MINO DELLE SITE COSMICO E PROFETICO di Lorenzo Canova – Numero 3 – Gennaio 2016

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un codice visionario di immagini lanciate nel futuro, uno spazio celeste in bilico tra immaginazione e realtà: dopo un secolo, Mino Delle Site continua a trasportare i suoi spettatori in un vortice di pittura sospeso tra cielo e terra, in un universo parallelo che ci rivela costellazioni ignote e ci fa scoprire volti nuovi del mondo che credevamo di conoscere.

Nel suo turbine futurista, Delle Site viaggia nel tempo unendo epoche e stili, fondendo in modo profetico la pittura al mondo digitale, aprendosi allo spazio della vita attraverso l’architettura e i mass media, lavorando nel cinema e preconizzando gli intrecci visivi della nostra epoca.

Delle Site, infatti, come tutti i grandi futuristi, da Marinetti a Boccioni o a Balla, ma anche come il suo amico Prampolini, paradossalmente può essere più apprezzato oggi che nella sua epoca, ammirando il suo metodo costruttivo fatto di rotture di tradizioni e di aperture di nuove prospettive, di fasci luminosi e di interazioni tra piani spaziali e visivi, anticipando sviluppi interattivi e i dati di una percezione del domani.

La pittura di Delle Site trova dunque una giusta collocazione in un contesto che oltrepassa addirittura la dimensione ristretta delle arti visive e si colloca in quel contesto allargato attuale che Marinetti aveva previsto, ad esempio, nella sua difesa della pubblicità come nuova forma d’arte lanciata sulle strade come nuovi musei urbani e nella sua volontà di utilizzo consapevole dei mass media. 
Così le immagini di Delle Site, come quelli di altri grandi aeropittori come Dottori o Tullio Crali, precorse da quelle di Boccioni e di Severini, presagiscono le nostre visioni della terra vista dai satelliti, le mappe di Google Earth e la nostra realtà aumentata dove tutto si fonde in un intreccio simultaneo.

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MINO DELLE SITE COSMICO E PROFETICO

 

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Le diagonali di Delle Site tagliano allora il quadro e lo ricompongono, le linee fissano orbite astrali e configurano viaggi interplanetari, le geometrie convergono verso punti di fuga allucinati e iperbolici: l’autore rende tattile l’accelerazione della pittura che si trasforma in un vettore di luce per fendere i territori sorvolati dall’artista-pilota con i suoi tagli cromatici che bruciano le coste, i mari, le nuvole e i cieli come razzi sparati dall’occhio sovrumano del pittore demiurgo. 
Così, quando saremo immersi nel delirio visivo delle metropoli contemporanee, come, ad esempio, tra gli schermi interattivi e sbalorditivi di Times Square o se ammireremo gli effetti speciali di Star Wars o di Interstellar, ci potremo ricordare di artisti come Mino Delle Site che hanno contribuito a creare questo immenso mosaico visivo contemporaneo incrociando la loro ricerca e dirigendola verso i confini infiniti di uno spazio oltreumano, dove la conoscenza trova nuove frontiere, dove il viaggio incontra nuovi porti e dove, forse, le dita stesse di Dio giocano con il firmamento ricomponendo in eterno l’ordine cosmico del giorno e della notte.

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Delle Site si apre quindi all’avvenire con una pittura raffinatissima che divora la tradizione per farla rinascere con nuove forme, diventa elettronico usando ancora i pennelli e le velature dell’olio e dei pigmenti, supera lo spazio e il tempo lanciando la sua pittura su rotte interstellari al di là della nostra galassia.

 

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L’ECO DEL MOLISE LE CAMPANE DELLA PONTIFICIA FONDERIA MARINELLI di Sergio Spatola – Numero 3 – Gennaio 2016

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L’ECO DEL MOLISE
LE CAMPANE DELLA PONTIFICIA FONDERIA MARINELLI

 

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Non è strano che Antonio Pascale abbia scritto “che il Molise si deve essere vendicato di quell’abbandono. Con le campane. Quell’eco è appunto del Molise che risuona in tutto il mondo”.

Peso, spessore e circonferenza sono le variabili che creano il timbro della campana, rapporti definiti per la prima volta da Diderot nell’Encyclopédie e che ancora oggi sono capisaldi della “scala campanaria”.

Tanto importanti sono le campane della Pontificia Fonderia che risuonano dalla Torre di Pisa, dal Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, dall’Abbazia di Montecassino, dalla Cattedrale di Buenos Aires.
Ne sono state commissionate e benedette da numerosi pontefici, quali Pio IX, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II Benedetto XVI e Francesco. Ne è stata commissionata, da ultimo, una di ben 850 kg di bronzo puro per Expo 2015.
Per una campana a regola d’arte occorrono molti mesi di lavorazione e diversi passaggi, tutti fondamentali.
Si passa dalla creazione dell’“anima” in mattoni alla copertura di questa con strati di argilla, con l’ausilio di una guida in legno. Sull’argilla – adatta a resistere all’azione erosiva del bronzo liquido durante la colata – vengono riportate le decorazioni e iscrizioni in cera – tra i quali lo stemma pontificio di cui i Marinelli si possono fregiare dal 1924 – così da arrivare alla creazione della falsa campana.
Falsa, perché si tratta di uno stampo da cui verrà ottenuto il negativo (il mantello), sovrapponendo altri strati di argilla lasciati essiccare tra un’applicazione e l’altra. 
Durante la fase di essiccazione, eseguita con carboni ardenti, la cera di cui sono costituiti i fregi si scioglie venendo assorbita dall’argilla (procedimento a cera persa) così da consentire di sollevare il mantello – nel quale restano impresse in negativo le decorazioni ed iscrizioni – e di liberare l’“anima” della campana.
A questo punto il mantello viene ricollocato sull’anima così da creare lo spazio vuoto in cui verrà colato il bronzo liquido (78 pari di rame e 22 di stagno).

