“Qui non vi è altro che l’opera della natura selvaggia e incontaminata! Vorrei riuscire a tradurre in delicati pastelli, riflessi e trasparenze…. e in ogni sua mirabile mutevolezza, tutta, tutta la luce delle Mainarde….”
Ebbene sì, sono a caccia di fantasmi dall’alba, stimolato per caso da una vecchia rivista del 1960 con un articolo a firma Maurizio Costanzo, ove si riferiva della strana vicenda di un pittore francese, vincitore di prestigiosi premi e votato ad una gloria che mai perseguì: Charles Lucien Moulin, nato a Lille nel 1869 e deceduto in Molise nel 1960, che – dando un calcio a galleristi e mercanti d’arte – scelse di vivere quasi metà della sua non breve esistenza, ritirandosi in una sorta di eremitaggio artistico e creativo, nelle alte terre del Volturno. Eccomi a rintracciare questo riflesso di Francia tra i risvolti della montagna e i vicoli del borgo per inseguirne nonostante il tempo andato, il pensiero, la filosofia di vita semplice, del tutto personale eppur così umana, significativa: maggiormente oggigiorno, in tempi di crisi identitaria e relazionale: un messaggio di pace e d’equilibrio sereno con tutte le cose, la natura, gli uomini, gli animali:
“Ciò che mi guida, è l’amore, il bello; ma tutte le cose hanno una ragione d’essere; “L’arte dà il segno del divino che è in te. Tu lo intuisci,
lo cerchi – se vuoi. Nella natura, nella comunione di spirito con essa,
lo vivi… Questa sola è la mia verità: l’amore per il prossimo,
la natura e tutto, tutto ciò che è bello!…”
“Mio zio lavorava in Francia” mi fa Mimì Coia, un anziano impettito signore, “conosceva Moulin e quando seppe che sarebbe venuto a Villa Medici per un lungo periodo, grazie alla borsa di studio vinta per i suoi meriti artistici, gli disse di fare un salto a Castelnuovo a trovare il fratello che qui in piazza aveva una rivendita di vino e generi diversi. Mio padre se lo vide arrivare a piedi un pomeriggio con una gran barba lunga e folta, addosso un vestito dimesso ed ai piedi le ciocie. Pensando che fosse un vagabondo in cerca di elemosina, o al massimo uno zampognaro di passaggio lo invitò a bere un bicchiere di vino. Il pittore gli rispose con un sorriso e con un italiano misto ad accento francese: “Tu sei Giovanni Coia, vero? Io sono Charles Moulin!”. Al mio papà per poco non gli veniva un colpo: il fratello gli aveva anticipato in una lettera l’arrivo di un “gran professore”, ma non certo così conciato!….”
Era persona colta, saggia, paziente, disponibile. Tra l’altro, aveva studiato presso l’Orto botanico di Parigi l’uso delle erbe medicinali
e curò gratuitamente tanta gente, beccandosi una denuncia
da parte del medico locale: nessuno andava più da lui!
Roberto Fiocca mi parla della sua natura artistica: Moulin nasce con l’educazione naturalistica di Lille, si perfeziona con questa alta precisione fatta di creazione di vita e di bellezza ideale. Il soggiorno a Castelnuovo al Volturno, è un approdo: egli vede quello che ha sempre sognato: la “bellezza” di Bougherau, suo insegnante d’accademia, la trova nella realtà attraverso lo studio approfondito della natura…. Non seguì nessuna corrente pittorica in particolare: possedeva la rara capacità di afferrare l’anima delle cose; di tutte le cose…. Nei suoi dipinti, vibranti di luce, nella gamma variegata dei colori, si avverte l’alito divino della sua anima… I soggetti ed i delicati paesaggi – tra armonie di tinte e sfumature di colore, luci ed ombre – hanno lo stupore, la meraviglia dell’uomo appena creato; della natura che si scopre alla sua prima alba, venerata come una dea per mostrarla agli uomini in tutta la sua divina bellezza e sacralità…
“Il mio metodo è di trovare la composizione che meglio permette di chiarire il sentimento di ogni soggetto; l’ora si intende come luce: passata l’ora, è passato l’incanto… Non cerco mai la stranezza nell’originalità: faccio e agisco solo secondo coscienza. Ho potuto conservare la mia libertà e non mi è costato. Ho sempre sentito di non poter diventare ricco e di non veder chiaro nei miei problemi di pittura che in solitudine e molto tardi: adesso comincio a capire il perché delle cose.
