LA REGIONE MEDITERRANEA DESTINAZIONE PRIVILEGIATA PER GLI INVESTIMENTI STRANIERI di Gaia Bay Rossi – Numero 1 – Luglio 2015

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destinata ad accogliere, nei prossimi anni, investimenti superiori a quelli dell’Europa continentale, dell’Africa e dell’Asia. Difficile a credersi, ma stiamo parlando dell’area mediterranea, ad onta della crisi greca e delle difficoltà economiche di Spagna, Italia e Francia.
Le previsioni non sono nostre: provengono da una fonte internazionale che gode di una reputazione acclarata, la Ernst & Young. Secondo quest’ultima, infatti, la regione mediterranea rappresenta una delle destinazioni privilegiate per i progetti di investimento stranieri, e i risultati saranno tangibili e sotto gli occhi di tutti già a partire dal decennio 2020-2030.

Secondo Ernst & Young, la Regione è ricca di idee, energie e competenze non ancora sfruttate. 
Il Mediterraneo ospiterà più di 750 milioni di persone entro il 2040, con un potere d’acquisto sempre più crescente. Quella del Mediterraneo è considerata un’area più attrattiva dell’Europa (51%), dell’Africa (60%) e dell’Asia (52%).

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* I 27 Paesi presi in considerazione dal BaroMed sono: Albania, Algeria, Bahrein, Bosnia Erzegovina, Croazia, Cipro, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Malta, Montenegro, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia, Turchia, Emirati Arabi Uniti.
** In linea con il Worldwide Tourism Organization (UNWTO), secondo una cui ricerca a lungo termine, gli arrivi di turisti nelle destinazioni del Mediterraneo nel 2030 raggiungeranno i 500 milioni. 
***Si vedano in proposito i dati ottimistici del Population Reference Bureau e gli studi del prof. Fawaz A. 
Gerges della London School of Economics. Il prof. Gerges è un accademico libanese-americano e autore con esperienza sul Medio Oriente, politica estera statunitense, relazioni internazionali, Al Qaeda e relazioni tra il mondo islamico e occidentale. Gerges è un importante intellettuale e uno dei più importanti studiosi al mondo del Medio Oriente. È apparso sulle reti televisive e radiofoniche di tutto il mondo, incluse la CNN, ABC, CBS, BBC e Al Jazeera.
“L’IS è molto più fragile di quanto Baghdadi ci vorrebbe far credere. La sua chiamata non ha trovato seguaci né tra i predicatori, né tra i dirigenti di organizzazioni islamiche jihadiste internazionali, mentre gli studiosi islamici – tra cui i religiosi salafiti più importanti – hanno respinto la sua dichiarazione come nulla. 
Finché IS ha una serie di successi, si può allontanare con la sua povertà di idee e diffusa opposizione da parte dell’opinione pubblica musulmana: promette utopia e la esprime vincendo. La sfida del gruppo è che una volta che i suoi progressi vengano controllati, la sua mancanza di un’ideologia coerente accelererà il suo degrado sociale”. (www.bbc.com/news/world-middle-east-30681224).

LA REGIONE MEDITERRANEA DESTINAZIONE PRIVILEGIATA PER GLI INVESTIMENTI STRANIERI

 

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“Se si continuerà a promuovere l’integrazione e la collaborazione all’interno dei Paesi del Mediterraneo, nei prossimi anni la mappa mondiale sarà arricchita dalla nascita di un nuovo mercato emergente.

In quella zona, infatti, la crescita economica è più rapida rispetto alle altre regioni e le opportunità di affari sono maggiori, spinte dalla crescita demografica e dall’urbanizzazione, con la nascita di nuove enormi città che sorgono negli Stati del Golfo, in Turchia e in Nord Africa.

Così comunica Ernst & Young, presentando la ricerca BaroMed Attractivness Survey 2015 “The Next Opportunity” (che ha coinvolto 156 dirigenti di 20 paesi del mondo) al Convegno internazionale Strategic Growth Forum, dedicato alle strategie di crescita dei Paesi dell’area mediterranea, alle possibili sinergie con quelli europei e al ruolo che l’Italia può assumere in questo contesto.
Il convegno ha visto protagonisti il 16 aprile 2015, a Roma, oltre 70 rappresentanti delle più importanti aziende dei Paesi dell’area mediterranea di fronte ad una platea composta da oltre cinquecento imprenditori. I dati emersi destano stupore, anche se, sorprendentemente, hanno avuto scarsa attenzione da parte dei media. 
Secondo la ricerca, tra il 2009 e il 2013, i Paesi del Mediterraneo, Medio Oriente e quelli del Golfo hanno attirato 17.110 progetti di investimenti stranieri diretti, principalmente realizzati nell’area dell’Europa mediterranea e dei Paesi del Golfo. Ben più consistenti saranno quelli che arriveranno nei prossimi anni.

Donato Iacovone, Amministratore Delegato di Ernst & Young in Italia e Managing Partner dell’Area Mediterranea, afferma:

Nell’immediato futuro si prevede una crescita positiva e gli investitori sembrano dimostrare interesse nella Regione. Grazie ad un mercato non ancora saturo e alle risorse presenti, non solo l’Europa e gli Stati Uniti, ma anche Cina e India considerano l’area come una meta altamente attrattiva per gli investimenti.”

Le aziende considerate più interessanti sono quelle appartenenti ai settori delle telecomunicazioni, dei media, delle tecnologie, della vendita al dettaglio, dei prodotti di consumo e dell’energia.
Sfruttando la posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, la Regione sta sviluppando i settori dell’immobiliare, del turismo e del commercio al dettaglio con l’ambizione di diventare una destinazione primaria ed una delle più importanti mete turistiche del mondo**.
Ciò che rimane problematico, secondo gli investitori, sono i rischi all’interno della Regione: l’instabilità (una media del 53% nelle 5 sotto-regioni) e la mancanza di trasparenza (29%) sono i principali ostacoli agli investimenti e ad una crescita sostenibile. Tuttavia, nel medio periodo, tale livello d’instabilità dovrebbe diminuire. Concorrono in questa direzione diversi fattori, quali una sorprendente contrazione del tasso di fertilità regionale e la fragilità di un’IS oggi molto sopravvalutato.***
Sul sito Viaggiare Sicuri del Ministero degli Esteri, gli avvisi per le unità di crisi particolari nel mese di giugno 2015, sui Paesi che ci interessano, riguardano solo Israele, nella cui nota all’interno sono citati anche Libia, Libano e Siria (consigliano in ogni caso di consultare il sito dell’Home Front Command israeliano www.oref.org.il).
L’Italia non deve e non vuole rimanere a guardare, anche perché secondo Ernst & Young “nel 2050, le economie emergenti della Regione supereranno in termini di PIL, di crescita, d’innovazione e di adozione di tecnologie rivoluzionarie alcuni dei Paesi sviluppati”. 
Insomma, dialogo, patrimonio e diversità culturali contribuiranno alla crescita di una delle Regioni più affascinanti del mondo.

 

IL PARCO LETTERARIO CARLO LEVI. UNA PERLA DA RISCOPRIRE di Antonio Genovese – Numero 1 – Luglio 2015

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1. La prima volta che ci ho messo piede, su invito di una professoressa in pensione (che di allievi ne aveva menati tanti, in giro da quelle parti), mi sono chiesto come avessi fatto a non venirci prima. Infatti, avevo letto il Cristo di Carlo Levi, moltissimi anni prima, e quasi pensavo ad un mondo altro da quello in cui pure avevo vissuto negli anni fondamentali della mia formazione, nella Basilicata occidentale, dove l’influenza del pugliese è assai più sfumata e più avvertita quella del campano.
Ma il primo impatto non è stato con la lingua, con uno dei tanti dialetti della Basilicata (ancora non sufficientemente studiati, a mio avviso, nonostante gli studi di Bigalke e di Rohlfs1) ma con il paesaggio, perché, lasciandoci alle nostre spalle Stigliano (e il Parco Regionale di Gallipoli Cognato), siamo scesi verso le valli alluvionali, abbandonando il verde 

IL PARCO LETTERARIO CARLO LEVI. UNA PERLA DA RISCOPRIRE

 

Sembrava quasi di vivere molte delle pagine del romanzo, specie di quelle in cui l’Autore (rispolverate nozioni di medicina, che pensava di non dover mai utilizzare) racconta della sua missione notturna verso la frazione di Pantano, in visita di un malato grave (di malaria) che, purtroppo, non riuscirà a salvare. Il percorso, fra i calanchi in una nottata d’inverno, tra il nevischio, con la luce silenziosa della luna bianca, parla di queste argille che «precipitano verso l’Agri, in coni, grotte, anfratti, piagge, variegate bizzarramente dalla luce e dall’ombra», che poi l’artista ha anche cercato di raffigurare in molte sue opere pittoriche (quelle in terra di Basilicata sono visitabili presso il Museo nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata, che si trova a Matera, e ha sede a Palazzo Lanfranchi3 o, ad Aliano, nella Pinacoteca, che pure il tour del Parco consentirà di visitare) ma che ovviamente vanno vissute, compiendo tali percorsi en plein air, se del caso anche guidati da qualche accompagnatore: il più famoso di tutti è il prete, don Pierino (vero e proprio Virgilio, conoscitore di ogni dettaglio ma che non sempre rivela di buon grado, se non si entra in sintonia con lui).
Anche il visitatore, perciò, dev’essere avvertito che, come tutti i posti piccoli e remoti, non sempre bene indicati (anche quanto a segnaletica stradale), occorre armarsi di quella pazienza e gentilezza che non sembra avere avuto l’autore di un risentito pezzo giornalistico4.

intenso dell’ambiente alto collinare-montano, per calarci, guadando i fiumi Sauro e Agri, in un paesaggio quasi lunare: erano i calanchi2.