Ed ecco arrivare la parte più suggestiva e religiosa della creazione: il mantello sotterrato in una fossa in corrispondenza dei forni, viene riempito dal bronzo liquido il quale, una volta raffreddato, viene liberato dando vita alla campana.

Questo ed altro si può osservare facendo visita alla Pontificia Fonderia Marinelli, dove, fatta una visita al suggestivo museo in cui sono conservati reperti antichissimi – come l’edizione olandese del 1664 del “De tintinnabulis”, vera e propria “Bibbia” dell’arte campanaria – e testimonianze fotografiche e campane commemorative, si può assistere, nella sala della Fonderia, ad un “concerto” di campane, previsto anche per commemorare il disastro avvenuto nel Terremoto del Molise del 2002.

Da trenta generazioni, dunque, i Marinelli si trovano ancora dove gli avi hanno impiantato il nucleo produttivo della fucina che oggi è divenuto un museo sotto la spinta della nomina, da parte dell’UNESCO, di “patrimonio dell’umanità”.

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E’ facile dimenticare un Sud così produttivo nell’odierno caos mediatico privo di approfondimenti. Myrrha vuole invece preservare e custodire questa memoria perché, come i rintocchi delle campane create dalla famiglia Marinelli, possa ricordare con eco costante, l’immenso giacimento culturale e artistico del Mezzogiorno.

Neanche la dominazione tedesca ha fermato questa famiglia, costretta ad abbandonare la Fonderia – divenuta Pontificia nel 1924 ad opera di Papa Pio IX -, nel frattempo trasformata all’uopo in fucina di creazione di armi da guerra.
La passione di una generazione di campanari si può “toccare con mano” andando a trovare la famiglia Marinelli nella fucina, ove la tecnica di creazione della voce angelica è rimasta immutata.
I Marinelli vi diranno che per la riuscita di una buona campana, è fondamentale attenersi a regole e misure ben precise, da secoli e secoli. Un suono che può essere deciso in fase di progetto e adattato alle esigenze del cliente.

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LA SANITÀ MODERNA “UNDER THE SICILY SUN” di Maurizio Campagna – Numero 3 – Gennaio 2016

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Quando si è moderni? Si è moderni quando non si teme il cambiamento. Quando, ad esempio, si fa apparire qualcosa come inesorabilmente superato. E quando si è moderni in sanità? Quando si supera un concetto vecchio di assistenza e si accoglie un significato nuovo di benessere; quando, cioè, la salute all’interno delle strutture diventa uno stato soggettivo e smette di essere solo una dimensione oggettiva coincidente con l’assenza di patologie.

LA SANITÀ MODERNA “UNDER THE SICILY SUN”

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Finalmente insieme, gestione clinica e organizzativa, senza essere l’un con l’altro armate. In questo connubio vi è finalmente il riconoscimento che le aziende sanitarie sono strutture complesse dove i professionisti della salute devono coabitare con i titolari delle funzioni gestionali.

non solo quando si ha la disponibilità dell’ultima versione della tecnologia sanitaria, ma quando la struttura è permeata da una cultura aziendale industriale, orientata ai risultati;

C’è progresso

Così l’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) di Palermo sembra seguire l’imperativo del poeta “Bisogna essere assolutamente moderni”
“Geneticamente” l’ISMETT è un contenitore di innovazione. Frutto della partnership internazionale tra la Regione Siciliana per il tramite dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione (ARNAS) Civico di Palermo e l’UPMC (University of Pittsburgh Medical Center), l’Istituto è un esempio del modello organizzativo delle sperimentazioni gestionali previste dalla legge di riordino del servizio sanitario. La cosiddetta controriforma della sanità del 1992 ha disciplinato la possibilità di attuare sperimentazioni gestionali attraverso convenzioni con organismi pubblici e privati per lo svolgimento in forma integrata sia di opere che di servizi in un’ottica di miglioramento della qualità dell’assistenza. A tal fine le Regioni possono costituire società miste a capitale pubblico e privato. L’ISMETT ha la forma di una società a responsabilità limitata il cui capitale è suddiviso tra Azienda Ospedaliera Civico di Palermo (55%) e UPMC (45%) e, in questo quadro normativo, rappresenta il risultato virtuoso di una collaborazione tra pubblico e privato in sanità, culturalmente ancora condannati da un pregiudizio storico a occupare fronti contrapposti.
Dal punto di vista della natura di ente sanitario, l’ISMETT è un IRCCS (Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico) di diritto privato. Il carattere scientifico, riconosciuto alla struttura sulla base degli specifici requisiti stabiliti dal d.lgs. del 2003 che ha provveduto al riordino degli IRCCS, consente alla stessa di accedere a un finanziamento statale appositamente finalizzato alla ricerca ulteriore rispetto a quello già erogato dalla Regione di appartenenza. In particolare, con decreto del Ministero della salute del 12 settembre 2014, all’Istituto è stato riconosciuto il carattere scientifico nella disciplina “Cura e ricerca delle insufficienze sanitarie d’organo”. 
L’ISMETT è il primo ospedale italiano specializzato nei trapianti multiorgano.
Il Protocollo di intesa adottato dalla Conferenza Stato Regioni il 20 Marzo 1997, che ha dato vita all’Istituto, è un vero e proprio manifesto per le politiche sanitarie al sud d’Italia. Tra gli obiettivi dichiarati vi sono “lo sviluppo di un nuovo modello di gestione medica ed organizzativa nel settore sanitario, capace, tra le altre cose, di portare in Sicilia, grazie alla collaborazione tra UPMC e la Regione Sicilia, i benefici della ricerca e della formazione, propri della partner statunitense” e “la realizzazione di un modello che dimostri come il settore pubblico e quello privato possano positivamente unire le forze, al fine di contribuire allo sviluppo economico del sud del Paese”.

se le differenze di genere sono valorizzate nell’ottica di un’accoglienza efficace. Se pubblico e privato finalmente cooperano. Quando le esperienze nazionali e internazionali si contaminano.

la sanità è un settore produttivo e che il suo funzionamento deve rispondere a logiche industriali di produzione se si vuol raggiungere l’obiettivo di un più ampio accesso alle cure.

