carattere evocativo di tali bellezze. Che si tratti dei bronzi di Riace o della Valle dei templi di Agrigento, del Teatro greco di Siracusa, di Paestum, di Pompei o di Ercolano, della campagna salentina, del Cretto di Burri o dei Sassi di Matera,

ciò che colpisce il viaggiatore è il mito, la leggenda che sta dietro ogni luogo, simbolo, roccia, pietra, arbusto o faraglione. Qui più che in ogni altra parte del nostro Paese la natura e le cose sono vive e raccontano storie e tradizioni.

La valorizzazione del patrimonio artistico, storico, archeologico – che è il vero petrolio del Mezzogiorno – richiede una serie di competenze che fortunatamente già ci sono, ma anche una più efficace comunicazione e la definizione di percorsi di qualità che esprimano questi valori. Occorre sfruttare al meglio i moderni strumenti di accesso alle informazioni e la “messa in rete” delle conoscenze e delle esperienze, perché si crei la necessaria sinergia di sviluppo e la più agevole facilità di accesso: un portale per il Sud, attorno al quale sollecitare la creazione, da parte di universitari e studenti anche più giovani, di applicazioni per agevolare l’utente. Soprintendenze, Università e operatori possono cooperare a tale fine.
Da ultima, ma non ultima, la formazione. Le Università debbono trovare forme migliori d’integrazione e di coordinamento dei corsi, per evitare dannose duplicazioni. Occorre poi puntare sui centri d’eccellenza, individuarli e favorirli. Si possono istituire percorsi formativi successivi allo studio universitario per il sostegno alla creazione di spin off nei settori economici più promettenti, individuati nelle linee di sviluppo, percorsi nei quali coinvolgere docenti, laureati e operatori economici.

Base di tutto è la legalità. Questo deve essere l’impegno dello Stato per dare sicurezza a cittadini e operatori. Occorre favorire proprio al Sud la creazione di centri di eccellenza

per la formazione di giovani da avviare alle carriere delle magistrature e delle forze armate e di polizia. 
Naturalmente si tratta solo di spunti. Altri e migliori se ne possono trovare, con una convinzione: che il Sud, pur con le criticità da ultimo riemerse, è una grande occasione di crescita, un laboratorio in cui si possono sperimentare percorsi utili per tutto il Paese. Le energie e la volontà ci sono e si può fare appello a quanti disinteressatamente nel Mezzogiorno credono e sono pronti ad aderire ad una “leva” di intelligenze che possano contribuire al disegno di rilancio. Sarebbe un ulteriore dono del Sud.

 

L’ALLIEVO FUGGITIVO di Giovanna Mulas – Numero 2 – Ottobre 2015

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giudicati privi di saggezza. Ma la nostra non è società saggia. L’uomo pensante, di norma, viene deriso, ché nel suo costante tentativo di spiegare una realtà che la Massa non riesce a immaginare e quindi metabolizzare, dona l’impressione di voler respingere quella stessa realtà, cosa che in effetti accade, ma che per quanto falsa, rappresenta per la Massa una realtà di tranquilla abitudine, di sicurezza piena. “…Nel mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l’idea del bene; ma quando la si è veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell’intelligibile largisce essa stessa, da sovrana, verità e intelletto…” (Platone, La Repubblica, libro VII, 517 b – c).

L’ALLIEVO FUGGITIVO

 

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In Italia, e soprattutto nel Sud, una parte troppo ampia degli adolescenti è priva delle competenze necessarie per crescere e farsi strada nella vita:

più di 1 minore su 10 vive in condizioni di povertà estrema e aggrava e consolida, come in un circolo vizioso, le condizioni di svantaggio e di impoverimento già presenti nel nucleo familiare. Povertà economica ed educativa si alimentano reciprocamente, trasmettendosi di generazione in generazione. 
In questa nostra Società, in preda ad oscurantismo profondo, formattata e annichilita, sono due le scelte che l’Uomo può compiere attraverso Arte e Cultura: o si esprimono le strutture conservatrici stordendosi e stordendo di Non Necessità individualiste legate comunque ad economia e potere; oppure ci si fa espressione di quella libertà non omogeneizzabile alla tirannia consumistica sostenendo le parti progressive, decretando una rivoluzione nelle coscienze, uno stesso rapporto rivoluzionario fra poesia e vita che smorzino indifferenza etica e insensibilità sociale, disumanizzazione dei rapporti.