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2. La visita della casa di Carlo Levi è una tappa obbligata del percorso. Essa è rimasta la stessa di quando fu lasciata dal confinato politico nel 1936, assai prima di quanto lui stesso pensasse, quando già si era rassegnato a viverci a lungo. Dentro non ci sono oggetti, né suppellettili, né arredi (se si vuole, invece, vedere qualcosa dell’oggettistica del periodo, bisogna farsi aprire le porte del cd. museo della “Civiltà contadina” di Aliano, pure previsto nel tour), essendo rimasta completamente vuota: un vuoto che sicuramente emoziona così come emoziona il paesaggio che da quella porta si ammira e che si può meglio apprezzare dalla terrazza panoramica. 
Qui Levi dipingeva e costituiva l’attrazione di tanti giovani alianesi, oggi dispersisi nel mondo. Una questione che mi incuriosiva, avendo qualche anno prima, avuto tra le mani una pubblicazione del Servizio studi di Cariplo (Il Paese di Carlo Levi: Aliano, cinquant’anni dopo), Bari 1985, pp. 124 (che nel frattempo mi risulta essere stato anche digitalizzato e quindi più facilmente consultabile) dove si mostravano le enormi trasformazioni intervenute nel piccolo comune portato all’attenzione del mondo dal suo illustre ospite (suo malgrado). La distanza può essere ancor meglio misurata leggendo (e scorrendo le belle immagini riportate) il saggio di C. Magistro, Aliano e i suoi protagonisti Il racconto, tra storia e letteratura, dal dopoguerra alla caduta del fascismo, in Basilicata Regione Notizie, nn. 129-130 (p. 142 e ss.)5.
In realtà le polemiche contro l’Autore erano divampate subito, nel primo dopoguerra, dopo la pubblicazione del romanzo, che andava a ruba anche all’estero, come ben documenta Francesca R. Uccella in Cristo si è fermato a Eboli. Gagliano e il parco letterario di Aliano: metamorfosi di una memoria, in Quaderns d’Italià 13, 2008, pp. 147-1606 (l’Autrice studia la relazione e l’interazione reciproca tra Levi, l’opera – il Cristo – e la comunità di Aliano dal 1945, data di pubblicazione del romanzo fino al 2001, anno dell’ istituzione del Parco Letterario Carlo Levi).
Insomma, se da un lato, gli «alianesi» (o meglio, alcune parti qualificate di essi) hanno modificato la propria posizione, passata dall’originaria avversione fino all’inclusione del suo cantore, con l‘istituzione del Parco letterario, dall’altro lo stesso Levi ha fatto diventare l’esperienza del confino così centrale nella sua vita di artista e di politico, da scegliere poi di essere sepolto proprio ad Aliano (e la visita alla tomba dell’Autore è, necessariamente, una tappa per il visitatore che magari, ivi, potrà rileggere proprio i passi del romanzo che narrano delle sue limitate e controllate passeggiate in quel luogo (posto a picco sui calanchi!: resisterà – con il tempo – alla sfida con i fenomeni naturali?) e degli incontri, narrati con un certo interesse umano e letterario.

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3. Certo non è un mistero che Levi preferisse vivere a Grassano piuttosto che ad Aliano: ne parla nel Cristo; ne racconta del ritorno, quasi come un premio al confinato «modello». Vi si reca nuovamente (per terminare di dipingere alcune tele) e richiama alla mente tutti i ricordi della sua prima sistemazione: una realtà sicuramente più vivace e cittadina (che i grassanesi hanno voluto ricordare e far visitare, istituendo anche un proprio, secondo parco leviano7) e che non avrebbe voluto lasciare, se non vi fossero stati i provvedimenti punitivi presi dall’autorità di polizia, per la sua relazione con una donna sposata (ad un noto personaggio) e che lo raggiungeva da Torino per vivere il proprio rapporto, più o meno clandestino, sicuramente non gradito al regime (e forse ai benpensanti grassanesi!).
Resta il fatto che l’omaggio a Grassano, contenuto nel libro, è piuttosto un ricordo letterario (come anche, per certi versi, lo è il passaggio per Matera), ma non segnerà l’Autore nel suo profondo così come lo segnerà Aliano, al punto che il medico e dissidente torinese sentirà il bisogno di farne il centro della sua nuova esistenza, quantomeno come ricordo indelebile e come riflessione continua su quella formidabile scoperta etno-antropologica.
La scoperta ha poi alimentato tutta una vasta letteratura (che, ovviamente, qui non può essere richiamata, bastando solo far rinvio al lavoro, sopra menzionato, di Francesca R. Uccella ed alla bibliografia contenuta nelle note del suo bel saggio) ed ha persino prodotto una ricerca dei discendenti dei protagonisti dell’opera che ha portato ad una documentazione fotografica (di Antonio Pagnotta) di grande rilievo: frutto della ricerca socio-fotografica della sociologa Graziella Salvatore e del foto-reporter Antonio Pagnotta, “La Ruota, la Croce e la Penna”8.
E si potrebbe continuare, ancora a lungo.
Ma forse qui conviene arrestarsi e riprovare a parlarne dopo un tour nella Basilicata orientale.

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 1 cfr. F.R., Le lingue della Lucania, in http://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1120&id=285326&value=consiglioInfor – 2 se ne veda qualche immagine, anche se solo parzialmente coinvolgenti – dato che l’esperienza va vissuta percorrendo tutta l’area ed immergendosi nella dimensione geologico-naturalistica – nel sito web del Parco Letterario: http://www.parcolevi.it/ – 3 http://www.visitmatera.it/palazzo-lanfranchi.html – 4 http://basilicata.basilicata24.it/lopinione/interventi-commenti/volevo-visitare-luoghi-fu-confinato-levi-cacciato-9791.php. – 5 ora in: http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/files/docs/32/36/05/DOCUMENT_FILE_323605.pdf – 6 cfr.: http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:YrOwPaKnjc4J:http://www.raco.cat/index.php/QuadernsItalia/article/download/129463/178846%2Bfrancesca+uccella+cristo&hl=it&gbv=2&&ct=clnk -7 http://www.comune.grassano.mt.it/Parco.php – 8 su cui, vedi http://www.italplanet.it/templateStampa.asp?sez=81&info=4915

 

LA RADICE DEL DESIDERIO di Giorgio Salvatori – Numero 1 – Luglio 2015

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metallo miniato, familiari all’occhio e alla gola che, da decenni, ci tentano dai banchi delle farmacie, delle erboristerie, dei negozi di dolciumi. Tutto parte da una radice estratta, per la prima volta, molti secoli fa. Una radice legnosa che, pulita, essiccata, lavorata, diventa una ghiottoneria amata da molti: personaggi celebri e comuni mortali, adulti e bambini. Ma può un bastoncino legnoso e bitorzoluto dare origine a una leggenda? Si, se ad estrarlo e trasformarlo sono mani esperte. Le mani sono quelle della famiglia Amarelli di Rossano, in Calabria. Una dinastia che dal ‘500 ad oggi ha costruito, sulla radice della “glycyrrhiza glabra” – la liquirizia per chi non avesse capito – un piccolo impero.

LA RADICE 
DEL DESIDERIO

 

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I dipendenti sono appena 50, ma – sarà per la forte coesione aziendale o forse per la tradizione che vede anch’essi, come i proprietari, passarsi il testimone di padre in figlio – il fascino discreto del marchio Amarelli ha ormai conquistato tutto il mondo: dall’Europa, agli Stati Uniti, dal Sud America ai Paesi Arabi approdando perfino in Giappone.
Il quartier generale è ancora quello di molti secoli fa: un palazzo dall’aspetto severo che denuncia la sua origine di struttura difensiva con caditoie, feritoie, mura massicce.
Dentro si lavora alacremente per produrre una serie di dolciumi, tutti a base di liquirizia, che spaziano dall’eterno e spartano tronchetto di radice naturale, da succhiare e masticare con imperturbabile lentezza, ai tanti pezzettini neri, colorati, multiformi, che, in una gamma incredibile di proposte, allettano lo sguardo e stimolano papille gustative e ghiandole salivari.
Quel dolce pizzicorino della glycyrrhiza offerto in mille forme e dando libero sfogo alla fantasia ed all’ingegno.
Oggi, a rappresentare la dinastia, c’è una volitiva signora, Pina Amarelli, capelli biondissimi, occhi azzurri e portamento elegante, che, per le sue doti personali e le tradizioni dinastico-aziendali, può vantare, unica donna in Calabria, il titolo di Cavaliere del lavoro.
Infaticabile imprenditrice, la nostra signora, vola ovunque si possa aprire nuovo spazio per ampliare la rete di conoscenza, e quindi di vendita, della rinomata liquirizia Amarelli.
Unica, a sentire il suo appassionato racconto, per qualità della pianta e metodo di estrazione e lavorazione.
“La raccolta è già di per sé stessa impegnativa – ci dice Pina Amarelli – perché il ramo sotterraneo aderisce al terreno in modo obliquo e richiede, quindi, la massima attenzione all’atto dell’estrazione.
Bisogna conoscere bene i luoghi dove cresce e approfittare dei periodi di pioggia, da ottobre a marzo, per operare lo scasso nel terreno, altrimenti impossibile o rischioso per la compattezza del suolo e la vulnerabilità della radice.

Nella remota e, per molti versi, ancora arcaica Calabria! I numeri, oggi, ci dicono anche che l’azienda Amarelli non ha subito scosse dalla crisi economica internazionale (le esportazioni sono aumentate nel 2014 del 7 per cento) e fattura addirittura 7-800 mila euro solo dalla piccola rivendita presente all’uscita del museo.
E la criminalità organizzata? Possibile che abbia lasciato indisturbata un’azienda con queste caratteristiche? “Problemi veri, pressioni dirette non ne abbiamo mai subiti -afferma la signora Amarelli – forse proprio in virtù del fatto che la nostra famiglia ha radici così antiche e ha sempre goduto di un rispetto che, spesso, si tributa a personalità dell’imprenditoria e della cultura lontane dal mondo dei partiti e della spartizione del potere.
Non mi riferisco, ovviamente, ai cavalieri fondatori della dinastia – continua Pina Amarelli, ma ai tanti che si sono avvicendati nella famiglia e nell’azienda.
Ne cito solo due: Giovanni Leonardo Amarelli, fondatore dell’Università di Messina nel ‘500, e, perché no, mio marito, Franco Amarelli, attivo nell’azienda, ma anche stimato docente universitario. Sono tutti lontani mille miglia dal sottobosco delle clientele” – taglia corto la Amarelli – e aggiunge: “la nostra forza, semmai, risiede nella continuità della tradizione della famiglia allargata. Da noi è facile trovare dipendenti che vantano quattro generazioni di lavoro nella nostra azienda. Una famiglia allargata, che mette al primo posto la condivisione degli obbiettivi da raggiungere, il calore umano, la collaborazione.
Se si lavora con questi principi il rispetto è assicurato, parola di Pina Amarelli”. Cosa vede Pina Amarelli nel futuro del sud? “Un gioco di squadra per fare sistema”. Accade nella Calabria dei numeri in negativo e delle cronache di mafia. Non solo un’eccellenza, ma un primato indiscutibile.

