Poi capita che all’improvviso, quando non ci pensi più, ti ritrovi ad avere una macchina tua, ed un figlio di tre anni con una tosse che potrebbe giovarsi di aria buona, proprio di quella del nostro Gargano, bisognava solo decidere dove andare per poterla respirare a pieni polmoni. Interpellato mio marito, che da un po’ di tempo, sollecitato dai miei racconti, ha scoperto il piacere di fare delle escursioni sul territorio, azzardo la mia proposta. Dopo un attimo di esitazione per il fatto che si trattava di un percorso poco noto, decidiamo di andare.
Partiamo nascondendo una certa ansia per la viabilità irregolare ed approssimativa. L’ansia, però, si spegne all’improvviso; si spegne quando si apre di fronte a noi
uno spettacolo naturale di rara bellezza!
Scendiamo dalla macchina quasi intimiditi; il paesaggio è fantastico. Il Gargano, infatti, anche per chi ci è nato, si rivela all’improvviso. Il Gargano si cela come in uno scrigno, e quando credi di aver pescato anche l’ultima gemma, ne scopri un’altra. Poi scopri che esiste addirittura un doppio fondo, e che le cose più preziose sono ancora tutte da scoprire. Il casale di Devia è una di queste! Lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi ci toglie il fiato.
Restiamo muti ad osservare il mare, un mare di un incredibile colore, a cui le Tremiti movimentano l’orizzonte. Restiamo a lungo accovacciati sul limite dell’altopiano.
Sotto di noi la collina degrada per 250 metri, e si incunea dividendo i due laghi costieri di Varano e di Lesina. Penso alle tante spiegazioni che si danno ai toponimi; ma, per me, Devia può significare solo separa”! II Monte d’Elio, infatti, si protrae verso il mare separando i due laghi che, come due languidi occhi, sembrano destinati ad osservare l’infinito cielo!
Decidiamo che il posto merita una esplorazione più approfondita, ed
Iniziamo con la visita agli importanti ruderi che ci siamo lasciati alle spalle
per l’ansia di affacciarci sul panorama.
È difficile definire come chiesa quei ruderi, ma la struttura è chiara. Proviamo ad entrarci. Il tetto è praticamente scomparso; un paio di falchi danno segno di inquietudine ed abbandonano la trave su cui erano appollaiati. Una mucca, forse stanca per aver brucato l’erba non più tanto tenera, riposa ai piedi di un affresco coperto dalle ragnatele. C’è anche un asino che, come tutti gli asini, non mostra alcun interesse per le novità; sembra crogiolarsi nella sua solitudine. I nostri passi, seppure attenti, mettono in fuga una lucertola. Senza muoverci dal punto in cui ci troviamo, diamo uno sguardo in giro.
Sulle pareti notiamo degli affreschi che si sforzano di resistere al tempo
e alle intemperie! Quel luogo, di cui pure avevo sentito parlare con interesse,
sembra lontano anni luce dall’interesse degli uomini
che, solo un po’ più a valle, cominciano anche a parlare di turismo! Continuiamo l’esplorazione, inerpicandoci per quanto possibile con un bimbo al seguito.
Scopriamo altri ruderi, mentre avanza il desiderio di saperne di più; bisognerà avviare una vera ricerca, e mi riprometto anche di interrogare gli amici di San Nicandro per capire i motivi di tanto abbandono. Da quel giorno, dal giorno di questa nostra prima esplorazione, sono passati tempo e storia.
Sono passati anni durante i quali, fra alti e bassi, abbiamo assistito anche da vicino
ad un felice recupero del sito. La chiesa restaurata si è rivelata un vero gioiello.
Gli scavi archeologici lungo i fianchi della montagna hanno messo in luce
i ruderi del borgo di Devia.
Ora sono solo dei ruderi, dei quali solo alcuni sembrano degni di attenzione. Peccato, perché Devia deve aver avuto un passato importante. Già dal VII secolo erano iniziate le escursioni dalmate sui nostri litorali, governate da uno Juppano, una particolare figura di capo villaggio. ln seguito, secondo alcuni documenti risalenti all’Xl secolo, ritrovati nell’ abbazia delle Tremiti, Devia fu sede fortificata di una colonia slava. Ricordata nei documenti come civitas, pare sia stata fondata per volere dei Bizantini proprio a tutela delle coste perennemente soggette agli sbarchi di popolazioni poco gradite. Con il tempo, forse per l’arrivo dei Normanni, Devia viene abbandonata a vantaggio della piana Sannicandrese.
Di tutto il villaggio resta la chiesa. Una fortuna perché si tratta di un vero gioiello,
con un importante ciclo di affreschi.
Ceduta nel 1032 all’abbazia di Tremiti dal Vescovo Giovanni da Lucera. Santa Maria iuxta mare, per la sua particolarissima posizione fronte mare, mostra all’esterno tre absidi semi circolari. ln quella centrale esiste, e resiste, un affresco del Cristo Pantocratore. Alcune monofore contribuiscono, filtrando la luce, a focalizzare gli affreschi lungo le pareti. Gli affreschi tutti molto interessanti, meriterebbero una trattazione a parte per il loro richiamo allo stile cavalleresco e crociato, una trattazione troppo lunga per iniziarla ora. L’abbazia delle Tremiti, e quasi tutte le chiese garganiche, che si avvalevano del mare come via di transito, erano importanti proprio in considerazione delle scarse ed impraticabili strade interne di quei tempi. Ai lunghi periodi di culto seguirono crisi e desolazione, e poi ancora una felice ripresa nel XVI secolo che durò fino al 1744. Da quel momento in poi inizia un nuovo abbandono, che la trasforma nella stalla sfondata che noi ritrovammo negli anni 60.
L’interesse per il sito riprese vigore, anche grazie alle mie convincenti chiacchierate, solo nel 1970 quando iniziarono finalmente i dovuti restauri!
Ora c’è un nuovo black-out! Ancora una volta si è spento l’interruttore culturale su Devia. Ne attendiamo le motivazioni che sembrano esclusivamente politiche. Quindi, lontane dalla soluzione. Quest’anno ci sono tornata, presa dalla nostalgia, accompagnata da quel bimbo di tre anni che oggi ne ha cinquanta, ma non più con lo stupore di allora. Sono scesa dalla macchina con l’amarezza di chi sa già, di chi conosce lo scarso valore che si riserva oggi, più che mai, ai nostri Beni culturali.