Ma se nel modello azienda pubblica non è ancora superata la guerra fredda tra medici e management, il modello gestionale dell’ISMETT sembra abbattere il muro tra le due anime aziendali. 
Finalmente insieme pubblico e privato impegnati in un obiettivo comune. Costruire l’eccellenza in sanità in un settore complesso come quello dei trapianti. 
Il modello di innovazione dell’ISMETT ben potrebbe essere replicato fino a diventare il modo ordinario di gestione del settore sanitario. In un periodo di tagli e di preoccupazione per la sopravvivenza della sanità pubblica, iconografia del welfare all’italiana, una nuova modulazione dell’impegno pubblico e di quello privato dovrebbe finalmente rappresentare la nuova frontiera condivisa. Colpisce la dichiarata finalizzazione della partnership allo sviluppo economico del sud del Paese. Si conferma cioè che

L’ISMETT è un contenitore di innovazione. È moderno perché dimostra che pubblico e privato in sanità possono cooperare per raggiungere comuni obiettivi generali, superando quell’immagine di due poli contrapposti e divergenti.

Buona organizzazione, qualità dei servizi e buona pratica clinica sono all’ISMETT un unico blocco di eccellenza. L’Istituto, non a caso, è il primo ospedale del sud ad aver ricevuto l’accreditamento da parte della Joint Commission International (JCI), uno dei più avanzati sistemi di accreditamento per l’assistenza sanitaria. Essere accreditati JCI vuol dire aver intrapreso un percorso continuo verso il miglioramento della qualità e delle performance, ma soprattutto è una chiara indicazione sul cambiamento culturale in atto presso l’Istituto. Gli sforzi per raggiungere il traguardo ambito dell’accreditamento non sono percepiti come un costo economico e organizzativo, ma come investimento a lungo termine per la competitività e la sostenibilità della struttura. Chi sceglie il percorso JCI sceglie di sottoporsi a una serie di valutazioni severe da parte di esperti esterni sui più svariati profili attinenti alla qualità delle cure. 
Ma

Tutte le ragioni di una sanità moderna, compresa la salvaguardia della salute di genere, sono promosse presso ISMETT che rappresenta un polo di eccellenza per la Sicilia e per il sud, ma anche per l’intera utenza che si affaccia sul Mediterraneo.

I bollini rosa, assegnati dall’Osservatorio Nazionale per la salute delle Donne, segnalano le strutture che si prendono cura delle donne a partire dalla consapevolezza che la differenza è una ricchezza. Da valorizzare anche in un’ottica di corretto impiego delle risorse e di un più ampio accesso ai servizi erogati.
E dopo un lungo elenco di risultati eccellenti non sanitari, l’ISMETT continua a primeggiare anche nel core business di un ospedale: è di questi giorni la notizia che l’istituto si colloca ben al di sotto della media nazionale con riferimento all’indicatore della mortalità a 30 giorni dello 0% dopo un intervento di chirurgia per tumore al polmone, fegato e colon, a fronte di medie nazionali che si attestano rispettivamente al 1,3%; al 2,65% e al 4,07%. Con riferimento all’attività per la sostituzione di valvole cardiache, invece, la mortalità a 30 giorni presso ISMETT è dello 0,93%, contro una media nazionale del 2,84%. Il risultato è certificato dal PNE, Programma Nazionale Esiti, condotto da AgeNaS, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari.

È moderno perché dimostra che la qualità delle cure non attiene soltanto al profilo sanitario, ma anche a tanti altri fattori che nel loro inestricabile insieme contribuiscono alla produzione del valore salute. L’ISMETT sostituisce l’autoreferenzialità al confronto, accorcia le distanze e avvicina il mondo, facendo di Palermo e della Sicilia due luoghi del progresso.

ISMETT è inserito anche nel network degli ospedali “vicini alle donne” vale a dire quelle strutture che riservano particolare attenzione alle specifiche esigenze dell’utenza femminile.

La vocazione internazionale in un settore specialistico come quello dei trapianti è senza dubbio un’eccellenza nell’eccellenza. Il confronto su una dimensione extranazionale significa poter affacciarsi regolarmente su una finestra aperta sul mondo, sul progresso e sul confronto. Vuol dire poter contare su una comunità scientifica senza confini. È come se vi fosse un ponte per il transito delle idee dalla Sicilia agli Stati Uniti. Iniziative come questa contribuiscono a far cessare l’isolamento del Sud. Cosa vuol dire Sud? Spesso non è soltanto un’indicazione della bussola, ma al di là della geografia, con “sud” si indicano luoghi malati di marginalità, lontani dal flusso delle novità e del progresso.