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Lavaggio, asciugatura e tritatura sono le fasi successive, dosando i tempi della lavorazione a mano con quelli della trasformazione industriale”.
Inevitabile, quest’ultima, per garantire standard igienico-sanitari di massimo livello.
“I risultati sono straordinari. La liquirizia Amarelli, senza alcun supporto di pubblicità diretta, televisiva o sulla carta stampata, è riuscita, piano piano, a conquistare i palati dei popoli dei cinque continenti, con una minore affermazione solo in asia – precisa la Amarelli – perché lì esiste una varietà di liquirizia più scadente che viene tradizionalmente usata per presunte finalità terapeutiche; tutte, ancora, da dimostrare”.
“L’uso dolciario e alimentare è invece nella tradizione italiana e occidentale senza trascurare le proprietà digestive e stimolatrici dei succhi gastrici che caratterizzano la nostra più pregiata glychirriza glabra.
Avidi consumatori della rinomata liquirizia calabrese, cui si attribuivano addirittura proprietà afrodisiache, erano personaggi famosi come Casanova e Napoleone – ci fa notare ancora la signora Amarelli – e la qualità della nostra glychirriza non si è perduta nel tempo se a rappresentare la Regione Calabria, all’Expo milanese, ci sono, in prima fila, anche i nostri prodotti”. Ma c’è di più.
All’ingresso del padiglione della Regione Calabria, campeggia perfino una statuina che raffigura lei, Pina Amarelli, “Lady liquirizia”, come ha titolato, con scarsa fantasia, un giornale locale.
Un tributo un po’ “fetish” alla signora della glycyrrhiza glabra.
Ma le ragioni di tanto attaccamento all’icona Amarelli, in Calabria, hanno una scaturigine ben più remota del secolo in cui, il ‘500, avvenne la prima estrazione a fini commerciali.
Il piccolo impero Amarelli avrebbe infatti un’origine feudale se è vero, come attesterebbe un documento scoperto nella biblioteca di famiglia, che la dinastia discende da un cavaliere crociato – forse un templare – che approdò in Calabria al seguito dei Normanni e lì trovò la patria per i suoi figli e per i figli dei suoi figli.
Vennero al mondo altri cavalieri, e poi letterati, mecenati, imprenditori.
La storia dell’inizio della lavorazione della liquirizia, e degli strumenti per la raccolta e la trasformazione, sono documentati in un museo ricavato nel severo ed antico maniero Amarelli.
Ed è anch’esso un successo: 35 mila visitatori l’anno, il più visitato tra i musei imprenditoriali italiani dopo quello di Maranello della Ferrari.

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IL NUOVO SUD, DOPO “VENT’ANNI DI SOLITUDINE”! di Giuseppe Soriero – Numero 2 – Ottobre 2015

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Il dibattito è già avviato non solo tra i meridionalisti, ma innanzitutto nella Politica e nel Governo.
I riflettori accesi in piena estate dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ hanno disgelato dati eclatanti di “quella parte dell’Italia che sta peggio della Grecia”: dai 46,6 mila euro di valore aggiunto per abitante di Milano si precipita ai 12 mila in provincia di Agrigento. 
Già Romano Prodi, nella prefazione alla nuova edizione del volume “Sud, vent’anni di solitudine”, aveva richiamato l’attenzione sul “Racconto di due economie” illustrato dall’Economist: il prodotto interno lordo per abitante, in Calabria (16.462 euro) è ancora la metà esatta di quello di un cittadino della Valle d’Aosta (34.415 euro). Adesso, in presenza di primi incoraggianti segnali di ripresa della produzione, e dei consumi, è doveroso chiedersi se l’area meridionale sarà questa volta coinvolta positivamente negli scenari di sviluppo del Paese. Il Governo annuncia infatti nuovi investimenti nazionali ed europei assieme all’elaborazione di un “Master Plan” per l’area meridiana.

IL NUOVO SUD, DOPO
“VENT’ANNI DI SOLITUDINE”!

 

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MEZZOGIORNO SENZA MERIDIONALISMO?

Scritti e libri hanno alimentato un dibattito fazioso tra i sostenitori del mercato e quelli dello Stato: chi gridava allo scandalo per le troppe risorse verso il Sud e chi replicava, implorandone ancora di più.
E giacchè “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”(Albert Einstein), sono da correggere i guasti indotti sia dal potere centrale che dalle classi dirigenti meridionali, risvegliando l’anima del Sud e suscitando fiducia tra le forze propositive cui si rivolge innanzitutto il messaggio suggestivo della rivista Myrrha. Le energie sane in campo sono tante.
Si può dire infatti che il Mezzogiorno, come l’ambiente descritto nel capolavoro di García Márquez, sia ancora oggi un luogo popolato da persone, quali il protagonista José Arcadio Buendía, «la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia». E si può naturalmente parlare di un’area territoriale certo diversa dal villaggio di Macondo, ma non affatto irrecuperabile, nella quale come altrove «le cose hanno vita propria […] e si tratta soltanto di risvegliargli l’anima».

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RISVEGLIARE L’ANIMA DEL SUD.

Archiviando, innanzitutto, la singolare semplificazione sulla «diversità» identitaria dei meridionali che aveva istigato in alcune zone del Nord una diffusa interpretazione razzista. Certo, l’intervento pubblico straordinario verso il Sud è stato, nel passato, gelosamente tutelato come la «calamita», considerata indispensabile da Arcadio Buendía per «sviscerare l’oro della terra». Una buona parte dei cittadini meridionali, come nel romanzo di Márquez, non riuscendo a «consolarsi dell’insuccesso delle proprie calamite», concepì l’idea di «utilizzare quella invenzione come arma da guerra». E gli effetti qui sono stati devastanti nel moltiplicarsi di calamite clientelari che hanno precluso ogni argine alla penetrazione della corruzione e delle mafie.

MALI DEL SUD E MALI DELL’ITALIA.

Il potere criminale ha saputo cogliere in tempo i ritmi della globalizzazione ed è riuscito a integrare capitali e risorse umane superando ogni dualismo dentro un sistema unitario con baluardi vistosi addirittura in Lombardia, in Liguria, in Emilia e a Roma capitale. Tutto ciò è accaduto proprio mentre la politica privilegiava un dibattito ideologico sul federalismo fiscale come misura risolutiva dell’utilizzo della spesa pubblica, soprattutto per rieducare il Mezzogiorno. 
Vale convincersi, pertanto, che né la politica, né la cultura, hanno più tempo per distrarsi, eternando stancamente meri conflitti territoriali tra “Nordisti” e “Sudisti” giacchè è arrivata l’ora di rivoluzionare il nesso tra politica, economia e pubblica amministrazione. La crisi internazionale ha clamorosamente squarciato il velo e lo scenario oggi è più netto: o le due aree del Nord e del Sud cresceranno insieme o la ripresa dell’Italia rimarrà sempre più tiepida proprio mentre il Mediterraneo è in ebollizione e spinge comunque verso la modifica di secolari equilibri.

UN NUOVO INTERVENTO PUBLICO E PRIVATO.

«Un’altra Europa è possibile» continua a scrivere Habermas nella direzione indicata con nettezza da Paul Krugman: «I nostri governi devono spendere di più, non di meno, assumere insegnanti, costruire infrastrutture, scegliere spese utili». L’analisi più rigorosa delle esperienze internazionali analoghe, dalla Germania all’Irlanda, ci dice che l’intervento dello Stato, solo se protratto nel tempo, con misure innovative e consistenti supporti finanziari, può ridurre drasticamente i divari territoriali interni fino ad annullarli.

Le novità di scenario vanno a questo punto valutate in tempo: la macroregione vera è quella euro mediterranea.

Hic Rhodus hic salta! Il Nord Africa, pur condizionato dalla evidente instabilità politica, cresce più dell’Europa ed è già all’attenzione dei capitali finanziari della Cina e dell’India tanto da indurre rispettabili studiosi a coniare il neologismo “Cindoterraneo”.

Qui, c’è la vera sfida culturale per chi voglia contribuire a innovare il Meridionalismo, sapendo ragionare sull’utilità europea del Sud: un’area che possa essere percepita nella sua validità da ogni cittadino europeo,

dai sistemi europei dell’economia, della finanza, dell’informazione, della scienza e della cultura. Il problema vero è se l’Italia, nel suo insieme, intenderà misurarsi in una competizione non scontata tra alleanze internazionali. Qui, più che altrove, è praticabile la riduzione del costo logistico totale, attraverso l’offerta di servizi integrati per affrontare la sfida globale dei mercati. Dopo l’ampliamento del Canale di Suez v’è la possibilità di raddoppiare in dieci anni i movimenti di merci (nel 2025 ben 56.880.000 di TEU); quale sistema portuale saprà trarne vantaggio? Solo la Spagna, la Francia, il Nord Africa o finalmente anche l’Italia? 
E giacchè le attuali deficienze logistiche implicano per noi “un costo superiore dell’11%, circa 12 miliardi di euro, rispetto alla media europea” (studio Cassa DD.PP.), il pieno utilizzo delle infrastrutture meridionali è la precondizione per tornare a crescere; mediante la specializzazione di filiera di alcuni poli produttivi e di tutti i porti meridionali da Gioia Tauro a Taranto, da Napoli a Cagliari a Catania, con una strategia di sistema, utilissima anche ai porti del Nord, da Genova a Trieste e proiettando finalmente la rete di Alta Velocità da Salerno verso Gioia Tauro e la Sicilia.
Si richiedono oggi, pertanto, coraggio civile e culturale, analoghi a quelli delle classi dirigenti che nel secondo dopoguerra diedero impulso al miracolo economico; per suscitare adesso il proficuo coinvolgimento di tutte le energie culturali, progettuali, operative espresse da sindacati, imprenditori, università, associazioni culturali. Con analogo spessore dell’impegno nazionale profuso per l’Expo di Milano si lavori insomma per esaltare la scelta di Matera 2019, indicando nuove capacità operative e anche nuovi riferimenti simbolici alle nuove generazioni.

