MEDITERRANEO CULLA DELLA SCIENZA
«Superare le proprie limitazioni e divenire signori dell’universo».
Così Archimede di Siracusa sintetizzò quello che, sin dalla notte dei tempi, ha spinto l’Uomo a superare le barriere del reale per scoprire l’ignoto. Superando i confini del noto sapere, mettendo in discussione le proprie certezze, l’Uomo ha sempre cercato di travalicare i limiti spazio temporali per riuscire a colmare quella connaturata sete di conoscenza.
Ed è proprio ad Archimede, e alla città di Siracusa, che alcuni studiosi
attribuiscono quella che può essere definita come una delle più grandi
opere ingegneristiche mai conosciute.
La più bella e nobile tra le città greche – per far proprie le parole di Tito Livio – è stata foriera di un tesoro nascosto.
Cicerone, nel De Natura Deorum, afferma «Secondo loro sarebbe stato molto più abile Archimede nel riprodurre i moti celesti con la sua sfera di quanto non lo sia stata la natura nel crearli, nonostante la maggiore perfezione di questi ultimi in più̀ di un particolare rispetto alla loro imitazione».
Ma a cosa si riferiva l’illustre Oratore?
Con molta probabilità, alla macchina di Anticitera, il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C.
Il meccanismo si racconta sia stato ritrovato intorno al 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, furono costretti a rifugiarsi sull’isoletta rocciosa di Cerigotto.
Al largo dell’isola, alla profondità di circa 43 metri, fu scoperto il relitto di una nave, naufragata agli inizi del I sec. a.C. e adibita al trasporto di oggetti di prestigio, tra cui statue in bronzo e marmo.
Tra gli oggetti rinvenuti, ve ne era uno, piccolo, dal colore verdastro, dello spessore di un libro, che destò stupore e curiosità: vi erano delle incisioni, in parte abrase e corrose, in un primo momento indecifrabili.
Cos’era quello strano oggetto? Perché si trovava a bordo di un relitto?
È bastato contemplare il panorama in una notte di luna piena, per far sì che il brivido del passato riecheggiasse in una delle più antiche colonie elleniche per mostrare l’essenza di quella che può esser definita non solo culla della civiltà, ma anche della scienza.
Gli archeologi e gli studiosi non potevano credere ai loro occhi: si trovavano di fronte a una macchina del cosmo.
Quell’eccentrico congegno, quello strabiliante coacervo di dati e incisioni,
di meccanismi e ingranaggi, era la chiave di volta per capire l’astronomia
e la tecnologia dell’antica Grecia e il loro ruolo
nel contesto socioculturale grecoromano.
Era stata concepita in tarda età ellenistica sulla base di raffinate, consolidate e diffuse conoscenze meccaniche e astronomiche. Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati.
Fu proprio in quell’anno che il professor Derek de Solla Price[1], come un moderno Indiana Jones alla ricerca del tesoro nascosto, cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo, e riuscendo, dopo circa vent’anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.
Anni di studi, dubbi ancora in parte irrisolti e avvolti in un’alea di mistero – basti pensare che il testo delle iscrizioni decifrate non risulta essere stato ancora comunicato – consentirono di scoprire la funzionalità e il meccanismo della macchina di Anticitera.
Quella macchina del cosmo, tra le più avveniristiche nel genere delle macchine strabilianti, era stata creata per imitare la natura senza rivelare
il proprio funzionamento.
Il meccanismo, sconosciuto ai più, diveniva fruibile ai soli soggetti più curiosi, trasformandosi in una sorta di manuale animato di divulgazione scientifica. La macchina di Anticitera risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari).
Era, infatti, un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e le date dei giochi olimpici, oltre che le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale.
La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in rame e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato.
Il meccanismo riproduceva di fatto l’universo così come lo concepivano i Greci.
La scoperta riuscì a far emergere come nella Grecia del II secolo a.C., e nelle sue colonie, esistesse effettivamente una tradizione di altissima tecnologia. Ma come mai si riconduce la sua creazione ad Archimede, e in particolare alla città di Siracusa?
Quel manufatto fuori dal tempo, uscito dal limbo delle semplici curiosità, riesce a render tangibile il pensiero del grande scienziato, secondo cui «coloro che pretendono di scoprire tutto ma non producono prove dello stesso possono essere confutati come se avessero effettivamente preteso di scoprire l’impossibile».
È grazie ad Alexander Jones[2] che sono emersi degli ulteriori elementi che consentono di ricondurre, con sempre più probabile certezza, la costruzione della macchina a Siracusa.
I nomi incisi sullo strumento, in particolare dei mesi, ottenuti grazie all’opera
di decifrazione compiuta, sono proprio quelli utilizzati nelle colonie corinzie
e in particolare a Siracusa, in Sicilia.
Questa ipotesi, particolarmente affascinante, troverebbe conferma in alcuni scritti di Cicerone. L’autore latino descrive infatti alcuni strumenti realizzati dal matematico Archimede, siracusano, nel III secolo a.C, cioè due secoli prima rispetto alla costruzione del Meccanismo di Antikythera.
Egli infatti riferisce, nel De Re Publica e nelle Tusculanae Disputationes, di planetari in bronzo costruiti da Archimede che mostravano la Terra, la Luna, il Sole, il mese lunare e le eclissi di Sole e di Luna.
L’antico calcolatore – oggi conservato presso il Museo Archeologico di Atene – sarebbe quindi frutto di una tradizione costruttiva legata direttamente
agli studi del celebre matematico.
Ma perché è stato ritrovato sul relitto di una nave romana proveniente dal medio oriente e affondata attorno al 70 a.C.?
Anche questo apre un nuovo filone di mistero, che rende ancora più affascinante e avvolgente la storia del meccanismo di Antikythera.
C’è chi sostiene sia stato mandato in dono in Oriente da qualche ricco siracusano e da qui entrato a far parte di un bottino diretto a Roma; chi sostiene faccia parte dei meccanismi di Archimede portati a Roma, dopo il saccheggio di Siracusa e la morte dello stesso nel 212 a.C., dal generale romano Marco Claudio Marcello.
Una cosa è certa. Passato e presente continuano ad essere facce di una stessa realtà. Gli antichi greci si avvicinarono così tanto alla nostra epoca, nel pensiero nella tecnologia scientifica, così dimostrando il fatto che «l’Uomo sia il più straordinario dei computer» (John Fitzgerald Kennedy).
[1] Fisico e storico della scienza della Yale University, in uno studio pubblicato nel 1959 nella rivista Scientific American.
[2] Alexander Jones, La macchina del Cosmo, Hoepli, 2019.