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PIZZI E MERLETTI. “DIETRO UNA FINESTRA DI RINGHIERA” di Venera Coco – Numero 3 – Gennaio 2016

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racconta il professore Rocco Zito. Erano gli arnesi più comuni nelle mani delle giovani siciliane che preparavano con ansia i loro corredi, sperando di poter un giorno esibire quei manufatti con l’audacia delle padrone di casa. Per molto tempo le città di un’isola, complessa e misteriosa, sono state ornate dalla bellezza e raffinatezza di quei merletti e quei pizzi che riuscivano a rendere prezioso ogni angolo delle dimore, ogni vessillo sugli altari delle chiese, perfino ciò che poteva essere indossato e di certo rimanere segreto.

Di sfilati siciliani, macramè, uncinetto e tombolo, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, ne hanno fatto un must-have: non a caso, il pizzo nero che ha reso celebre il loro fasciante tubino, ritorna immediatamente al pensiero quando si pronuncia la parola dentelle.

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PIZZI E MERLETTI. “DIETRO UNA FINESTRA DI RINGHIERA”

 

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Quegli arabeschi che ricordavano l’estro creativo di artigiani capaci di lavorare la ceramica, il legno e la creta. 
In fondo si trattava di rendere quel filo, simile ad una scultura, applicando di certo una paziente maestria, che quelle donne sapevano realizzare attraverso il ripetere di gesti uguali, come se cantassero una nenia di cui conoscevano a memoria le parole.
Quei rufoli realizzati, punto dopo punto, in un’armoniosa alternanza di pieni e vuoti, rendevano preziose le tovaglie e le vesti.

Le mani nervose, dentro i cortili, hanno intrecciato per secoli quel filo semplice e innocuo che attraverso giri e acrobazie tesseva miracolosamente arabeschi da applicare alle stoffe e renderle così leggiadre.

Trine e pizzi spesso simili a pietra lavica che raffreddandosi hanno trattenuto a sé l’aria azzurra e il profumo delle ginestre.

Gli abiti di Marras trasudano eccentricità e ruotano intorno a stratificazioni e incrostazioni di tessuti e ricami che, raccontando la storia travagliata della propria terra, in un succedersi di contaminazioni e culture, la rendono simile a roccia sedimentaria.

Ancora in Sicilia si lavorano i merletti e il compito è affidato alle donne più anziane, che si trovano chine sui piccoli e tondi telai. 
Nei pomeriggi d’estate, i cortili delle case antiche diventano le loro dimore preferite al riparo dalla calura estiva. Da “dietro una finestra di ringhiera”, come canta Battiato in “Mal d’Africa”, fino alle grandi multinazionali del lusso, il passaggio è breve: gli stilemi del passato si attualizzano per cedere il posto a versioni più contemporanee.

Fluido, magmatico e indimenticabile, come il fuoco che fuoriesce dall’Etna, lo scorrere delle modelle (alla fine della sfilata fall/winter 2013-2014) che trattengono sui loro corpi l’arroganza di lava incandescente sulla quale jais e strass brillano come lapilli. I lavori di esperte ricamatrici incantano anche la stilista milanese Luisa Beccaria, che ereditata dal marito, nobile Bonaccorsi di Reburdone, quell’attitude prettamente siciliana, realizza abiti neo-romantici in stile preraffaellita, in sangallo e macramè, ma anche gonne a ruota con tramezzi in pizzo.

Rigonfi di crinoline, gli evening gown in taffettà sono vere opere d’arte rinascimentali, leggeri e trasparenti sanno come mettere in risalto lavorazioni laboriose e merletti in filigrana.

Ad Alghero, ancora, nella Sardegna di Antonio Marras i merletti sono un caposaldo della cultura isolana. Nella cifra stilistica del designer c’è stato e probabilmente ci sarà sempre posto per tombolo, filet di Bosa, ricami e altre manualità che fanno parte del baluardo tipico dell’artigianato sardo.

Se per molto tempo si è tentato di dare leggerezza agli abiti, di renderli così impalpabili come cristalli di zucchero attraverso pizzi e merletti, non si può dimenticare che quell’effetto è il risultato di un lavoro sapiente e minuzioso, che nasconde al suo interno idee e geometrie di chi riesce a creare con molto poco nuvole di siffatta bellezza.

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THE ROYAL WAY di Tamara triffez – Numero 4 – Aprile 2016

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THE ROYAL WAY

 

Dear friends,   

 