 

IL SILENZIO DEL SUD di Giorgio Salvatori – Numero 2 – Ottobre 2015

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Lo Stato non è solo finanziamenti pubblici, ma anche leggi e doveri uguali per tutti. Pochi, al sud, reclamano il rispetto di questa regola. C’è un grande silenzio su questo nodo cruciale da parte della grande maggioranza della società meridionale. 

 

IL SILENZIO DEL SUD

 

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Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.

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Questa, in estrema sintesi, l’accusa di Ernesto Galli Della Loggia, dalle pagine del Corriere della Sera, in un editoriale del 9 agosto scorso. Analisi impietosa, cui si sovrappongono i dati, inquietanti, contenuti nel rapporto Svimez, la società che si occupa delle ricerche sul Mezzogiorno, secondo cui il sud, dal 2000 al 2013, ha visto aumentare il suo Pil del 13 per cento contro il 24 dell’agonizzante economia greca. “È sparito il sud” ha titolato, in copertina, l’Espresso del 10 settembre scorso e, nel sottotitolo, ha affondato il coltello: “crollo demografico, fuga dei cervelli, economia immobile, imprenditoria assente. Un terzo del paese è scomparso dalle mappe”. Se le cose stessero veramente così Myrrha potrebbe salutare i suoi lettori e scrivere un epitaffio: “ci siamo sbagliati, interrompiamo le pubblicazioni”. Noi, però, non pensiamo che il Sud sia scomparso, sommerso dalle sue piaghe storiche, dal suo fatalismo, dalla sua rassegnazione. Lo abbiamo scritto già sul primo numero della nostra rivista. Le tante manifestazioni spontanee, di giovani e di meno giovani, che, in assenza di convocazioni politiche o sindacali, si stanno moltiplicando in Campania, in Calabria, in Sicilia, dimostrano che una parte considerevole della società meridionale vuole uscire dal torpore e battersi per il cambiamento. Si tratta di studenti, imprenditori, comuni cittadini che chiedono proprio quello che Galli della Loggia invoca, cioè un’etica e una programmazione politica che, finora, sono mancate, nelle “sette regioni dell’antico regno borbonico”, come sottolinea Luigi Vicinanza nell’editoriale dell’Espresso dello scorso settembre. Se siano maggioranza o minoranza i meridionali non rassegnati all’immobilismo e al dominio della illegalità è problema secondario, almeno in questa fase, lenta, ma che a noi appare decisa, di presa di coscienza e di trasformazione sociale e culturale. Non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno a differenza di chi, come Galli della Loggia, lo vede mezzo vuoto o addirittura privo di una fonte a cui attingere acqua. D’altra parte, le nostre analisi, non cercano di nascondere e neppure di edulcorare l’amaro sapore dei fallimenti e dei veleni di cui il Sud è cosparso per effetto dei tanti piani di sviluppo mai realizzati, degli sprechi, delle mafie che hanno spadroneggiato condizionando la politica, l’economia e l’occupazione nel Meridione. Carlo Borgomeo, in un articolo ospitato in questo numero (e già in sommario prima della divulgazione dei dati Svimez), afferma che il problema del sud è stato finora, sostanzialmente affrontato in termini di Pil, di divario economico tra un nord sviluppato e un meridione arretrato e immobile. “Bisogna invece chiedersi” – scrive Bogomeo – se si tratta soprattutto di questione economica, di reddito, o non riguardi piuttosto il grado di coesione sociale, di senso comunitario, di cultura della legalità diffusa e, più decisamente, di qualità della convivenza civile.

 

PIC-NIC CON L’ORSO di Giorgio Salvatori – Numero 2 – Ottobre 2015

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Che l’orso bruno sia un gran ghiottone lo sanno tutti. Ma di che cosa è goloso il nostro orso marsicano? Di miele, certamente, ma anche di pere e di mele selvatiche, di fragole, di frutti del sorbo, di bacche. Attrazioni irresistibili, per il più grande mammifero dell’Appennino centro meridionale un po’ come l’irrefrenabile voglia che si scatena, in noi umani, quando, all’improvviso, scorgiamo un vasetto di nutella incustodito in attesa del primo, impetuoso affondo del cucchiaino. I ricercatori del Parco Nazionale d’Abruzzo conoscono perfettamente sia le preferenze alimentari dell’orso sia i luoghi dove, a seconda delle stagioni, il nostro golosone va a caccia della sua “nutella”. Così, coadiuvati da guardaparco, agenti forestali e volontari, predispongono punti precisi di avvistamento per censire i plantigradi che ancora vivono nella storica area protetta. Tra agosto e settembre sono soprattutto le zone dove matura il ramno, una bacca di colore violetto di cui l’orso è particolarmente goloso, a essere sottoposte a stretta sorveglianza.

Per quattro settimane, all’alba e al tramonto decine di esperti e di appassionati, tutti selezionati e autorizzati dall’Ente Parco, si sparpagliano ovunque siano presenti in abbondanza i ramneti per tentare di avvistare il raro mammifero e conteggiare adulti già registrati,

Taciturno, abituato a fare più che a parlare Stefano Tribuzi è un naturalista autentico, l’esatto contrario di alcuni ecologisti salottieri, tante chiacchiere, molta vita cittadina e poca natura. Volto asciutto, baffi curati, ricorda un po’ l’attore americano Errol Flynn, adorato dalle nostre madri e nonne. Arrivò qui, da Roma, giovanissimo, negli anni settanta. Non è più andato via. La sua vita è con gli orsi e con i lupi, e questo tutti i direttori che si sono avvicendati nel Parco lo sanno, e sul suo bagaglio di esperienze hanno sempre contato per i censimenti ed i progetti di conservazione più importanti. Le epifanie della natura è la sua lezione, vanno conquistate, con passione, con fatica. È forse grazie a questa predisposizione d’animo che nello stesso Parco, anni fa, mi sono imbattuto nella visione magica e congiunta di tre lupi, emersi da chissà dove, e di un’aquila reale che quasi sfiorò la mia testa picchiando, ad ali spiegate, verso la valle sottostante. Molti però scambiano i parchi per un grande zoo, dove gli animali sono in mostra oppure per un luna park della natura, una immensa area verde dove apparecchiare una chiassosa tavola per il pic nic o, ancora peggio, un luogo dove scorrazzare rumorosamente in auto o in moto. Nessuna preoccupazione per il disturbo recato alla fauna selvatica o al rischio di investire uomini e animali. “Questo è uno dei problemi più seri e complessi che il Parco deve affrontare d’estate” dice Dario Febbo.

“Non basta il groviglio di competenze comunali, provinciali e regionali con cui, ogni giorno dobbiamo confrontarci. Far capire ai turisti che le strade tortuose che attraversano il Parco non sono un circuito per gimkane, su due o quattro ruote, è impresa ardua.

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PIC-NIC CON L’ORSO

 

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È dunque l’orso bruno marsicano, (Ursus arctos marsicanus), la popolazione più vulnerabile e più preziosa, unica in Italia e nel Mondo, sia che si tratti di una sottospecie sia che si riveli agli studiosi come una specie autoctona.

quelli sfuggiti agli avvistamenti precedenti e, soprattutto, i nuovi nati, questi ultimi ancora più preziosi degli adulti. Perché è un patrimonio di immenso valore che si tenta di far accrescere e prosperare, uno straordinario dono del nostro Sud. Altrove, in Europa, (ad eccezione di alcuni Paesi del Nord, come la Svezia, la Finlandia, o dell’Est, come la Slovenia e la Croazia) l’orso bruno è ancora più raro, o è addirittura scomparso. È svanito dalla Danimarca e dall’Inghilterra, ad esempio, dove l’assenza è ormai una desolante realtà dall’epoca medievale, dal Belgio, dall’Olanda, dal Portogallo, dalla Svizzera (qui vengono segnalati solo erratismi occasionali). In Paesi come l’Ungheria e la Polonia, i numeri sono talmente esigui da non contare statisticamente. Il nostro orso bruno marsicano potrebbe essere addirittura una specie a sè stante. Gli studiosi non si sono ancora messi d’accordo su questo punto, ma se così fosse, si tratterebbe di un patrimonio ancor più prezioso, da difendere e da tutelare con ogni mezzo. Qualcuno potrebbe obiettare che in Italia esiste un altro orso, il Bruno Europeo, in progressiva espansione numerica lungo la fascia alpina, ma questa popolazione, è frutto, in gran parte, di recenti reintroduzioni, e appartiene alla specie Ursus arctos, cioè all’orso ancora presente, con popolazioni rilevanti, nelle regioni del Nord dell’Europa.

“La lotta è impari” afferma Tiziana Altea – “e il rischio è che tra qualche anno, nonostante i nostri sforzi, si debba assistere alla perdita di questo splendido animale che è il simbolo stesso del Parco”.