Nulla è meglio, per il Sistema, dell’ignorante: chi si renderà conto della profonda ignoranza del Sistema, della sua pericolosità?
Penso all’affascinante mito della caverna di Platone.

è soltanto tra gli sciocchi che i saggi vengono 

Risulta fondamentale levigare, limare la pietra grezza, lavorare sulla coscienza del cittadino comune frastornato da consumo, informazione deviata.

Secondo il nuovo rapporto di Save the Children “Illuminiamo il Futuro 2030 – Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa”, nel Sud il 48,4% dei minori non ha letto neanche un libro nell’anno precedente, il 69,4% non ha visitato un sito archeologico e il 55,2% un museo, il 45,5% non ha svolto alcuna attività sportiva. La metà delle scuole è priva di un certificato di agibilità e/o abitabilità, il 54% degli edifici non è in regola con la normativa anti-incendio, il 32% non rispetta le norme anti sismiche. A Sud e nelle isole, la percentuale di adolescenti che non consegue le competenze minime in matematica e lettura raggiunge rispettivamente il 44,2% e il 42%, con un picco estremo in Calabria (46% e 37%).
La lettura è indispensabile per crescere, comprendere, per cambiare visione dell’esistenza. Ma siamo sicuri che un lettore sappia distinguere la buona lettura dal puro commercio editoriale? 

Censura dei testi scolastici: addirittura cancellazione, dai piani di studio, di nomi tra i più validi e riconosciuti della Letteratura mondiale, rappresentanti del pensiero puro. Privatizzazione dell’istruzione, uno dei diritti fondamentali dell’Uomo, ogni Uomo.

Chi è privo della filosofia (coloro che sono all’oscuro della verità) sono paragonabili ai prigionieri di una caverna dove sono nati e cresciuti, costretti a guardare in un’unica direzione ché incatenati a terra. Hanno un fuoco alle spalle, tra il fuoco e i prigionieri corre una strada rialzata. Un muro costeggia questa strada, alcuni uomini vi protendono piante, oggetti e animali, i prigionieri vedono soltanto la propria ombra e quella degli oggetti proiettata sul muro dalla luce del fuoco. Dunque i prigionieri considerano queste ombre reali: non hanno cognizione di ciò a cui sono dovute. Se qualcuno degli uomini che trasportano le forme parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che la voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Chi riesce a fuggire dalla caverna vede il sole ma prova forte dolore agli occhi: per la prima volta vede le cose come davvero sono, si rende conto che fino a quel momento è stato ingannato da ombre.

Il filosofo, il fuggitivo, sentirà come un dovere, verso i dormienti, indicare la strada per uscire. Troverà molta difficoltà nel persuaderli (è una realtà che loro non immaginano nemmeno), potrebbe addirittura spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce,

in quanto, per loro, non vale la pena subire il dolore dell’accecamento e la fatica, per andare a guardare le cose da lui descritte. Perciò i dormienti, i prigionieri, rifiutano per loro stessa volontà l’invito ad uscire, a conoscere. 
Il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che “…è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano.”. 
Non è accettabile che il futuro dei ragazzi sia determinato dalla loro provenienza sociale, geografica o di genere; in questo preciso momento storico è importante lo sforzo delle librerie indipendenti, la resistenza di associazioni culturali e di coloro che possono favorire il dialogo e l’incontro, il pluralismo. 
E’ ovvio che la privatizzazione del sistema di istruzione mira ovviamente ad una nuova, generale ondata di ignoranza, plagio della Massa già disarticolata, sbandata: il dovere dell’intellettuale, oggi, è dunque di lavorare di costante consapevolezza con la gente e tra la gente. Ovunque. 
Conditio Sine Qua Non è l’operare di teorico-pratica tra il politico, sociale e il culturale tramite gruppi locali multidisciplinari, in costante esercizio di immaginazione, con la capacità di trovare risposte in base alle risorse economiche disponibili. Scorgere, rivelare risorse in tempi, come gli attuali e i prospettati futuri, di intimo limite economico. Le enormi diseguaglianze che oggi colpiscono i bambini e i ragazzi in Italia vanno superate attivando subito un piano di contrasto alla povertà minorile, potenziando l’offerta di servizi educativi di qualità. E’ inoltre fondamentale stringere costantemente alleanze con ulteriori, diverse realtà in grado di arricchire, in termini di cultura e umanità, le altre Comunità: solo ciò che si conosce, non si teme. 
Amo immaginare un legame forte, più forte tra tutti Noi. 
Che arriva al sangue, dove la terra si ferma.