Please share a moment of attention through my few words entrusted to the courtesy of Tamara. This event is called “A view of Italy from above”, but, in the case of Tamara, I should say “view from inside” because, like all great travelers, Tamara is an artist who moves to see people from very near; indeed, to probe the possibility of identification. Her exhibition has as theme the Royal Way which means the right way, the one that is, in fact, drawn from Art.   Here the protagonist is Sicily seen through processions, those moments when the feeling of a past that looms over the present becomes particularly strong, in each of us. But, this past can be easily seen, at least by a layman’s point of view, from two opposite and associated points: the solemnity and the ridicule. Citizens who all become actors of the sacred representation are living and true but, at the same time, take on such important and worrying roles that leave those who observe them from outside mostly stunned. Do they truly believe? Are they really able to identify those people with Christ, with his torturers, with the people attending, accompanying suffering and exulting? Of course the answer is yes, and it’s not even that difficult. The collective suggestion is a verifiable and moving reality. And what does our Tamara see in her crisp, clean black and white with which she scrutinizes people from a short distance? She sees the Character and the Man so overlapping and indistinguishable from each other that they push us to seriously believe in an ancestral world that, in its total unawareness, walks along the Royal Way.   Tamara Triffez dedicated and dedicates her life to this type of investigation. Perhaps, her most acute interest is Tibet, that tragic historical paradox that is the destruction, or rather the attempted annihilation of a Royal Way that, in the name of a misguided ideology, believes in the possibility of triumphing through elimination. Tamara, as an artist, opposes and always will oppose to any form of cancellation of the legacies which, although different in different parts of the world, are intrinsic to the very existence of the human being.   From this point of view her Sicily and her Tibet are no different; and they are not because it is the artist’s approach that is the same. Tamara gives a sense of participation to those who look at her work. The sequence of images is taken from within the procession and it is not a curious look caused by the peculiarity or strangeness; but, in fact, it is the vision of a participant who, evangelically, does not judge but only looks. And by looking, sees the greatness and weaknesses of the world winding together, because together they have always existed and will always exist. Sure, the characters of the procession, in some extraordinary places as Piana degli Albanesi, are inevitable quotations of the great figurative arts of the past. The Weeping women seem extracted from the wooden statues of the Middle Ages and the Renaissance, the Christ that passes or the lying one seem to be created by the figurative Mannerist culture. But maybe no one needs to know this, not even the artist who wanders among the people with her camera. When she approaches, though, the crowds thin out as if the photographic act were a sacred act itself, because it sanctifies the recklessness of those who do not know why they are there and why they should carry on preconceived attitudes.   In the procession everything has been already written, everything has already happened, but Tamara captures the expressions of doubt, perplexity, distraction, delusion, that show on the faces so powerfully filled with past that they result fascinating as they are. The photos were taken on the occasion of the Easter holidays, in recent times. But the date does not matter, because all this can always be lived, because it is very likely that it has never happened in the exact way we see it in Tamara’s photos. It is not a matter of stopping the time, which is impossible, but of portraying the emotions with a clear awareness that the fiction of art pushes towards the Royal Way.   Tamara belongs to that group of people who see life only as positive energy, but her images do not emanate a feeling of unconscious optimism. The fact is that the artist is keenly aware of what they are representing and its implications but does not treat the people represented as elements of a hedonistic exercise. Despite the clear beauty of these images, there is never the feeling of an ecstatic stop, that seizes that moment as particularly beautiful or charming.   The advance of the photographer in the procession proceeds, however, with the intent to make room within a world that could reject us because we do not know and perhaps fear it. We are afraid of hurting its ancient susceptibility, of not respecting rules that are unknown to us but obvious and granted for the locals; afraid of unintentionally disrespecting it, but only due to a lack of information. All these fears are latent in Tamara’s eyes but then exorcised by the strength of the relationship between the photographer and those who are in front of the camera. Precisely for this reason we get a sense of fullness and dominance of reason and spontaneity that, if well lived, could be good for us.   

 

 With my warmest wishes,   

 

 Claudio Strinati

In my reports, I venture often in search of ancient cultural roots expressed by humans, in various places on the planet. In recent years I have followed a path that highlights the procedures of human evolution.
That manifest themselves through art, myths, religions, to affirm their dignity.
My starting point is the event description, the reflection on everyday life, which expresses itself also in religious festivals.
Starting from these premises, therefore I have decided to follow the Easter celebrations in Sicily, with the many events that ensue.
With enthusiasm and vitality I flew over the staging of the festivities and the protagonists of living paintings.

Sicily is still a land rich in tradition and true ancestral rituals, which still give a testimony on the legendary and multi-cultural origins in the heart of the Mediterranean.
The camera lens has followed the Palm Sunday, in Piana degli Albanesi, a village founded by Albanian communities centuries ago, that has preserved its Orthodox tradition, highlighted by an unexpected amount of uses and customs, the Pope, the crosses… the Pope climbs on a donkey, to retrace the entry of Jesus Christ into Jerusalem.
Among the many celebrations, I perceived in the representation of Christ’s life of Marsala, the feeling of a journey back in time; glimpses of life in Jerusalem two thousand years ago. The evocative power of the representations is revealed thanks to the intense participation of actors and spectators, all inhabitants of towns and villages.

These are ceremonies where everyone re-lives, through representations, their own way of life and spiritual momentum. As in the exempla of the Middle Ages it comes to a religious and strongly cathartic human experience.
I also followed the preparatory representation of the mysteries of Trapani, where young children of various congregations learn to bring the “vare” miniatures. The art of the rhythmic step, the support, and the pace of the “trice e trac”, recurrent instrument in southern Italy, and the subduing of the fanfare (brass bands).
I documented processions of Palermo, the procession of the Cocchieri, tradition that has continued since the seventeenth century; the Ballarò market and the Good Friday procession of San Mauro Castelverde, a small village that climbs around a mountainous peak of the Madonie, where you can watch the kiss of Judas, his hanging, the Way of the Cross, the Crucifixion. The pain of a man. During this visit the mountain was strangely enveloped in a dense and cold fog; This introduced a dreamy sense of unease

Each event so indicates a path between the sacred and the profane.
On Easter Sunday in Ribera, for example, where men who are exhausted from the long journey and the weight of the different paintings – of representations of Christ, the Virgin Mary and St. Michael – are allowed to drink the holy blessed water as a reward for their devotion. The bottle flies quickly from hand to hand as the crowd, moved, sings and jumps.
The band gets excited, the cacophony of the firecrackers explodes, clouds of confetti are released into the air. All to remind us of the resurrection of Christ.
Doves flying between the banners and behold, in those days, reappearing beyond the slightly profane expressions, the soul anxious of knowledge, the path of suffering and finally the liberating joy of resurrection

Through the choice of this ancient and profound theme I wanted to pay tribute to the life of Christ, revealing through his extreme suffering, the divine essence, the transcendence. Research that man has expressed for millennia.

We can also say that “the Royal Way”, the title of this report, is an expression that was used in the ancient world. It shows the way, the straight road, by which we avoid the deviations and the twists and turns that can confuse the soul, symbolic approach to the heavenly Jerusalem, the symbol of Christ.