Tiziana Altea, capo dell’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Castel di Sangro, dirige il lavoro dei forestali che tutelano, insieme con il personale del Parco, l’integrità ambientale e faunistica dell’area protetta. “Bracconaggio, turismo di massa, consanguineità, tutto sembra congiurare contro la sopravvivenza dell’orso”, continua la dirigente forestale, “noi, però, stringiamo i denti e lavoriamo per il suo benessere e per assicurargli un futuro”. È una donna tosta Tiziana Altea, infaticabile, motivata. La incontriamo in uno dei presidi più belli e meno noti del Corpo Forestale, Torre di Feudozzo, al confine con il Molise. Alloggi confortevoli, giardini curati, scuderie con cavalli di razza tra i quali i famosi e rari cavalli di Persano. Una piccola Svizzera che è il miglior biglietto da visita per il visitatore, italiano o straniero, che abbia la fortuna di scoprire questo angolo di natura silenziosa e custodita dalla sapiente mano di una donna capace. Altea mi propone di partecipare ad una delle escursioni curate dal Corpo Forestale per censire gli orsi. Parto con grande entusiasmo e poco allenamento per una meta impervia e poco frequentata: una cresta del Monte Miele che raggiungo a fatica dopo una salita mozzafiato (nel senso letterale) e che risulterà avara di sorprese. Tanti cervi, tra i quali due maschi dai palchi imponenti, ma nessun orso. Pazienza, stessa sorte il giorno precedente, a Spineto, a due passi da Pescasseroli con le sue moltitudini chiassose di fine agosto. Qui, accompagnato da una guida di straordinaria esperienza, Stefano Tribuzi, l’unica creatura che si manifesta in lontananza, attraverso le lenti poderose del nostro cannocchiale, è ancora una volta un cervo maestoso e solitario. All’alba del giorno precedente due ragazzi alla loro prima escursione, nello stesso punto di osservazione e con la stessa guida, avevano avuto la rara fortuna di avvistare un’orsa con il suo piccolo.

“Il mondo delle creature selvatiche è così”, commenta laconico Tribuzi, “benedice chi vuole e quando vuole non bisogna scoraggiarsi. Io ho pazientato 12 anni” –aggiunge – “prima di avvistare, a distanza ravvicinata, il mio primo orso marsicano”

Ma quanti orsi marsicani sopravvivono sull’Appennino centro meridionale? “Nel Parco, dove si stanno elaborando in questi giorni i dati del censimento, dovrebbero essere una cinquantina, cui vanno aggiunti” – afferma Dario Febbo, direttore della storica area protetta – “Una decina di individui segnalati, qua e là, nel Velino Sirente, sui Monti Ernici, sui Simbruini, sulla Majella”. Anche qui, come nel caso del capriolo italico (https://www.myrrha.it/articolo-salvatori-lunga-marcia-verso-salvezza-piccolo-capriolo-gargano) le leggi della biologia animale non ci fanno intravedere un futuro certo. Eppure questo è l’antico, leggendario, meraviglioso sovrano dei monti e dei boschi dell’Appennino Abruzzese. Ogni specie di mammifero che scenda sotto i cento individui è a serio rischio di estinzione affermano, purtroppo, gli zoologi. Per la maggiore probabilità di incroci tra consanguinei che indeboliscono la specie, per la minore capacità di difesa di fronte a eventi eccezionali meteorologici e climatici, per la maggiore vulnerabilità alla pressione antropica, al bracconaggio, alle morti accidentali per investimento da auto o da treno (è accaduto anche questo) ai decessi per avvelenamento. “Mai arrendersi, però”- dichiara battagliero Dario Febbo – “mai darsi per vinti”. Lui e i suoi collaboratori ce la stanno mettendo tutta per salvare dall’estinzione il più vegetariano e il più pacifico degli orsi di tutto il mondo. Perché l’estinzione, recita un vecchio slogan del WWF, è “per sempre”. Attorno a lui, oltre a una sessantina di guardiaparco e di ricercatori, una schiera di formidabili collaboratori a cominciare dal Corpo Forestale dello Stato.

Multe e ammonizioni non sono sufficienti. Ci vuole un cambio di mentalità. L’orso, più di tutti, ha bisogno di spazi vasti e tranquilli, mal sopporta il disturbo di turisti rumorosi e maleducati e neppure incontri ravvicinati e vetrine televisive”. Il riferimento è alle tante, pressanti richieste di mostrare al pubblico del piccolo schermo la nuova mascotte del parco. Si chiama Morena, ed è una piccola orfanella di orso trovata dalle guardie, tre mesi fa denutrita e disidratata, presumibilmente abbandonata dalla madre, accanto ad una strada transitabile del Parco. È stata recuperata e rifocillata, ma ora si stanno adottando mille cautele per farle superare il periodo della semi-cattività, e infine restituirla alla natura. Prima condizione: non farle subire l’imprinting umano, cioè l’eccessiva confidenza, l’abitudine al contatto e al nutrimento garantito dall’uomo. Senza questa precauzione sarebbe condannata a vivere in un recinto o a vagare, di notte, tra le case dei paesi in cerca di bidoni di rifiuti nei quali rovistare”.

La legge dei media, però – osserva Febbo – è spietata, obbedisce soprattutto al richiamo dell’audience, e il pubblico televisivo desidera credere in una natura che non esiste, il mondo di yoghi e di bambi.

Pochi sanno che un cucciolo di orso, vero, non creato da un disegnatore di fumetti o di cartoni animati, non sopporterebbe di essere preso ripetutamente in braccio e mostrato alle telecamere, a meno che non lo si voglia condannare alla schiavitù perpetua, in cattività, soltanto per il nostro divertimento”. Febbo mi mostra la curva degli indici di natalità di questo pacioso e solitario plantigrado. Le misure di protezione adottate a partire dal 1923 l’anno di istituzione del P.N.A., hanno consentito all’orso marsicano di sopravvivere e di resistere al crescente accerchiamento antropico e urbanistico. Le nascite, però sono state quasi interamente vanificate dalle morti causate, direttamente o indirettamente, dagli uomini. Dal nuovo censimento, perciò, si attende non il miracolo, ma il rinnovamento delle speranze.

Qualche cucciolo in più farebbe la differenza, a condizione che tacciano per sempre le armi micidiali dei bracconieri e si plachino gli scalmanati della velocità e gli alchimisti dei veleni. Che cosa sarebbe, altrimenti, il Parco, senza l’orso?

Un bellissimo volto dal sorriso sdentato, un castello abbandonato, un reame senza il suo sovrano. La fiaba resiste, certo, ma il rischio, dietro l’angolo, è che conservi il suo bell’incipit: “C’era una volta un re”, ma non il suo finale: “e vissero tutti felici e contenti”. Giorgio Boscagli, lo zoologo che, negli anni ottanta, raccolse in un libro le prime statistiche sulla presenza dell’orso marsicano nel nostro Appennino, scrive nella prima pagina del suo saggio. “Se una sera vedrai all’orizzonte la mia sagoma scura aspetta, osserva, non muoverti, potrebbe essere l’ultima mia apparizione”. Il re, per nostra fortuna, è ancora là, nascosto tra monti e boschi fra i più belli del mondo. Sta a tutti noi aiutarlo a regnare libero e solitario, non possiamo accettare l’idea di vederlo confinato, per sempre, in un Museo.

 

MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ di Giusto Puri Purini – Numero 2 – Ottobre 2015

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Palestina a Roma, il viaggio di S. Paolo.
Poi, l’esperienza ai “Vivai Del Sud” come Art-Director, in un contraltare di ombre sfavillanti, al design milanese, allora imperante, rigoroso e scarno.
Il mio punto di partenza di questa lunga ricerca senza fine è stato un libro, divenuto un cult degli anni 60, edito in USA, “The Hole Earth Catalogue”, accompagnato da uno splendido “Architettura Spontanea” di Bernard Rudowsky.
Nel Mediterraneo, quell’edificare nuragico, quei trulli di pietra, le Pagliare salentine e tante altre tipologie simili, sprigionavano un fascino che solo una vera armonia con la natura circostante poteva sprigionare.
Il Sud diventava così un osservatorio privilegiato, ed era l’habitat a far scorrere fra le genti quel minimo comune denominatore. Cambia lo scenario e il pensiero va al Nostro Mare, ai 1-10 -100 – Mediterranei, sparsi nel mondo, dove condizioni simili avevano creato Civiltà Simili, fino a raggiungere, nonostante rivalità e conflitti, eccellenze in tanti campi.

Dall’Himalaya quindi, “nuovo” antico centro, verso di noi (occidente) come un sasso in uno stagno attraverso fasce circoncentriche di culture e civiltà complesse, fino al Mediterraneo, alle colonne d’Ercole, superate psicologicamente e storicamente solo nel 1492, dall’altra parte, verso il continente americano, dove le colonne d’Ercole asiatiche rappresentavano per i popoli in movimento un “unicum” terrestre, continuo, e oggi è in distanza reale come da Stromboli vedere Panarea.
In questa collocazione strategica delle cose, come un grande progetto del passato, appare più naturale, originale per noi del Mediterraneo, proporre un viaggio a ritroso dai Greci verso oriente, alla ricerca di quelle tracce unificanti che diano ragione al progredire all’incontrario della storia e delle sue influenze.

immaginare un nuovo centro più “Mediterraneo” degli altri, il più alto, il più forte, il più vario climaticamente, centro di produzione di fonti vitali quali l’acqua, la terra, l’aria e il fuoco.

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MEDITERRANEO CENTRO DELLE DIVERSITÀ

 

Giusto-Puro-Purini

Questa e altre sono

le responsabilità di MYRRHA, raccogliere quelle tracce originarie, per avviarci verso una nuova contemporaneità dei mezzogiorni, che prodotta dal territorio e dalle genti che ci vivono, contribuisca, con quelle nobili origini, alla trasformazione del mondo in direzioni il più possibile sostenibili.

Ma, se similitudini tra le poleis sono una certezza, che nasce dalle analogie delle necessità, diverso è il discorso sulle ideologie, sulle religioni, che dovrebbero essere le cinghie di trasmissione delle varie conoscenze, e dei suoi vari stati di sviluppo, e al contrario offuscano, ora da una parte ora dall’altra, con interventi drastici, l’immagine con la quale hanno assunto il loro ruolo egemonico tra le genti.
Se prevalesse la politica del “senso comune”, quello con la C maiuscola, a dispetto delle faziosità pratiche e della microconflittualità, in un’area come quella del Mediterraneo, rimarrebbero, alla fine, le diversità individuali e culturali sempre più appariscenti e spettacolari, come anche le sfumature e le similitudini… si fonderebbero piramidi con colonne, palme con bastoni, vezzi con potenzialità costruttive, i vuoti con i pieni, le ombre con la luce, i colori, in un infinito gioco delle parti, un crogiolo pieno da cui pescare con passione.

