SAN SERGIO I PAPA
Inoltre i primi tre sono nati ed eletti nello stesso scorcio di secolo, la seconda parte del VII, e l’ultimo circa cinquanta anni dopo. Due di loro, Agatone e Sergio sono palermitani, entrambi impegnati sul fronte della statuizione delle regole della Chiesa, con relative interferenze imperiali; Leone proveniva da Aidone, una città oggi in provincia di Enna; Stefano da Siracusa.
Sicuramente Sergio I tra i papi siciliani occupa un posto di enorme rilievo,
perché, con lui, cambiano molto i rapporti tra Impero d’oriente e Chiesa.
Sergio, palermitano, presbitero di famiglia originaria di Antiochia, diventa papa dopo la morte di Conone (21 settembre 687), anche lui formatosi a Palermo. L’epoca era decisamente particolare: Roma, e tutti i territori italiani non Longobardi, erano in mano all’imperatore d’oriente, in quel momento Giustiniano II. Il potere in Italia era esercitato dall’esarca di Ravenna, Giovanni Platina.
L’imperatore non aveva remore a indire frequenti assemblee ecclesiali, denominandole concili, presiedendole personalmente indipendentemente dalla presenza del papa, a volte neppure invitato, o per il tramite di delegati, e a formulare norme e precetti per la Chiesa. Fra queste, l’ultima prima dell’ascesa di Sergio, fu l’avvio del c.d. Concilio trullano, quinto dell’era cristiana, indetto all’epoca di Agatone, che prende il nome dalla costruzione ove ebbe luogo.
La giustificazione dell’intromissione imperiale stava nel ritenersi l’imperatore
un “isapostolo”, un parificato in tutto e per tutto agli apostoli.
Del primato di Pietro, si preferiva non parlare.
L’elezione di Sergio fu piuttosto turbolenta. Al soglio pontificio aspiravano Pasquale, amministratore delle finanze ecclesiastiche e, quindi, arcidiacono, e Teodoro, presbitero anziano di Roma (arciprete). Pasquale aveva stretto un patto con l’esarca Giovanni Platina: l’appoggio per la sua elezione a papa in cambio di cento libbre d’oro. Tra corruzione e simonia. Ma l’elezione di Pasquale fallì per l’opposizione dell’aristocrazia romana. Pasquale sarà confinato a vita in un monastero, in sospetto di magia.
Il 15 dicembre 687, Sergio fu consacrato papa. L’esarca Giovanni Platina chiese
ed ottenne da lui il pagamento delle cento libbre d’oro come prezzo dell’appoggio. Per trovare le risorse furono pignorate le offerte in oro a S.Pietro dei fedeli.
Ma, all’epoca, le cose andavano così.
Sergio, tuttavia, uomo raffinato e colto, dimostrò subito di non gradire la politica ecclesiale di Giustiniano II. Quando quest’ultimo decise di convocare un concilio (denominato Quinisextum, cioè riassuntivo del quinto e sesto), neppure invitando il papa, lì per lì, Sergio non osservò nulla, ma, poi, si rifiutò categoricamente di sottoscrivere le 102 costituzioni che l’assemblea aveva approvato. Tra queste c’era sia la supremazia del patriarcato di Bisanzio su tutti i vescovi, meno il papa, ma anche una sensibile attenuazione del celibato ecclesiastico.
La reazione di Gustiniano II non si fece attendere. L’imperatore fece arrestare i due delegati pontifici e mandò a Roma uno dei suoi militari più feroci, certo Zaccaria, con l’ordine di arrestare il papa e trascinarlo a Bisanzio per processarlo, così come, qualche anno prima, era avvenuto già con papa Martino (fatto maltrattare, destituire ed esiliare). I romani, e non solo, insorsero. La milizia imperiale di stanza a Ravenna accorse a sostegno del papa. Zaccaria capì che i tempi erano cambiati e che aveva osato troppo.
Il prestigio ed il carisma del papa stavano per mettere fine ad una politica
religiosa imperiale di evidente sopraffazione.
Così il feroce militare fu costretto a chiedere aiuto al papa, mentre popolo e soldati vari lo braccavano per tutta Roma. Alla fine Zaccaria si rifugiò nella camera da letto di Sergio e si nascose sotto il letto stesso. Solo grazie all’intercessione di Sergio, non fu ucciso, ma, in compenso, allontanato da Roma tra gli insulti del popolino.
Il papa aveva vinto.
Giustiniano II pagò anche a Bisanzio le conseguenze del fallimento della sfida: fu deposto da una congiura di palazzo, alla quale si associò anche il patriarca, Callinico I, subì l’amputazione del naso, donde fu denominato Rinotmeto e mandato in esilio. L’asportazione del naso avrebbe dovuto impedire qualsiasi ripristino di poteri imperiali, perché le amputazioni corporali ne erano ostative. Successivamente, fattosi un naso d’oro, Giustiniano tornerà al potere per alcuni anni, fino alla uccisione sua e del suo unico erede, ma eviterà nuove collisioni con Roma.
Il confronto, risoltosi così positivamente per Sergio, ne accrebbe enormemente
il prestigio, assieme a quello della Chiesa di Roma.
Facile spiegarsi, dunque, le numerose visite di importanti personaggi a Roma, desiderosi di abbracciare la fede cattolica, e lo spianarsi della strada per un rapporto estremamente significativo e sinergico con il popolo dominante dell’epoca, i Franchi, che porterà molto lontano. A questo enorme prestigio si devono molte cose: tra le altre,
Sergio fu il primo pontefice a battere moneta, il primo ad essere direttamente
sepolto in S. Pietro, alla sua morte, avvenuta l’8 settembre 701,
quello che introdusse la possibilità di avere più altari nelle chiese,
il primo ad essere citato come diretto referente
delle comunità cattoliche britanniche.
Di qui, infine, la sua immediata canonizzazione.
Agatone, Leone II, Sergio I e Stefano III.
La caratteristica che li accomuna tutti è di essere inquadrabili nell’ambito e nel contrasto delle strategie politiche-religiose dell’Impero bizantino.