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LA MEDITERRANEE ET NOUS di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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mais nous ne nous en rendons compte qu’en juillet, lorsque nous emmenons notre familles «à la mer”, et que nous voyons passer des formes étranges à l’horizon, sans nous demander ce qu’elles font là et pourquoi. Nous vivons avec une mer qui source à la fois de bien-être et de problèmes, et il est bon d’en comprendre les qualités et les limites.
Selon les chercheurs, le terme «méditerranée» a de nombreuses significations.

Fernand BRAUDEL disait «la méditerranée est un millier de choses mises ensemble. Ce n’est pas un paysage, mais un nombre infini de paysages. Ce n’est pas une civilisation, mais un certain nombre de civilisations superposées les unes aux autres. Cela est dû au fait que la méditerranée est un carrefour très ancien. Depuis des milliers d’années tout s’y rencontre, compliquant et enrichissant son histoire “.

Nous devons être conscients de ses caractéristiques et ses limites, et prendre des mesures pour réduire ces dernières au minimum, pour le bénéfice des générations futures.

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LA MEDITERRANEE ET NOUS

 

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Pour nous méridionaux, qui connaissons les difficultés que nos ancêtres ont dû affronter pour survivre aux dangers provenant de la mer, cette phrase semble quelque peu optimiste, mais, dans l’ensemble, il est difficile d’être en désaccord avec le jugement historique de BRAUDEL. Un premier aspect de la méditerranée est son climat relativement doux, du moins sur les côtes, grâce au “chauffage central” que constitue le désert du Sahara, qui, dans notre partie du monde, déplace l’équateur thermique beaucoup plus au nord que l’équateur géographique.
Ce n’est pas par hasard que certains géographes ont défini la méditerranée comme la zone qui “s’étend de la limite nord des oliviers à la limite nord de la palme.” Soyons clairs: le climat de la méditerranée n’est pas idyllique, en raison de ses violentes tempêtes et du froid en hiver, mais il est certainement meilleur que celui de beaucoup d’autres régions du monde situées aux mêmes latitudes.
En revanche, les terres bordant la méditerranée sont soumises à des éruptions fréquentes, des tremblements de terre et des raz de marée qui ont toujours rendu la vie de ses habitants dangereuse. Elles sont par ailleurs, en grande partie montagneuses, ce qui pendant des siècles à empêché l’agriculture de se développer au-delà de la simple subsistance. Aujourd’hui nous voyons nos collines bien entretenues et couvertes de cultures, parfois de pointe, mais c’est le résultat du génie italien et des progrès de la technique.
En dépit de ces problèmes, la région méditerranéenne a attiré depuis la préhistoire de nombreux groupes ethniques essayant d’échapper à une situation insupportable et de migrer vers ses rives à la recherche d’une meilleure qualité de vie. Bien sûr, les nouveaux arrivants n’avaient aucun scrupule à exterminer, asservir, ou soumettre ceux qui vivaient dans ces lieux choisis par ces masses humaines pour s’y établir.
C’est seulement très récemment que les migrations de masse ont pris un caractère moins violent, simples fuites devant la guerre et l’injustice, même si de nombreux gouvernements ont exploité ces pauvres gens pour parvenir à leurs propres fins politiques; cela explique peut-être aussi les réactions des résidents des zones privilégiées de la méditerranée qui ne se sont pas toujours montrés très accueillants. Ces arrivées massives de l’est et du sud nous font comprendre pourquoi notre mer, où se croisent divers flux, doit être considéré comme un «carrefour stratégique», militairement et, surtout, commercialement.
En fait,

la «nouvelle route de la soie”, un énorme flux de marchandises qui transporte des matières premières et des produits manufacturés entre l’Asie et l’Europe, traversant le détroit de Malacca , le golfe d’Aden, Bab-el-Mandeb et Suez, pour entrer ensuite dans le bassin méditerranéen.

En conclusion, la méditerranée est notre principale source de bien-être et peut devenir le moteur du développement de notre Sud et plus généralement de l’ensemble de l’Italie côtière.

Il en dérive le concept actuel de «méditerranée élargie», qui comprend également la mer rouge, jusqu’au détroit de Bab-el-Mandeb et à la corne de l’Afrique, des zones où les événements ont des répercussions immédiates sur nous. Il suffit d’observer que, pendant les huit années où la piraterie a agi sans que personne ne s’y oppose de 2000 à 2008, le prix des céréales a augmenté, alors que le transit à travers le canal de Suez chutait de 20%, conduisant à un net appauvrissement de l’Egypte .
En fait, la méditerranée est une mer fermée, presque comme un bonbon bien emballé, dont le papier est tordu aux extrémités de manière à en retenir le contenu. Pour la méditerranée, ces extrémités sont précisément le détroit de Gibraltar et le canal de Suez / Bab-el-Mandeb, dont les “propriétaires” peuvent étrangler à leur guise la vie économique de tout le bassin.
A l’intérieur, la ligne principale de la circulation court vers l’est, avant de passer près de la côte nord-africaine, puis de traverser le détroit de Sicile et de continuer en pleine mer à l’est jusqu’à Suez. De cette ligne partent d’autres flux en direction nord-sud, vers les ports de la rive nord, liées à l’Europe centrale et orientale.
Le trafic maritime en méditerranée est cependant surtout un segment de ce que l’on appelle aujourd’hui