Come un’atomizzazione del territorio, collegati da flussi energetici, così ci appaiono gli insediamenti umani del Mediterraneo ed è questo infine il segno di molteplicità, intesa come scuola, fucina delle esperienze umane, come sviluppo del viaggio e della ricerca, e oltre a noi verso Est, l’immane pianeta oriente, più antico, più vasto, più alto, con altrettanti paradisi,

(French quarter, S. Charles, ecc.).
Immaginare tutto ciò, insieme ad influenze indiane, africane, francesi, inglesi, creole… un altro Mediterraneo e così via… Ed è questo il senso della ricerca (così come appare nell’Oltre il 7), suggerendo di collegare a questi viaggi, ed a questi spunti, un progettare continuo, un essere presente con strumenti adeguati, dubbi e certezze (impermanenze) suggerendo porte da aprire, sguardi da volgere, attivare i nostri sensi, raccontare le storie che fluiscono da nuovi incontri, costruire molteplici direzioni.
E, viaggiando oltre i Greci, quindi, verso la Ionia; l’Asia Minore e oltre; riuscire a far pace con la cultura d’origine, quella Greca, la nostra, nonostante si sia impadronita nei secoli di verità profonde, provenienti dal lontano oriente, e dopo averle acquisite, abbia alzato un baluardo verso quelle culture, considerando barbare le terre dalle quali Alessandro Magno, tanto aveva appreso (per esempio il Dio unico) in così poco tempo.
Scoprire, inoltre, affascinati, le favole dei miti, e, con l’architettura, le loro componenti terrene, come il mito della “Chimera”, drago e leone, sconfitta da Bellerofonte, con un dardo di piombo, con l’aiuto di Pegaso il cavallo alato, e precipitare sui monti della Lycia accanto ad Olimpia, lasciando al suolo 600 bocche di fuoco ancora fiammanti oggi, e descritte da Erodoto, in viaggio via mare da Side verso Alicarnasso, trent’anni dopo l’epica impresa di Alessandro Magno (330 a.C.).

 

Questo “non essere” cultura sedentaria ne ha spinto alcuni, nei tempi più remoti, verso il nord prima, e verso oriente poi, ancora… verso lo stretto di Bering, e le pianure nord americane, determinando la nascita e lo sviluppo di nuovi popoli, allungatisi e frazionatisi in un’infinita migrazione verticale… fino all’australe 

Patagonia…

Il Sud è nel mio DNA e nella mia mente da sempre. Un’attrazione irresistibile per quelle leggende e quei miti! Ho avuto un padre triestino-mitteleuropeo e una madre salernitana. Il Sud è entrato nella mia vita, come longitudine e latitudine, durante i miei studi alla facoltà di Architettura a Valle Giulia, e proseguito come scenografo di Roberto Rossellini con “Gli Atti degli Apostoli”, dove si descrive, dalla 

con centri del mondo come il Kaylas nell’Himalaya, ove il “macro” del pianeta si esalta, e i fiumi fluiscono senza fine verso i quattro punti cardinali della terra, e con loro fluisce il sapere, antichi intrecci, di dialogo cosmico mai interrotto, quel fruscio di qualche cosa che è arrivato anche a noi e forse ad altri.
E poi, oltre l’estremo Oriente, l’America invasa in tempi più recenti ancora dal “suo Oriente”, ma questa volta siamo noi, i popoli dell’occidente, ad avere incrinato l’idilliaco vivere delle popolazioni indiane, ricche di grandi civiltà e depositarie di antichi segreti. Vi abbiamo condotto in catene gli africani, e da questa unione impossibile è nato il nuovo continente, dove il magnifico e l’orribile si sono spesso avvinghiati in furiosi corpo a corpo, per fare sorgere comunque un laboratorio umano d’incredibile spessore, che da questa esperienza sta conducendo oggi la sfida mondiale agli altri continenti e alle vecchie sedimentazioni.
Mi viene in mente, tra gli altri “Mediterranei” il Golfo del Messico con New Orleans, regina in USA della musica, città “entertainment” del passato.

Il fatto di collegare impianto architettonico e giardino attraverso continui confronti e interazioni, ha reso possibile assimilare i segnali di un’architettura filtrante che sdrammatizzasse la severa occupazione di spazio del corpo centrale, con elementi leggeri che ne fossero come un’intercapedine e, quindi, anche matrice di una nuova possibilità di progettazione anche a livello di scale diverse, dai padiglioni effimeri ad interi quartieri di case minute (2 piani) e leggiadre, soffuse di Palladismo e ricche di armonia

Da qui l’idea dei due orienti, se visto dal nostro osservatorio mediterraneo, marginale in qualche modo rispetto al movimento vorticoso delle genti sino, mongole, tibetane.
Esse sono per noi il profondo oriente; quindi diviene “oltre oriente” per noi anche la terra degli maquis sugli altopiani messicani, e gli sciamani di corvo Rosso nelle “Black Hills”.
Le similitudini etniche sono stupefacenti, quelle semantiche e spirituali altrettanto…
Coloro invece che sono rimasti e hanno vegliato nei millenni all’ombra del Kaylas, nel centro del mondo al centro delle vette più alte, lì dove l’impatto della deriva dei continenti è stato più forte (subcontinente indiano con continente asiatico) sono il popolo tibetano, detto per eccellenza “il popolo degli uomini” così come si definiscono gli indiani delle praterie americane.
Questo popolo degli uomini è oggi calpestato come tanti altri popoli in terre ancora più lontane, ad Oriente… e come ci accaniamo contro la foresta Amazzonica, privando la terra del suo ossigeno, così falciamo i popoli antichi, cinghie di trasmissione di quella impertinenza, di cui avremo bisogno, oscurando i pochi fenomeni luce a noi rimasti.
Andare quindi verso oriente in un viaggio orizzontale attratti da un’antica verità, un’origine storico-geografica comune, una culla dei popoli, che attraverso il suo dispiegarsi, illustri come un grafico i movimenti vorticosi degli uomini;

 

SYRACUSE, MEDITERRANEAN CROSSROADS FOR THE CULTURE OF JUSTICE di Giovanni Pasqua – Numero 2 – Ottobre 2015

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The International Institute of Higher Studies in Criminal Sciences (ISISC) was founded in 1972 with the ambition of establishing in Syracuse, in the heart of the Mediterranean, an international center for research, study and education that could be an ideal bridge between north and south, east and west, between the Western and the communist countries, between Europe and the Arab world. A place where, despite the apparent peripheral location and the turbulent international political framework, ideas, principles and values could be discussed freely, thus contributing to the development and dissemination of international criminal law.

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This idea was brought forward by the International Association of Penal Law (AIDP) – the oldest and most prestigious association of jurists in the field of criminal law, established in the mid-XIX century – to which we owe the original vision of the Institute, and the support of the local authorities.
To date, over the 40 years since its foundation, and after more than 550 initiatives including seminars, conferences, training courses, research programs and technical assistance projects attended by more than 42,000 law professionals from over 160 countries, but especially in light of the numerous awards received1, it can be said without fear of contradiction that the original objective has been achieved.
The nature and the mission of the Institute are also symbolically represented by ISISC’s new headquarters, located since 2010 in the narrow streets of the old Jewish ghetto of Iureca, in the former Christian Church of San Francesco di Paola and attached Convent of the Minims, while its President Professor M. Cherif Bassiouni, considered one of the fathers of international criminal law, is Egyptian by birth and Muslim by religion.

The presence and activities of the Institute in Siracusa and in Sicily have a symbolic significance. For 40 years the beautiful city of Siracusa, with its ancient culture radiating from the center of the Mediterranean, and its representing a bridge – both geographically and culturally – between the Western and Eastern civilization, has been the host city of this Institute, which likewise spreads the culture of legality and the protection of human rights all over the world, uniting in itself the legal and cultural traditions present at the international level.
In an emblematic gesture, the city of Siracusa has proclaimed itself to be a “city of peace and human rights”. It is a motto that is reflected in the Institute’s work, affirming our conviction that peace and justice are indivisible: there can be no peace without justice, and no justice without peace7.

1. ISISC is a foundation acknowledged by a Decree of the President of the Italian Republic in 1980, and a NGO recognized by Decree Law of the Italian Ministry of Foreign Affairs in 2006, enjoying consultative status with the United Nations and the Council of Europe. It is also one of the 18 international organizations comprising the United Nations Crime Prevention and Criminal Justice Programme Network (PNI) and has cooperation agreements with several international and Italian institutions (High Judicial Council, Higher School of the Judiciary, Higher School of Advocacy). 2. The Institute then continued to support the work of the Committee, organizing several meetings of the Preparatory Committee that led to the establishment of the International Criminal Court (ICC – CPI) in 1998 by the Diplomatic Conference held in Rome; the President of ISISC was also President of the Drafting Committee. 3. Among these instruments, we should mention the drafting of the ‘Convention on International Cooperation in Criminal Matters’, a curriculum for the teaching of European Criminal Conventions in European universities, and the ‘Guidelines for the Protection of Cultural Heritage in Europe’ (with the support of the European Parliament). 4. These instruments include the ‘Principles on the Independence of the Judiciary and the Legal Profession’, ‘Principles on the Protection of the Rights of the Mentally Ill’, ‘Guiding Principles on Crime Prevention and Criminal Justice in the Context of Development’, ‘Model Treaty on the Transfer of Prisoners’ , ‘Model Treaty on the Transfer of Criminal Proceedings’, ‘Model Treaty on Extradition’, ‘Model Treaty on Enforcement of Sentences’. 5. In the framework of this program, a conference was held in Syracuse in September 2003 which was attended by delegations from all the 22 member countries of the Arab League, seven of which were represented by their Ministers of Interior or Justice. 6. In recognition of its efforts in Afghanistan, ISISC was awarded the “2008 Management and Staff Training Award”, a prize presented by the International Corrections and Prisons Association (ICPA), an international association of experts in penitentiary law representing more than 80 countries. 7. In several publications, ISISC President Prof. M. Cherif Bassiouni quotes the following sayings from the three largest monotheistic religions, which all emphasize the importance of this concept: “The world rests on three pillars: on truth, on justice, and on peace” (Rabban Simeon ben Gamaliel); “If you see a wrong you must right it; with your hand if you can, or, with your words, or, with your stare, or in your heart” (Hadith of the Prophet Mohammed); “If you want peace, work for justice” (Pope Paul VI).