 

UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD di Carmen Lasorella – Numero 2 – Ottobre 2015

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Nel 1946, una donna trentina veniva eletta con i voti del Sud all’Assemblea costituente. Si chiamava Maria De Unterrichter. Era di cultura tedesca ed aveva sposato un napoletano. 
Contraddizioni? Fu una ricchezza. 
Accaddero tante cose in quell’anno in Italia. Il referendum cancellò la monarchia. Le donne ebbero il diritto di voto. Si lavorò alla Costituzione della Repubblica. Si prese in mano la vita del Paese, che usciva dalla guerra. Non ci furono solo i Padri costituenti, dunque, ma anche le Madri costituenti: 21 donne su 556 deputati. Una pattuglia composta da 9 Dc, 9 comuniste, 2 socialiste e 1 rappresentante del Fronte dell’Uomo qualunque, una formazione di centro-destra.

UNA MADRE COSTITUENTE PER IL SUD

 

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Con le colleghe che vissero quell’irripetibile avventura, condivise la prima battaglia istituzionale di genere, che superò le radici e le ideologie: ottenere il rispetto degli uomini; influire attraverso le scelte politiche sui destini della neonata repubblica in un dopoguerra di sconfitta; occuparsi della condizione femminile, cominciando da quella più emarginata del Sud.

Del Mezzogiorno erano in cinque: due siciliane, due abruzzesi e una pugliese, cui si aggiunse, sesta, la De Unterrichter, che era stata eletta nella circoscrizione lucana (Potenza, Matera), già che suo marito, Raffaele Jervolino, correva per Napoli. Lei veniva da esperienze mittle europee, dalla Fuci, dai movimenti femminili che stavano nascendo, dall’insegnamento e da una realtà profondamente cattolica.

Il Piano Marshall fu pensato per il Nord capitalista, mentre agli imprenditori del Sud non fu offerto lo stesso sostegno, nè condizioni di parità.

L’ambiente intorno non era dei più favorevoli. Per ragioni diverse, ma riconducibili allo stesso pregiudizio maschilista, le donne erano appena tollerate, considerate troppo emotive per occuparsi di politica o di economia, inadatte agli incarichi pubblici, vissute come una minaccia per la stabilità della famiglia. Lo pensavano i democristiani e perfino di più le sinistre, nonostante proprio le donne, durante la guerra, entrando nelle fabbriche e negli uffici, oltre agli impieghi sanitari e scolastici, avessero egregiamente sostituito gli uomini al fronte. Era un sentire diffuso, che il Sud esprimeva in modo radicale. Quel Sud che paradossalmente aveva segnato la più alta percentuale di affluenza alle urne delle prime elettrici (86,2 contro 84,8 elettori, mentre in Sardegna aveva superato l’87 per cento), laddove però le donne meridionali, in gran parte analfabete, avevano votato a maggioranza per la monarchia, condizionate dal retaggio delle tradizioni e dal fascino della corona. 
In un tempo in cui vigeva ancora la patria potestà e la potestà del marito, fuori dalla magistratura e dalla diplomazia, con salari deliberatamente più bassi e in un contesto culturale arcaico, che si imperniava proprio sull’arretratezza femminile,

le prime donne investite di un potere istituzionale pensarono al Sud. E cominciarono naturalmente dalla formazione, seguendo anche il metodo Montessori.

