Gesualdo Bufalino diceva che “bisogna essere intelligenti per venire a Ibla, una certa qualità d’animo, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia”.
Bisogna essere intelligenti anche per viverci, a Ragusa Ibla, perché la bellezza da queste parti è un’abitudine che porta all’assuefazione del bello, alla cecità.
Allora la mente deve essere acuta e sempre pronta alla meraviglia, perché è lo stupore a generare pensiero e movimento.
AL SUD, IN SICILIA, SI PUÒ FARE
Il Teatro Donnafugata, piccolo, poco più di novanta poltroncine rosse, il rosso teatro, non il rosso pompiere, i velluti rossi, gli arredi rossi, la luce calda e ampia dei lampadari, finalmente, non le illuminazioni del minimalismo contemporaneo che sono delle tirchierie della visione, sta dentro il Palazzo Donnafugata.
Il visitatore al corrente di cosa bisogna vedere per capire una città e la sua popolazione, sa che il duomo e il teatro gli daranno le prime fondamentali indicazioni.
Si racconta che nel XIX secolo la chiesetta di Palazzo Donnafugata fu trasformata in teatro.
Ancora oggi al palchetto regale s’accede direttamente da una porta interna: non le ricchezze, non i privilegi dinastici, le sete d’oriente, le perle del mare e i gioielli perduti dell’antica Palmira, ma una semplice porta che dalle stanze di casa apre al teatro ed è il segno di legno di un’aristocrazia dello spirito.
L’ingresso sta in via Pietro Novelli, il teatro è l’unico di Ragusa, possiede vari saloni e il vecchio magazzino per il legname è diventato il bar.
Durante la ristrutturazione, incominciata nel 1997 e finita nel 2004 con l’apertura della prima stagione di spettacoli, il palco è stato ripristinato e allungato in avanti in modo da ricreare le quinte e poter ricavare a livello del proscenio un piccolo golfo mistico per l’orchestra.
Sono stati restaurati gli ornamenti pittorici e le decorazioni originali riprendendoli dal soffitto e dando continuità fino alle pareti e ai palchetti.
Si è migliorata anche l’acustica, già ottima come era normale per un teatro del primo Ottocento, perché il rumore d’un laccio di scarpa allentato deve arrivare in fondo alla platea.
È stato Giovanni Scucces Arezzo, avvocato, mecenate, discendente dell’omonima famiglia e proprietario di Palazzo Donnafugata, a volere che il teatro tornasse ad essere un centro della polis.
Spinto dal sangue secolare della famiglia, evidentemente.
Gli avi Arezzo Donnafugata scrivevano personalmente le opere teatrali, le mettevano in scena e le interpretavano.
Ospitavano le compagnie ottocentesche che recitavano durante l’inverno per ripartire a fare gli scavalcamontagne in primavera e anche Vincenzo Bellini passò di qua e lasciò una sua partitura manoscritta con una dedica ai Donnafugata.
Adesso il teatro, sotto la direzione artistica di Costanza e Vicky Di Quattro ha una stagione di prosa che va dal cabaret al teatro sociale, dalla commedia comica alla Commedia dell’Arte, con artisti del “continente” ed isolani, e concerti, mostre, presentazioni.
E soprattutto ha una cosa da dire con la sua esistenza: che si può fare.
Al sud, in Sicilia, si può fare.
Luchino Visconti sarebbe stato contento.