La citazione dell’astronomo e direttore dell’Osservatorio di Parigi rispecchia perfettamente la figura del principe di Sansevero: uomo sapiente e versatile, vero genio del suo secolo, grande conoscitore delle lettere, delle arti e del pensiero filosofico, così come valoroso uomo d’armi, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, prolifico inventore e grande mecenate. Tutto questo nell’epoca creativa e feconda del primo Illuminismo europeo.
Un uomo così innovativo ed eclettico non poteva non far scaturire
numerosissime leggende popolari:
«Fiamme vaganti, luci infernali – diceva il popolo – passavano dietro gli enormi finestroni che danno, dal pianterreno, nel vico Sansevero […] Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, romori sordi e prolungati suonavano là dentro […] Che seguiva, dunque, ne’ sotterranei del palazzo? Era di là che il romore partiva: lì rinserrato co’ suoi aiutanti, il principe componeva meravigliose misture, cuoceva in muffole divampanti…»
Salvatore Di Giacomo, Un signore originale, da Celebrità napoletane, Trani 1896.
Raimondo nacque nel 1710 da Antonio di Sangro duca di Torremaggiore e dalla nobildonna Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona. La madre morì pochi mesi dopo averlo messo alla luce nel castello di Torremaggiore, paese nella Capitanata, uno dei feudi della famiglia del padre.
Il ragazzo
fu cresciuto ed educato dai nonni paterni che, dopo un primo periodo a Napoli,
dove venne avviato allo studio della letteratura, della geografia
e delle arti cavalleresche, lo mandarono al Seminario romano
diretto dai padri Gesuiti, in cui rimase per dieci anni.
Lì Raimondo ebbe modo di dimostrare la sua intelligenza ed una grande curiosità, dedicandosi allo studio della filosofia, delle lingue, della storia antica, della chimica; dimostrò anche una buona predisposizione per la meccanica, nonché per la pirotecnica, le scienze naturali, l’idrostatica e l’architettura militare. Di questo periodo è la sua prima invenzione: un palco pieghevole progettato in occasione di una rappresentazione teatrale al Seminario gesuitico, che suscitò lo stupore di Nicola Michetti, architetto di corte dello zar Pietro il Grande, incaricato della costruzione.
Terminati gli studi nel 1730,
visse tra Napoli e Torremaggiore fino al 1737, anno in cui si stabilì definitivamente nel Palazzo Sansevero, nel cuore della Napoli storica.
Qui si sposò nel 1736 con la cugina Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Per il suo matrimonio Giambattista Vico gli dedicò un sonetto (Alta stirpe d’eroi, onde famoso) e a Giovanni Battista Pergolesi fu commissionata dallo stesso principe la prima parte di un preludio scenico. Negli anni che seguirono, grazie alla stima che di lui aveva Carlo III di Borbone, il principe elevò le sue cariche ufficiali, divenendo prima gentiluomo di camera con esercizio di Sua Maestà e poi Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro. Accrebbe anche il numero delle sue invenzioni, con un’ingegnosa “macchina idraulica”, capace di sospingere l’acqua a qualsiasi altezza ed un innovativo “archibugio” a retrocarica, in grado di sparare sia a polvere, sia ad aria compressa.
Negli anni della maturità Raimondo fu particolarmente prolifico,
tanto che la sua fama oltrepassò i confini del Regno
realizzò un “cannone leggero” che pesava centonovanta libbre in meno degli altri modelli esistenti, ma con una gittata molto superiore; fu colonnello del Reggimento Capitanata di Carlo III di Borbone, distinguendosi nella vittoriosa battaglia di Velletri contro gli Austriaci del 1744. Da quest’ultima esperienza nacque la pubblicazione Pratica di Esercizj Militari per l’Infanteria, elogiata da Luigi XV di Francia e da Federico II di Prussia, poi adottata dalle truppe spagnole.
Già iscritto all’Accademia dei Ravvivati di Roma ed alla Sacra Accademia fiorentina, nel 1743 fu ammesso all’Accademia della Crusca con lo pseudonimo di Esercitato; l’anno successivo ottenne da Benedetto XIV il permesso di leggere… i “libri proibiti”, avendo così accesso ai libri dei filosofi francesi e degli illuministi più radicali, nonché ai testi massonici ed alchemici.
Realizzò spettacoli pirotecnici con fuochi d’artificio dai colori sfavillanti e mai visti prima di allora, in cui inserì anche il verde, noto per il suo valore simbolico ed ermetico.
Creò un tessuto impermeabile con cui fece confezionare due mantelle, con le quali lui ed il sovrano disquisivano, passeggiando sotto la pioggia, sotto gli occhi dei napoletani!