L’equilibrio, appunto. 
Sia per le donne, sia per il Sud non è stato mai cercato. Ai tempi della De Unterrichter sappiamo come è andata. Per le aree depresse del Mezzogiorno, si preferì una riforma agraria, piuttosto che l’industrializzazione. Alla domanda di giustizia sociale, si rispose con la creazione di una debole classe media, che avrebbe arginato le rivendicazioni comuniste e rassicurato “i padroni”, come pure gli interessi d’oltre oceano. Si consolò la miseria con le opere pubbliche e si alimentò il sottogoverno con la speculazione edilizia.

Perfino il Papa, negli stessi giorni, se ne è occupato. Ha espresso concetti forti: le donne devono trovare il posto che spetta loro nella società, la corruzione le sfrutta, i pregiudizi le isolano, peggio, sono ingiustamente demonizzate. Una società che vuole crescere deve trovare l’equilibrio.

In sostanza, deliberatamente, mancò una visione unitaria del Paese. Secondo i codici keynesiani, all’epoca di moda, solo lo Stato avrebbe potuto rilanciare l’economia del Sud. Il Mezzogiorno avrebbe vissuto di intervento pubblico e di ammortizzatori sociali. Sarebbe stata una storia di contributi a pioggia, con la Cassa del Mezzogiorno e di sudditanza ai partiti. Inevitabili le collusioni, l’infezione delle mafie, la sottocultura, la rinuncia al progresso – come teorizzava Pierpaolo Pasolini – per il quale il progresso era una nozione ideale, sociale e politica, molto più importante dello sviluppo, in sé solo pragmatico ed economico. 
Se ci saranno gli stati generali per il Mezzogiorno, come annuncia il governo Renzi, dopo 70 anni – diciamo – di equivoci, bisognerebbe trovare un centro alle mille e una cose da fare.

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Contaminazione di altre esperienze, conoscenza, diritti, valori per incidere la carne morta di quella società, cercando anche di attenuare lo “scambio ineguale” – come lo definiva la semantica marxista – del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia. Fu un lavoro eroico, presto condiviso dalle intelligenze locali più evolute, che si impegnarono nell’istruzione e nella sanità, puntando sull’associazionismo, per migliorare le condizioni primarie delle donne, oltre gli steccati della diffidenza o peggio in aperta ostilità. 
Quantum mutatis ab illo! Dovremmo poter dire oggi con le parole di Virgilio. Quanti cambiamenti da allora…Ma se scorriamo gli ultimi dati della Svimez (nel dopoguerra, la Svimez recitò un ruolo centrale nella politica per il Mezzogiorno, insieme alla Confindustria e ai governi filoamericani del tempo) l’ottimismo si arena. Nihil sub sole novum?! Niente di nuovo sotto il sole?! Fino ai 34 anni, al Sud lavora solo una donna su cinque. L’allarme povertà riguarda una persona su tre ed è donna. Due milioni di donne meridionali sono classificate NEET, ovvero non studiano, hanno rinunciato al lavoro e non si aggiornano. Nel complesso, la crescita del Mezzogiorno è stata del 13 per cento in quindici anni (2000 -2015), 40 punti in meno rispetto alla media europea, che segna il 53,6. La Svimez prevede che il divario Nord/Sud continuerà a crescere, che ci sarà uno tsunami demografico a seguito dell’aumento dell’emigrazione e del crollo delle nascite; che al Sud si produrrà di meno, si guadagnerà di meno, pagheranno di più i giovani e le donne.

Domanda: quale altro centro sarebbe migliore della ricerca dell’equilibrio? A cominciare proprio dal ruolo delle donne del Sud, che non sono mai state un problema, ma restano una risorsa? La loro esclusione è un deficit di democrazia.