Se il fine della vita è l’aspirazione alla felicità, l’Arte deve, in misura dei suoi mezzi, contribuire a questo fine, seminando serena commozione e splendore di bellezza… Il principio ed il dovere dell’artista è di essere l’archetto del violino delle anime e di farle vibrare: è d’essere un germe di felicità.
La felicità della pittura moderna invece, consiste proprio nel non riuscire a scoprire nessun perché: essa è piena d’inquietudine e incertezze, è una pittura da sbandati, che rispecchia il male del secolo, dell’uomo moderno che cerca di salire sulle proprie spalle per non essere schiacciato nel vuoto che ha nel cuore…”.
Incontrando la gente tornata stanca dalla campagna, chiedeva spesso se poteva fare un ritratto: qualcuno a volte restava perplesso, sapendo che Mssiù li avrebbe fatti posare a lungo e non per una sola volta… Al termine, donava il dipinto e si condivideva quel che una misera tavola poteva offrire: una minestra, un piatto di fagioli o di patate. Non chiedeva mai nulla; si accontentava di poco… “I Castelnuovesi sono buoni e generosi perché hanno il sole; quando il sole riscalda l’uomo non ha bisogno di lottare: la natura non dà mai cattivi consigli”.
M’informo sull’eremitaggio di Moulin: la baracca è lì, proprio in cima a Monte Marrone: l’ha costruita con le sue mani, pietra su pietra; lì è vissuto per qualche anno di erbe, radici, decotti e un pò di cibo offerto dai pastori, tra lupi e camosci e – come la gente del luogo narra – in compagnia di spiriti, streghe e folletti. “Qui non vi è altro che l’opera della natura selvaggia e incontaminata! E’ tutto grandezza e magnificenza!…” A chi gli chiedeva se avesse mai visto l’orso, rispondeva: “Ma certo! Ogni mattina quando mi guardavo in uno specchio rotto…”. Era un convinto assertore della filosofia di Jean-Jacques Rousseau da lui tradotta in vita pratica: la civiltà, origine dei mali e le infelicità dell’uomo; la natura, invece, depositaria delle qualità positive… Un’esistenza da condurre in totale simbiosi con la natura stessa; per sentirsi parte viva di essa con animo genuinamente primitivo, con lo stupore autentico di un bambino che conserva ancora il suo spontaneo incanto.
“Non si deve rompere l’equilibrio con la natura, ma lasciare il mondo così come è stato creato… Il progresso porterà al regresso, alla corruzione, all’autodistruzione dell’uomo. Ma il mondo non finirà: esso si trasformerà in caos, ma nel caos ci sarà sempre la vita
e tutto risorgerà… E poi, allo scadere del ciclo – ci saranno altri cicli,
di milioni, miliardi di anni – di nuovo e ancora il caos…”
Tina Castrataro mi accoglie nella sua casa piena di gatti: “Ero affascinata da quel vecchio, ne ero forse innamorata, in senso spirituale, come può esserlo una bambina; provavo ammirazione, tenerezza. Ricordo che parlava in modo gentile, a frasi brevi, secche, con voce bassissima ed una particolare inflessione francese. Era un uomo fantastico, mite, grande! Credeva in qualche cosa di assoluto e indirettamente credeva in Dio, poiché confidava nell’arte, nel sublimare tutto in essa, affetti, religione. “Non è per virtù mia che mi vengono le idee… è una forza, un’energia superiore che me lo manda: il mio Dio? La bellezza, la natura, l’arte, l’intelligenza… Un Creatore che chiamano Dio, Allah, Geova e altri nomi ancora… Vivere secondo i principi morali della religione, di qualsiasi religione, è per me vivere secondo natura, nel rispetto di tutte le creature, nell’accontentarmi di quanto mi è stato dato, nell’accettare la vita com’è…”