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Among the Institute’s most significant contributions to the development of international criminal law must be mentioned the support given, since the 70s, to the establishment of the International Criminal Court, whose first draft text elaborating its Statute, put before the United Nations Preparatory Committee in 1996, was called the ‘Siracusa Draft’2. The Institute also played a central role in drafting numerous UN Conventions, including the Convention against Torture (adopted in 1984), whose first text was drafted by a group of experts who met in Syracuse, and many legal instruments approved by the Council of Europe3 and the United Nations4, currently used for the alignment of the legislation of the UN member states.
As part of its mission, the Institute has paid particular attention to the Mediterranean area and the Middle East, contributing to the dialogue between the Western and Islamic systems in order to lay the basis for a mutual understanding aimed to promote initiatives of mutual cooperation. In the late 80s, thanks to the contribution of the Council of Europe, the ‘European Convention on Human Rights and its Protocols’ and the ‘European Convention on Torture’ were translated into Arabic. In the same period ISISC conducted numerous programs for human rights information, that culminated in the elaboration of a draft ‘Arab Charter of Human Rights’. In the framework of the collaboration with the Arab League, the ‘Arab Framework Law on International Cooperation in Criminal Matters’ was then drafted, which has then become a fundamental tool for the alignment of Arab countries’ legislation5.

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However, the Institute has not only worked for the development of regulatory standards and research activities aimed at advancing the scientific debate, but, since early 2000, it has applied its considerable know-how and experience in support of developing and post-conflict countries, through the implementation of technical assistance projects in countries such as Afghanistan, Albania, Egypt, Iraq, Lebanon and Macedonia. In Afghanistan, for example, ISISC was present from 2003 to 2010 with activities mainly funded by the Italian government and the United Nations, but also by Great Britain, Lithuania, Norway and the United States. These activities addressed the reform of the penal system, the protection of human rights, penitentiary reforms6 and counter narcotics efforts, and they involved more than 2,700 judges and police officers and covered 19 of the 32 Afghan provinces. In Iraq, since 2002, the Institute has carried out several technical assistance programs in the field of human rights, the rule of law and post-conflict justice, developing, among other things, a strategic plan for the reform of the judicial system that was approved by the Prime Minister of Iraq in 2006.

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SIRACUSA CROCEVIA MEDITERRANEO PER LA CULTURA DELLA GIUSTIZIA di Giovanni Pasqua – Numero 2 – Ottobre 2015

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alla diffusione del diritto penale internazionale. 



Intorno a questa idea si incontrarono la volontà dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale (AIDP) – la più antica e prestigiosa associazione di giuristi nel campo del diritto penale costituita a metà del XIX Secolo – alla quale si deve l’idea originaria e la lungimiranza degli enti locali siciliani dell’epoca.

Dopo oltre 40 anni dalla sua fondazione e dopo oltre 550 iniziative tra seminari, conferenze, corsi di formazione, progetti di ricerca e di assistenza tecnica, con la partecipazione di più di 42.000 giuristi di oltre 160 Paesi, ma soprattutto alla luce dei riconoscimenti ricevuti1, si può affermare senza tema di smentita che questo obiettivo sia stato centrato.

La natura e la vocazione dell’Istituto sono oggi simbolicamente rappresentati anche dalla nuova sede dell’ISISC che dal 2010 è stata spostata tra gli stretti vicoli dell’antico ghetto ebraico della Iureca, nell’ex Chiesa Cristiana e convento di San Francesco Di Paola, e dal suo Presidente il Prof. Cherif Bassiouni, egiziano di nascita e musulmano di religione, considerato tra i padri del diritto penale internazionale.

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Tra i più significativi contributi dell’Istituto intesi a promuovere lo sviluppo del diritto penale internazionale vanno ricordati il supporto dato sin dagli anni settanta all’istituzione della Corte 

Penale Internazionale

la cui prima bozza di testo presentata davanti al Comitato Preparatorio delle Nazioni Unite nel 1996 con il compito di elaborare lo Statuto della Corte venne chiamata Siracusa Draft2. L’Istituto, inoltre, ha avuto un ruolo fondamentale nell’elaborazione di numerose Convenzioni delle Nazioni Unite, fra cui quella contro la Tortura (adottata nel 1984) il cui primo testo fu redatto da un gruppo di esperti riunitisi a Siracusa, ed in numerosi strumenti giuridici approvati dal Consiglio d’Europa3 e dalle Nazioni Unite4, attualmente utilizzati per l’adeguamento legislativo dei Paesi membri dell’ONU. 

Come propria missione l’Istituto ha dedicato una particolare attenzione al bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente, contribuendo al dialogo fra i sistemi occidentali e islamici nell’ottica di porre le basi per una reciproca conoscenza al fine di favorire iniziative di mutua cooperazione. Sul finire degli anni ottanta e grazie al contributo del Consiglio d’Europa sono state tradotte in arabo la ‘Convenzione Europea sui Diritti Umani e i suoi Protocolli’ e della ‘Convenzione Europea sulla Tortura’, e nello stesso periodo sono stati condotti numerosi programmi per la diffusione dei diritti umani che sono culminati nell’elaborazione di una bozza della Carta Araba dei Diritti Umani.

e che fa da ponte – sia geografico quanto culturale – fra la civiltà occidentale e quella orientale, così l’Istituto ha promosso la diffusione della cultura della legalità e della tutela dei diritti umani in tutto il mondo, riunendo in sé le istanze delle diverse tradizioni giuridiche e culturali presenti a livello internazionale. 

Con un gesto emblematico, la città di Siracusa è stata proclamata “Città per la Pace e per i Diritti Umani”. Queste parole si riflettono a loro volta nella missione stessa dell’ISISC, che non fa che riaffermare la sua convinzione che pace e giustizia non siano divisibili: non vi può essere pace senza giustizia, né giustizia senza pace7.

1. L’ISISC è una Fondazione riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica Italiana dal 1980 e ONG riconosciuta con Decreto del Ministero degli Esteri del 2006 e ha ottenuto lo Statuto Consultivo presso le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa. E’ inoltre uno dei 18 Istituti a livello internazionale membri del Network delle Nazioni Unite per la Prevenzione del Crimine e la Giustizia Penale (PNI) e ha accordi di collaborazione con istituzioni Italiane (CSM, Scuola della Magistratura, Scuola dell’Avvocatura) ed internazionali. 2. L’Istituto ha poi continuato a supportare i lavori della Commissione, organizzando numerose riunioni del Comitato Preparatorio che hanno portato all’istituzione della Corte Penale Internazionale (ICC – CPI) nel 1998 da parte della Conferenza Diplomatica tenutasi a Roma e di cui il presidente dell’ISISC fu anche Presidente del Comitato di redazione. 3. Tra questi strumenti vanno menzionati la redazione della ‘Convenzione sulla cooperazione internazionale in materia penale’, un programma di studi uniforme per l’insegnamento delle Convenzioni Penali Europee nelle università europee, le ‘Linee-Guida per la tutela del patrimonio dei beni culturali in Europa’ (con la partecipazione del Parlamento Europeo). 4. Tra questi strumenti i “Principi sull’indipendenza del potere giudiziario e della professione legale”, “Principi sulla tutela dei diritti del malato di mente”, “Principi Guida sulla prevenzione del crimine e sulla giustizia penale nel contesto dello sviluppo “, “Trattato Modello sul trasferimento dei detenuti”, il “Trattato Modello sul trasferimento dei procedimenti penali”, il “Trattato Modello sull’estradizione”, il “Trattato Modello sull’esecuzione delle sentenze penali”. 5. Nell’ambito di tale programma nel settembre 2003 si tenne a Siracusa una Conferenze alla quale parteciparono le delegazioni di tutti i 22 Paesi membri della lega Araba, e 7 di queste erano rappresentate dai rispettivi Ministri dell’Interno o della Giustizia. 6. Come riconoscimento di tale impegno, l’ISISC è stato insignito del “2008 Management e Staff Training Award”, un premio assegnato dall’International Corrections and Prisons Association (ICPA), un’associazione internazionale composta da esperti di diritto penitenziario in rappresentanza di oltre 80 paesi, per le attività svolte in Afghanistan. 7. In diverse sue pubblicazioni, il Presidente dell’ISISC, Prof. Cherif Bassiouni, riporta le seguenti citazioni dalle tre grandi religioni monoteiste, che sottolineano tutte l’importanza di tale concetto: “Il mondo si basa su tre fondamenti: sulla verità, sulla giustizia, e sulla pace” Rabban Simeon Ben Gamaliel. “Se vedi uno sbaglio bisogna correggerlo; con le tue mani se puoi, o con le tue parole, o con il tuo sguardo, o nel tuo cuore” Hadith del Profeta Maometto. “Se vuoi la pace, lavora per la giustizia” Papa Paolo VI.

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L’ambizione dei soci fondatori che nel 1972 costituirono l’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali “ISISC”, era quella di creare a Siracusa, nel cuore del Mediterraneo, un centro di ricerca, studio e formazione internazionale che potesse costituire un ponte ideale tra nord sud est ovest, tra i Paesi Occidentali e quelli comunisti, tra l’Europa e il mondo Musulmano. Un luogo nel quale a dispetto della collocazione apparentemente periferica e del turbolento quadro politico internazionale si potesse discutere e confrontarsi su idee, principi e valori, contribuendo allo sviluppo e 

Nell’ambito della collaborazione con la Lega Araba è stata poi elaborata la Legge Quadro Araba sulla Cooperazione Internazionale in Materia Penale divenuto uno strumento fondamentale per l’adeguamento legislativo dei Paesi arabi5.