Su ottomila comuni italiani, ce ne sono solo 200 nel Mezzogiorno, che portano la gonna. Sono i sindaci di piccole realtà, in gran parte di poche migliaia di abitanti. Quasi una famiglia, dunque, e nessuno si stupisce se in una famiglia a governare è una donna. E’ poco. La De Unterrichter scriveva: “Coraggio, bisogna prendere in mano il proprio destino”. La storia però ha dimostrato che non basta, quando manca l’equilibrio.

 

STREGATI DALL’ARTE LA COLLEZIONE D’ARTE CONTEMPORANEA BERLINGIERI, ECCELLENZA ITALIANA NEL MONDO di Luce Monachesi – Numero 2 – Ottobre 2015

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Poi ereditano il castello avito a San Basilio, in Basilicata, appartenuto a Emma sorella dell’Imperatore Federico II di Svevia, (poi divenuto monastero benedettino) e, in anni più recenti Palazzo Mazzarino a Palermo. A questa coppia unitissima di straordinari mecenati il merito di averli restaurati e fatti diventar gioielli dell’Italia del Sud.

Eravamo incuriositi dalle opere di artisti contemporanei che nostro cugino Niccolò Leonardi e il suo amico Giuseppe Panza di Biumo collezionavano da tempo. Approfittammo del ritardo della nascita della nostra primogenita Lydia nel 1968, per impiegare il nostro tempo visitando le gallerie d’arte di Milano. Ci imbattemmo in una straordinaria opera di Fontana: avemmo entrambi un colpo di fulmine e l’acquistammo immediatamente. Decidemmo così di iniziare una collezione di artisti contemporanei. Per non danneggiare le nostre figlie con investimenti sbagliati, però, cominciammo anche ad acquistare opere di artisti tradizionali alle aste, in provincia, rivendendole in città. Con il ricavato acquistavamo opere di avanguardia.

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STREGATI DALL’ARTE 
LA COLLEZIONE D’ARTE CONTEMPORANEA BERLINGiERI, ECCELLENZA ITALIANA NEL MONDO

 

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Come è nata questa vostra passione?

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Colti, eleganti, curiosi, e con grande sense of humour, i Marchesi Berlingieri mi ricevono nella loro luminosa e bella casa romana. Alle pareti, con leggerezza, opere di grandi artisti contemporanei.
Ci conosciamo da molti anni con Annibale e Marida Berlingieri, da quando iniziarono ad occuparsi d’arte d’avanguardia, dopo essere stati circondati da sempre da capolavori del passato, tra cui le sculture di Canova a Palazzo Treves a Venezia della madre di Annibale.

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Quale è stato il primo artista al quale avete commissionato un’opera?

Christo che, a San Basilio, impacchettò nel 1970 una delle carrozze del castello, servendosi anche dei sacchi di iuta del granaio.

La collezione contiene anche opere di artisti di Paesi che si affacciano sul Mediterraneo?

Abbiamo opere, tra le altre, di El Anatsaui e Konatè.

Quante volte opere della collezione hanno rappresentato l’Italia all’estero o sono state esposte in musei italiani?

Molte volte. Per esempio, l’opera di Bruce Naumann “Around the corner” è stata spesso in mostra a New York e Los Angeles. Per quanto riguarda il nostro Paese, abbiamo prestato molte, tra cui quella di Tony Ousler al MAXXI di Roma e sempre a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, il lavoro di Bill Viola “Emergence”.

Un episodio che riguarda la vostra attività di collezionisti?

Non un episodio ma due, riguardanti entrambi quest’ultimo artista. Di lui avevamo apprezzato l’intervento alla Cappella dell’Ospedale della Salpêtrière a Parigi. Pensammo quindi a lui per un intervento nella nostra cappella sconsacrata in prossimità di San Basilio, ma non riuscivamo a trovare nessuna galleria che si occupasse della sua opera. Finalmente ci riuscimmo attraverso Leo Castelli, il grande gallerista di New York che ci fornì il suo telefono. Lo contattammo e acquistammo a Londra una delle tre copie di “Emergence” che, poi, l’anno successivo Bill Viola venne a vedere installata nella nostra cappella. La prestammo in seguito altre volte tra cui quella al Palazzo delle Esposizioni. In questa occasione, il cardinale Ravasi fu talmente entusiasta dell’opera e dell’arte contemporanea, che decise di aprire il padiglione dello Stato Vaticano alla Biennale di Venezia.