21 Aprile 1960: una suora lo assisteva già da tempo per le cure necessarie. Ormai novantunenne, allettato e nonostante gli acciacchi, volle ritrarla… D’un tratto, la mano scivolò sul foglio, inerte……. Se ne andò via così Moulin, proprio quando la luce con le sue sfumature, si risveglia dal lungo sonno invernale: sì, se ne andò così… il primo giorno di primavera…
È l’alba…. attratto da una forza irresistibile, ai piedi del monte, gli scarponi inzuppati di rugiada, fiatone in gola, passo dopo passo, m’inerpico lungo una ripido sentiero, ingoiato da un immenso bosco di faggi secolari. Un paio d’ore tutte d’un fiato per arrivare in cima… e finalmente il rifugio in pietra, tra quattro rocce e basse chiome di faggio contorte dal vento! Eccomi qui, eremita anch’io nell’antico ricovero in pietra, nello scenario dei momenti più significativi, nello spazio delle emozioni e del pensiero più segretamente intimi dell’artista…. Come posso descrivere ciò che sento? Moulin provò la prima volta le stesse emozioni che ora avverto io?… Sì, Moulin è qui; è sempre stato qui!… Tutto è permeato della sua Energia: colma i risvolti della montagna, le variegate sfumature della luce, il canto del vento, il ciangottio del torrente, avvolge la mia stessa anima…. Sì, tutto questo è Moulin!…
Abbraccio tutto con lo sguardo… Su questo baratro infinito, credo di comprendere la scelta del pittore, tra impegno e abbandono, coinvolgimento e distacco, ma non fuga dal mondo, no!… La comprendo e compenetro, in uno stato di profonda empatia – quasi tra sovrapposizione, fusione e sdoppiamento: lui e me – in questa ricerca di un deliberato, intenso contatto con l’artista, con il suo pensiero, con il modo d’essere e di vivere… Nel desiderio unico di riappropriarsi, di riaccordarsi con se stessi… Nell’appagamento semplice di un richiamo, di una voce interiore; nel bisogno ritrovato di salvaguardare la meraviglia, lo stupore, l’incanto del bambino; per proteggere il patrimonio dei valori profondi che l’uomo – che ognuno di noi – ha dentro di sé; nello scrigno segreto del proprio cuore… Senza inquinamenti né contaminazione, senza disperderli nel cicaleccio del mondo; scimmiottando il mondo… Un’appartenenza a sé, che lui avrebbe perso forse tra galleristi famelici, mercanti d’arte, le luci ammalianti del successo: sì, è l’amore la sua scelta: il motivo fondamentale, la vera opera d’arte della sua vita; un amore ideale, puro, universale; un’esistenza attuata secondo coscienza… tradotta in dipinti, parole, saggezza e spiritualità: nella sublimazione totale nell’arte: proprio tutto, anche il sentimento per una donna…
“La donna è una creatura sublime, soggetto d’arte: io avrei dovuto scegliere o l’una
o l’altra e ho scelto l’altra; nessuna avrebbe mai potuto capire fino in fondo la mia vita
e sarebbe stato ingiusto da parte mia imporgliela. Lega tra loro due uccelli: avranno insieme quattro ali, ma non potranno mai volare…”.
Si racconta che in gioventù partì per l’Italia con una delusione nel cuore: Emilìe, conosciuta poco tempo prima di andare in sposa ad un altro uomo. Fu un amore reciproco, mai dichiarato, ormai non più possibile… Quel filo impalpabile tra i due non si spezzò mai; una notte, dopo svariati anni, lui la sognò: qualche tempo dopo venne a sapere che Emilìe era morta proprio nello stesso istante… Un attimo prima dell’ultimo viaggio, le anime che non hanno età, si erano incontrate per l’ultima volta: la candida anima dell’una si era accostata a quella dell’altro, per un tenero, estremo commiato…
M’incammino per scendere giù in paese… Non so che ora sia e cosa del futuro mi aspetti; ma non me ne importa proprio niente!…
Giù, dalla valle, echi di zampogna….
Pierluigi Giorgio è autore, attore, regista. Ha girato: “Moulin, il poeta del pastello”, film – documentario che si può richiedere contattandolo su Fb.