Preparò alcuni farmaci che guarirono inaspettatamente da malattie gravi.
Si dedicò ad esperimenti di idraulica e meccanica, mettendo a punto la famosa “carrozza marina” su cui si vedeva avanzare nelle acque del golfo, grazie ad un sistema di pale a forma di ruote, tra lo stupore del popolo.
Sviluppò un metodo di stampa con caratteri policromi, utilizzando delle macchine tipografiche da lui stesso progettate.
Creò una sostanza che era l’esatta riproduzione del sangue di San Gennaro contenuto nella Sacra Ampolla, e riusciva nella relativa liquefazione.
In questo periodo iniziò anche i lavori alla Cappella Sansevero,
che proseguirono poi fino alla sua morte.
Ma tutto il progetto trovò fondamento nella sua appartenenza alla Massoneria, cosa che lo mise al centro di un “intrigo” che parve “il maggior del mondo”. Dopo aver costituito la loggia “Rosa d’Ordine Magno” (anagrammando il suo nome), il principe scalò tutta la gerarchia della Libera Muratoria fino a divenire Gran Maestro di tutta la Massoneria napoletana.
Di lì a poco Benedetto XIV, con la bolla Providas Romanorum Pontificum
del 18 maggio 1751, condannava la Massoneria, proibendo ad ogni cattolico
di farne parte. A questa seguì un Editto Regio emanato dal re Carlo III di Borbone, che vietava le attività massoniche. Il principe consegnò al re la lista degli affiliati
e scrisse una Epistola a Benedetto XIV nella quale difese
la fedeltà di tutti i massoni, sia al Papa, sia al Re.
Si prestò a fare un passo indietro, anche se continuò, con la dovuta riservatezza, a sovrintendere la sua loggia “Rito Egizio Tradizionale”, portando avanti, però, l’attività più spirituale ed ermetica, molto diversa da quella della Massoneria tradizionale appena abbandonata.
Nonostante l’abiura, i rapporti con la Santa Sede si deteriorarono a causa della pubblicazione della Lettera Apologetica dell’Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del libro intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu scritta alla Duchessa di S**** e dalla medesima fatta pubblicare. Il testo verteva formalmente su un antico sistema di nodi (i quipu) degli Incas del Perù, che servivano a conservare e trasmettere informazioni; in realtà, conteneva numerose citazioni di autori eterodossi, princìpi massonici, rimandi alla cabala e – pare – anche messaggi esoterici nascosti da un codice segreto. La Lettera fu considerata “una sentina di tutte l’eresie” dall’Inquisizione romana che, nel 1752, la mise all’Indice dei libri proibiti.
A quel punto Raimondo preferì dedicarsi alle sue invenzioni
nei sotterranei del proprio palazzo.
Fra queste, quella più nota fu un indecifrabile “lume perpetuo”, «poiché dunque non si può dubitare che esso non sia un vero lume […] e che è durato per tre mesi e qualche giorno senza alcuna diminuzione della materia che gli serviva da alimento, gli si può dare a giusto titolo il nome di perpetuo».
Con due di queste lampade eterne il principe avrebbe voluto illuminare
il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, una volta posto
nella Cavea sotterranea:
ma il progetto non venne realizzato e non si parlò più del lume perpetuo. Si continuò invece a parlare del Cristo velato, una delle opere marmoree più straordinarie al mondo, e della Cappella Sansevero, il cui progetto iconografico, esaltazione del casato e tempio alchemico, ermetico e massonico, fu ideato dal principe stesso e ricreato dagli artisti prescelti. Le dieci statue delle Virtù, tra cui la Pudicizia e il Disinganno dedicate alla madre ed al padre di Raimondo, ed il Cristo velato, il cui velo è «fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori», sono gli elementi portanti di tutto il percorso simbolico che comprende il pavimento con il motivo a labirinto e, oggi, anche le misteriose “macchine anatomiche”, realizzate con due scheletri di uomo e di donna, con il sistema arterioso e venoso perfettamente integro.
I lavori durarono fino alla fine della sua vita. Come scrisse Gian Luca Bauzano
sulla morte di Raimondo di Sangro:
«Gli esperimenti alchemici, probabile l’uso di materiali radioattivi lo portarono alla morte. Scompare in una nuvola sulfurea, come Don Giovanni di Mozart. Quando il musicista apprende della sua morte ne resta colpito. Gli dedica una Sonata in memoriam. E forse lo eterna come Tamino nel Flauto. Ma una magia di Sangro l’ha compiuta, come la Fenice si è eternato».