Qual è l’ultimo arrivo nella vostra collezione?

Una opera di Gonçalo Mabunda, artista mozambicano invitato alla attuale Biennale di Venezia.

Quale è per voi l’artista più singolare?

E’ difficile rispondere perché lo sono tutti, ma in questo momento viene da pensare a Cady Noland che vive del tutto isolata in una metropoli come New York. E’ contattabile solo per fax, ma allo stesso tempo partecipa attivamente a tutte le lotte a favore dei diritti civili.

Progetti futuri?

Dopo i lavori di restauro di Palazzo Mazzarino a Palermo, abbiamo invitato importanti artisti a eseguire nuove opere, anche site specific. Il risultato è stato così incoraggiante da spingerci a ristrutturare anche l’ala della Cavallerizza per ampliare la collezione. Molti degli artisti di cui possediamo le opere sono diventati anche amici e sono spesso nostri ospiti insieme a esponenti del mondo dell’arte.

In famiglia chi ha ereditato la vostra passione per l’arte e il collezionismo?

Nostra figlia Lydia e suo marito Pier Vittorio Leopardi collezionano dagli anni ‘90 opere di fotografi tra cui Nan Goldin e Vanessa Beecroft, e adesso anche opere di altro genere. Nostra nipote Aloisia lavora a Londra in una fondazione che promuove artisti africani emergenti.

 

NATURA E CULTURA, SINTESI MEDITERRANEA di Giampiero Indelli – Numero 2 – Ottobre 2015

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A volte basta una sillaba per fare la differenza. 
Come ogni anno, alla fine dell’estate, gli amici mi raccontano le loro vacanze. Molti sono stati nel Salento. Pochi mi hanno detto di essere andati nel Cilento. Chi l’ha fatto, è andato al mare, in uno dei tanti paesi lungo la costa. Nessuno mi ha detto di aver fatto escursioni nel Cilento interno. Non sanno quello che si sono persi.

Il Cilento è un grande Parco nazionale, secondo per superficie (181.048 ettari) soltanto al Parco nazionale del Pollino (182.180 ettari). E’ patrimonio dell’umanità dell’Unesco (con i siti archeologici di Paestum e Velia e la Certosa di Padula) e Riserva della biosfera.

Subito dopo è la lavanda a colorare le pietraie alle falde dei monti. 
I monti cilentani sono crivellati da grotte e cavità, che vengono qui chiamate “grave”. La più famosa è la Grava di Vesalo, un inghiottitoio circondato da un bosco di faggi, a mille metri di altitudine, al confine tra i comuni di Laurino e Valle dell’Angelo. I monti Alburni ospitano, sui due versanti contrapposti, le spettacolari grotte di Pertosa e di Castelcivita. Il fiume Bussento s’inabissa alle porte di Caselle in Pittari e riemerge a Morigerati, cinque chilometri più a valle, all’interno di un’Oasi del WWF, istituita per proteggerne il raro ambiente fluviale. 
Lungo la costa estesi oliveti compongono un paesaggio agrario fra i più belli nel bacino del Mediterraneo. La Costa che va da Marina di Camerota a Scario, chiamata Costa degli Infreschi per le numerose sorgenti di acqua dolce che qui s’immettono nel mare, si snoda per sedici chilometri lungo pareti precipiti nel mare e piccole spiagge accessibili soltanto con una barca.

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NATURA E CULTURA, SINTESI MEDITERRANEA

 

Giampiero-Indelli

In primavera i vasti altopiani si colorano per la fioritura dei crochi e delle viole. Le ginestre in fiore rivestono intere vallate, offrendo un colpo d’occhio spettacolare. Papaveri e asfodeli, colza e senape colorano intensamente i campi, offrendo spettacoli di grande 

bellezza.