Nous avons vu que, dans les années d’activité maximale de la piraterie, la méditerranée s’est appauvrie. Ceci est un phénomène qui se répète: il y a des siècles, dans les années qui ont suivi la prise de Constantinople, le trafic avec l’Asie s’est déplacé vers la “route du Cap “, appauvrissant les populations méditerranéennes par la hausse des prix et de laissant nos ports à moitié vide. Le risque est que ce phénomène se répète!
Notre destin méditerranéen nous impose donc des priorités stratégiques claires. Aucune défense de notre qualité de vie ne sera possible si nous n’agissons pas sur deux fronts:
– le contrôle des zones marines, afin de réduire l’anarchie et la criminalité en mer, et de protéger les principales lignes de circulation contre ceux qui veulent les attaquer, dans la méditerranée élargie et, si nécessaire, même au-delà;
– la poursuite du développement de l’économie maritime, un secteur dont le potentiel de croissance est énorme: nos ports sont très inadaptés aux caractéristiques et aux besoins des marchands aujourd’hui. Il suffit de penser que seul Gioia Tauro, un noeud dans le trafic international des conteneurs, est en mesure , par Sto arrivando! flotte et de ses équipements, de répondre à ces besoins.

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le commerce international a toujours été le meilleur moyen de gagner leur vie pour les peuples de la méditerranée. Cela nous amène à la définition selon laquelle cette mer est «le point focal du commerce, des richesse accumulées, qui changeaient de mains et parfois se perdaient à jamais, de sorte que la méditerranée peut être perçue par son impacts sur des zones plus étendues.”

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LA ROUTE ROYALE di Tamara Triffez – Numero 4 – Aprile 2016

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LA ROUTE ROYALE

 

Je me hasarde souvent, dans mes reportages, à la recherche des anciennes racines culturelles que conservent les êtres humains en divers endroits de la planète. J’ai suivi ces dernières années, un parcours qui met en évidence les procédures de l’évolution humaine.
Qui se manifestent à travers l’art, les mythes, les religions, dans le but d’affirmer pleinement leur dignité.
Mon point de départ est la description des événements, la réflexion sur la vie quotidienne, qui s’exprime, entre autre, dans les fêtes religieuses. Et c’est à partir de cette prémisse que je décidai de suivre les fêtes de Pâques en Sicile, et les nombreux événements qu’elles incluent. Avec enthousiasme et vitalité j’ai côtoyé la mise en scène des fêtes et les protagonistes des tableaux vivants.

Chers amis,   

 

Je vous prie de me prêter un moment d’attention pour quelques mots confiés à la courtoisie de Tamara. Cet événement s’appelle globalement L’Italie Vue d’En Haut, mais dans le cas de Tamara, je devrais dire “vue de l’intérieur» parce que, comme tous les grands voyageurs, Tamara est une artiste qui se meut pour voir les gens de très près, pour étudier la possibilité de s’identifier avec eux. Son exposition a pour thème la Voie Royale qui indique, en substance, la route rectiligne, celle est tracée par l’Art. C’est la Sicile qui se met en scène à travers les processions, ces moments où se fait particulièrement fort, en chacun de nous, le sentiment d’un passé qui pèse sur le présent. Mais, ce passé peut être facilement vu, du moins par le profane, de deux points de vue opposés et associés: la solennité et le ridicule. Les citoyens qui deviennent tous acteurs de la représentation sacrée sont des êtres vivants de chair et d’os, mais ils incarnent dans le même temps des rôles tellement importants et inquiétants qu’ils laissent la plupart du temps ceux qui les observent de l’extérieur, interloqués. Y croient-ils vraiment? Sont-ils capables d’identifier ces personnes avec le Christ, ses tortionnaires, le peuple spectateur qui accompagne la souffrance et exulte? Bien sûr, la réponse est oui, et elle n’est pas difficile à donner. La suggestion collective est une réalité vérifiable et émouvante. Et notre Tamara, que voit-elle de son noir et blanc net et propre avec lequel elle scrute les gens à une distance, qu’elle réduit au minimum? Elle voit le Personnage et l’Homme se chevaucher, tellement indiscernables qu’ils nous incitent à croire sérieusement dans un monde ancestral qui, en toute ignorance totale, parcourt la Voie Royale. Tamara Triffez a dédié et consacré Sto arrivando! vie à ce type d’enquête. Son intérêt est peut-être plus aigu au Tibet, sur ce paradoxe historique tragique que constitue la destruction, ou plutôt la tentative d’anéantissement d’une Voie Royale, au nom d’une idéologie erronée, qui a cru triompher par l’annihilation. Tamara, en tant qu’artiste, s’est opposée, et s’opposera toujours, en tout effort d’annihilation des héritages qui, même s’ils sont différents dans diverses parties du monde, sont intrinsèques à l’existence même de l’être humain. De ce point de vue Sto arrivando! Sicile et son Tibet ne sont pas différents; et ils ne le sont pas car l’approche de l’artiste est la même. Tamara donne à ceux qui regardent son travail un sentiment de participation. La séquence d’images est dans la procession, ce n’est pas un regard curieux de l’originalité typique ou de l’étrangeté; mais le regard de ceux qui, évangéliquement, ne jugent pas mais regardent. Il voit les grandeurs et les faiblesses du monde que le vent assemble, parce que, ensemble, ils ont toujours existé et existeront toujours. Bien sûr, les personnages de la procession, dans certains endroits extraordinaires come Piana degli Albanesi, sont des citations incontournables des grands arts figuratifs du passé. Les pleureuses semblent sorties des statues de bois du Moyen Age et de la Renaissance, le Christ qui passe ou git semble généré par la culture figurative maniériste. Mais cela, personne ne doit le savoir, pas même l’artiste qui erre parmi les gens avec son appareil photo. À son approche, cependant, la foule se disperse comme si l’acte photographique était lui-même acte sacré, parce qu’il sanctifie l’inconscience de ceux qui ne savent pas pourquoi il sont là ni pourquoi il faut prendre des attitudes préconçues. Dans la procession tout est prescrit, tout est déjà arrivé, mais Tamara cueille l’expression de doute, la perplexité, la distraction, l’illusion, qui transparaissent dans les visages si puissamment chargés de passé qu’ils en deviennent fascinants. Les photos ont été faites récemment à l’occasion des fêtes de Pâques. Mais la date n’a pas d’importance, parce que tout cela peut avoir toujours existé, bien qu’il soit très probable qu’il ne se soit jamais produit comme nous le voyons dans les photos de Tamara. Il ne s’agit pas suspendre le temps, ce qui est impossible, mais de dépeindre les émotions avec une claire conscience que la fiction de l’art conduit sur la Voie Royale. Tamara appartient à cette catégorie de personnes qui voit la vie uniquement comme énergie positive, mais de ses images n’émane aucun sentiment d’optimisme inconscient. Le fait est que l’artiste est profondément consciente de ce qu’elle représente et de ses implications, mais ne traite pas les personnes représentées en tant que matière d’un exercice hédoniste. Malgré la beauté claire de ses images, il n’y a jamais de sentiment d’arrêt extatique, qui saisirait un moment comme particulièrement beau ou suggestif. L’entrée du photographe dans la procession se déroule, au contraire, avec l’intention de se faire une place dans un monde qui pourrait nous rejeter parce que nous ne le connaissons pas et que peut-être nous le craignons. Nous craignons de blesser des sensibilités anciennes, de ne pas respecter les règles qui nous sont inconnues, mais qui semblent, là, évidentes; nous avons peur de manquer de respect involontairement seulement par manque d’information. Toutes ces craintes sont latentes dans le regard de Tamara mais elles sont exorcisées par la force de la relation entre la photographe et celui est en face de la caméra. C’est précisément pour cette raison, que nous ressentons une plénitude et une impression de raison et de spontanéité, qui, si nous les vivons bien, pourraient nous rajeunir.   