L’Istituto non si è però limitato allo sviluppo di standard normativi e di attività di ricerca volte al progresso del dibattito in sede scientifica, ma dall’inizio del 2000 ha inteso mettere a disposizione l’enorme bagaglio di conoscenze e di esperienza anche a favore dei Paesi in via di sviluppo e quelli usciti da conflitti attraverso l’implementazione di numerosi progetti di assistenza tecnica, in Afghanistan, Albania, Egitto, Iraq, Libano, Macedonia. In Afghanistan, ad esempio, l’ISISC è stato presente dal 2003 al 2010 con attività finanziate principalmente dal Governo italiano e dalle Nazioni Unite, ma anche da Gran Bretagna, Lituania, Norvegia e Stati Uniti, sulla riforma del sistema penale, sulla tutela dei diritti umani, sulla riforma penitenziaria6 e sulla lotta agli stupefacenti, coinvolgendo oltre 2.700 magistrati e ufficiali di polizia e svolgendo attività in ben 19 delle 32 province afgane. Anche in Iraq, dal 2002 ad oggi, l’Istituto ha svolto numerosi programmi di assistenza tecnica nel campo dei diritti umani, dello stato di diritto e della giustizia del dopoguerra elaborando anche un Piano Strategico per la riforma del sistema giudiziario che è stato approvato dal Primo ministro iracheno nel 2006.

La presenza e le iniziative dell’Istituto a Siracusa e in Sicilia contengono sicuramente un significato simbolico. Allo stesso modo in cui la splendida città di Siracusa, possiede una sua cultura antica che s’irradia dal centro del Mediterraneo,

SIRACUSA CROCEVIA MEDITERRANEO PER LA CULTURA DELLA GIUSTIZIA

 

 

SYRACUSE CARREFOUR MEDITERRANÉEN POUR LA CULTURE DE LA JUSTICE di Giovanni Pasqua – Numero 2 – Ottobre 2015

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et contribuer au développement et à la diffusion du droit pénal international. 

Autour de cette idée se rencontrèrent la volonté de l’Association Internationale de Droit Pénal (AIDP) – la plus ancienne et la plus prestigieuse association d’avocats dans le domaine du droit pénal établie au milieu du XIXème siècle – qui eut l’idée originale de cet Institut, et la vision des institutions locales siciliennes de l’époque.

Plus de 40 ans après sa fondation et plus de 550 initiatives après – séminaires, conférences, cours de formation, projets de recherche et d’assistance technique – auxquelles ont participé plus de 42.000 avocats originaires de plus de 160 pays, mais surtout à la lumière des manifestations de reconnaissance reçues1, on peut affirmer sans crainte d’être contredit que cet objectif a été atteint.

La nature et la vocation de l’Institut sont maintenant également représentées symboliquement par le nouveau siège de l’ISISC qui, depuis 2010, a été déplacé dans les rues étroites du vieux ghetto juif de la Iureca, dans l’ancienne église chrétienne et le couvent de San Francesco di Paola, et par son Président, le Professeur Cherif Bassiouni, Egyptien de naissance et de religion musulmane, considéré comme l’un des pères du droit pénal international.

 

SYRACUSE CARREFOUR MEDITERRaNÉEN POUR LA CULTURE DE LA JUSTICE

 

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Parmi les contributions les plus importantes de l’Institut pour promouvoir le développement du droit pénal international, il convient de mentionner le soutien apporté depuis les années soixante-dix à la mise en place de la Cour Pénale Internationale,

dont le projet de texte initial présenté devant le Comité préparatoire de l’Organisation des Nations Unies en 1996 avec la tâche de rédiger le Statut de la Cour est connu sous le nom de Projet de Syracuse2. L’Institut a également joué un rôle dans le développement de nombreuses Conventions des Nations Unies, y compris celle contre la torture (adoptée en 1984) dont le premier texte fut rédigé par un groupe d’experts réunis à Syracuse, et dans de nombreux instruments juridiques approuvés par le Conseil de l’Europe3 et les Nations Unies4, actuellement utilisés pour la mise en conformité des législations des pays membres de l’ONU. 

Fidèle à sa mission, l’Institut a accordé une attention particulière au bassin méditerranéen et au Moyen-Orient, contribuant au dialogue entre le monde islamique et les systèmes occidentaux, afin de jeter les bases pour une compréhension réciproque et pour promouvoir des initiatives de coopération mutuelle. À la fin des années quatre-vingts, et grâce à la contribution du Conseil de l’Europe, la «Convention Européenne des Droits de l’Homme et ses Protocoles» et la «Convention Européenne sur la Torture» ont été traduites en arabe. Au cours de la même période, de nombreux programmes pour la diffusion des Droits de l’Homme ont été menés et ils ont abouti à l’élaboration d’un projet de Charte Arabe des Droits de l’Homme..

et qui relie – à la fois géographiquement et culturellement – les civilisations occidentales et orientales, l’Institut a encouragé la propagation de la culture de la légalité et de la protection des Droits de l’Homme dans le monde entier, réunissant en son sein les différentes traditions juridiques et culturelles présentes à l’échelle internationale. 

Symboliquement, la ville de Syracuse a été proclamée “Ville pour la Paix et Droits de l’Homme”. Ces mots se reflètent à leur tour dans la mission même de l’ISISC, qui ne peut que réaffirmer sa conviction que la paix et la justice ne sont pas divisibles: il ne peut y avoir de paix sans justice, ni de justice sans paix6.

1. L’ISISC est une fondation reconnue par Décret du Président de la République Italienne de 1980 et une ONG reconnues par Décret du Ministère des Affaires Etrangères de 2006. Il jouit d’un statut de Catégorie 2 à l’ONU et c’est l’une des 18 organisations affiliées au Programme pour la Prévention du Crime et la Justice Pénale de l’Organisation des Nations Unies (PNI). L’Institut bénéficie également du statut d’organe consultatif auprès du Conseil de l’Europe. L’ISISC, enfin, a conclu des accords de collaboration avec des institutions si bien italiennes (Conseil Supérieur de la Magistrature, École de la Magistrature, Ecole des Avocats) que internationales. 2. L’Institut a également continué à soutenir le travail de la Commission, en organisant plusieurs réunions du Comité Préparatoire qui ont conduit à la création de la Cour Pénale Internationale (CPI – IPC) en 1998 par la Conférence Diplomatique tenue à Rome et dont le Président de l’ISISC fut également Président du Comité de Rédaction. 3. Parmi ces outils figurent la rédaction de la «Convention sur la Coopération Internationale en Matière Pénale», un programme d’études unifié pour l’enseignement des Conventions Pénales Européennes dans les universités européennes, les «Lignes Directrices pour la Protection du Patrimoine Culturel en Europe » (avec la participation du Parlement Européen). 4. Parmi ces outils les «Principes relatifs à l’indépendance de la magistrature et la profession juridique», «Principes pour la protection des droits des malades mentaux », « Principes directeurs sur la prévention du crime et la justice pénale dans le contexte du développement », « Traité Type sur le transfert des détenus », le « Traité Type sur le transfert des procédures pénales », le « Traité Type d’extradition », le « Traité Type sur l’exécution des décisions pénales ». 5. Dans le cadre de ce programme, une Conférence a eu lieu à Syracuse en Septembre 2003, réunissant des délégations de l’ensemble des 22 pays membres de la Ligue arabe, dont sept d’entre eux ont été représentés par leurs Ministres de l’Intérieur ou de la Justice. 6. Dans plusieurs publications, le Président de l’ISISC, le Professeur Cherif Bassiouni, mentionne les citations suivantes des trois grandes religions monothéistes, qui soulignent toutes l’importance de ce concept: «Le monde repose sur trois piliers: la vérité, la justice, et la paix » Rabin Siméon ben Gamaliel. « Si tu vois une erreur, tu dois la corriger; avec tes mains si tu peux, ou tes paroles, ou ton regard, ou dans ton cœur » Hadith du Prophète Mohamed “Si tu veux la paix, travaille pour la justice” Pape Paul VI.

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L’ambition des fondateurs, qui en 1972 formèrent l’Institut International des Hautes Etudes en Sciences Pénales “ISISC”, était de créer à Syracuse, en plein cœur de la Méditerranée, un centre international de recherche, d’étude et de l’éducation qui puisse être un pont entre le nord le sud l’est et l’ouest, entre les pays occidentaux et les pays communistes, entre l’Europe et le monde musulman. Un endroit où malgré sa situation apparemment périphérique et le cadre turbulent de politique internationale il serait possible de discuter et débattre sur des idées, des principes et des valeurs, 

 Dans le cadre de la collaboration avec la Ligue Arabe, la Loi Cadre Arabe sur la Coopération Internationale en Matière Pénale a ensuite été rédigée, devenant un outil fondamental pour la mise en conformité législative des pays arabes5.

L’Institut ne s’est cependant pas limité à l’élaboration de normes réglementaires et à des activités de recherche visant à faire avancer le débat dans la communauté scientifique. Au contraire, depuis le début des années 2000, il s’est efforcé de mettre l’immense richesse de ses connaissances et de ses expériences à disposition des pays en voie de développement et de ceux qui sortent d’un conflit, à travers la mise en œuvre de plusieurs projets d’assistance technique en Afghanistan, Albanie, Egypte, Irak, Liban et Macédoine. En Afghanistan, par exemple, l’ISISC a été actif entre 2003 et 2010 par des initiatives financées principalement par le gouvernement italien et l’Organisation des Nations Unies, mais aussi par la Grande-Bretagne, la Lituanie, la Norvège et les États-Unis, sur la réforme du système pénal, la protection des Droits de l’Homme, la réforme pénitentiaire et la lutte contre la drogue, faisant participer plus de 2700 juges et officiers de police exerçant des activités dans 19 des 32 provinces afghanes. En Irak également, depuis 2002, l’Institut a mené plusieurs programmes d’assistance technique dans le domaine des Droits de l’Homme, de l’Etat de Droit, et de la justice et a développé un Plan Stratégique pour la réforme du système judiciaire qui a été approuvé par le Premier Ministre irakien en 2006.

La présence et les initiatives de l’Institut à Syracuse et en Sicile ont certainement une signification symbolique. De même que la magnifique ville de Syracuse possède une culture ancienne qui rayonne à partir du centre de la Méditerranée,