L’isolamento geografico del territorio ne ha preservato ambienti e paesaggi, ancora incredibilmente intatti. Nel perimetro del Parco svettano sette montagne superiori a 1.700 metri di altitudine, fra cui il monte Cervati che, con i suoi 1.898 metri, è la cima più elevata della Campania. I cervi, da cui la montagna ha preso il nome, erano estinti da un paio di secoli. I caprioli invece hanno abitato i boschi del Cilento fino alla metà del secolo scorso. Nel 2005 l’Ente Parco ha reintrodotto alcune coppie di cervi e di caprioli nelle aree interne. In dieci anni la loro popolazione ha superato i 400 capi ed entrambe le specie stanno riconquistando i loro antichi territori. 
In alta quota, le estese pietraie d’altura danno vita a paesaggi di astratta bellezza. Immensi boschi di faggio ricoprono i fianchi delle montagne. In pochi posti d’Italia, come nel Cilento interno, è ancora possibile camminare, per ore, senza incontrare tracce di presenza umana, immersi in una natura ancora primigenia. 
Ai piedi delle faggete s’incontrano estesi boschi di latifoglie. Querce, aceri, ornielli, ontani napoletani, carpini compongono, in autunno, tavolozze di colori da fare invidia ai più famosi boschi del New England. Più in basso è la macchia mediterranea a farla da padrona. Ricopre declivi e colline di un denso mantello verde cupo.

Alte falesie rocciose precipitano in mare, offrendo dimora a falchi pellegrini e corvi imperiali, padroni incontrastati di questi paesaggi di selvaggia ed arcaica bellezza.
Il Cilento è percorso da molti fiumi: quasi tutti presentano ancora acque limpide e una folta vegetazione ripariate. Alcuni sono di particolare fascino: il Calore, il Sammaro in prossimità della sorgente, il Tanagro. I fiumi del Cilento ospitano la più numerosa e vitale popolazione di lontre nel nostro Paese. Su molti fiumi s’incontrano ancora antichi “ponti romani”, dalla caratteristica struttura ad arco a tutto sesto, in pietrame a vista.
Ai piedi del monte Cervati si snodano, una dopo l’altra, le quattro spettacolari gole del fiume Calore, comprese fra alte pareti rocciose precipiti nel corso d’acqua, sormontate dalle ruote lente e maestose dei rapaci.

L’impossibilità di costruire una strada litoranea ha salvato questo straordinario tratto di costa, la più lunga ed integra del Tirreno.

Il Cilento interno potrebbe essere l’oggetto del desiderio per i visitatori del centro-nord Europa, amanti della wilderness e dei paesaggi incontaminati.

E’ un target poco “coltivato”, fino ad oggi, dal marketing turistico. Eppure, se gli italiani dimostrano scarso interesse nei confronti delle vacanze in natura, il turista “non mediterraneo” potrebbe esserne la valida alternativa, in particolare al di fuori del periodo estivo. Già oggi la maggior parte degli escursionisti che si incontrano nel Cilento interno sono stranieri, soprattutto olandesi e tedeschi. Questi ultimi vengono nel Cilento attratti dall’idea romantica di camminare lungamente attraverso paesaggi naturali rimasti come all’epoca del Grand Tour e di ammirare nel contempo i templi di Paestum. L’archeologia è, per loro, quasi una passione nazionale. 
Negli ultimi anni molti agriturismi sono nati nel Cilento interno. 
Sono gestiti spesso da giovani, utilizzando antiche case di famiglia. Così come molti giovani, che hanno ereditato oliveti e vigneti, li hanno “reinventati”, con l’aiuto di valenti tecnici, avviando una produzione di vini ed olii eccellenti, mirata non più al mercato locale, come avveniva un tempo, ma indirizzata ad un pubblico nazionale amante della qualità. Promuovere il turismo nel Cilento interno è anche un modo per premiare quest’ultima generazione che, invertendo una tendenza che durava da secoli, ha deciso di restare nel luogo dov’è nata. Finalmente il sud non è più vissuto come una condanna, da parte di chi ci è nato, ma come una sfida e un’opportunità.