 

Avec mes salutations les plus chaleureuses,   

 

Claudio Strinati

La Sicile est une terre riche en tradition et véritables rituels ancestraux, qui témoignent encore aujourd’hui des origines légendaires et multi-culturelles au cœur de la Méditerranée.

L’objectif de mon appareil photo a suivi le dimanche des Rameaux à Piana degli Albanesi, un village fondé il y a des siècles par les communautés albanaises, et a conservé sa tradition orthodoxe, mise en évidence par quantité d’us et des coutumes, inattendus, les popes, les croix … le pope chevauche un âne, pour retracer l’entrée de Jésus-Christ à Jérusalem. Parmi les nombreuses célébrations, j’ai ressenti dans la représentation de la vie du Christ de Marsala, le sentiment d’un voyage dans le temps; un aperçu de la vie à Jérusalem il y a deux mille ans. La puissance évocatrice des représentations trouve Sto arrivando! source dans la participation intense des acteurs et spectateurs, tous habitants des villes et villages.

Il y a des cérémonies où tout le monde vit, à travers des représentations, son propre parcours de vie et son propre élan spirituel. Comme dans les Mystères du Moyen Age, il s’agit d’une expérience humaine religieuse fortement cathartique.

J’ai également suivi la représentation préparatoire des mystères de Trapani, où les jeunes enfants des diverses congrégations apprennent à porter des statues miniature. L’art du pas rythmé, du portage, et le rythme de tric trac, instrument récurrent dans le sud de l’Italie et celui conquérant de la fanfare.
J’ai documenté les processions de Palerme, la procession de Cocchieri, des traditions qui se poursuivent depuis le XVIIe siècle; la procession du marché Ballarò et le Vendredi Saint de San Mauro Castelverde, un petit village lové autour d’un pic montagneux des Madonie, où on peut assister au baiser de Judas, à Sto arrivando! pendaison, au Chemin de la Croix, à la Crucifixion. À la douleur d’un homme. Au cours de cette visite, la montagne était étrangement enveloppée dans un brouillard dense et froid, qui donnait un sentiment de malaise et d’irréalité.
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Chaque événement indique ainsi un chemin entre sacré et profane.

Le dimanche de Pâques à Ribera, par exemple, où les hommes épuisés par le long parcours et le poids des différents tableaux – représentations du Christ, de la Vierge Marie et de Saint-Michel – sont autorisés à boire l’eau bénite, en récompense de leur dévouement. La bouteille vole rapidement de main en main pendant que la foule, émue, chante et saute. La ferveur s’approfondit, la cacophonie des pétards explose, des nuages de confettis sont libérés dans l’air. Le tout pour nous rappeler de la résurrection du Christ.

Les colombes volent entre les bannières et, en ces jours, réapparaissent, au-delà des expressions un peu profane, l’âme anxieuse de connaissance, le chemin de la souffrance et, enfin, la joie, la libération, de la résurrection.

Par le choix de ce thème ancien et profond j’ai voulu rendre hommage à la vie du Christ, révélant par Sto arrivando! souffrance extrême, l’essence divine, la transcendance. La recherche que l’homme exprime depuis des millénaires.
 
«La Voie Royale», le titre de ce reportage, est une expression utilisée dans la passé. Elle indique le chemin, la route droite, par laquelle on évite les déviations et les tours et détours qui peuvent confondre l’âme, l’approche symbolique de la Jérusalem céleste, symbole du Christ.

 

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THE MEDITERRANEAN AND US di Ferdinando Sanfelice di Monteforte – Numero 4 – Aprile 2016

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but we only realize it in July, when we bring our families to bathe in it, and see strange shapes on the horizon without wondering what they’re doing and why. We live in a sea that is simultaneously a source of well-being and problems, and it is good to understand its qualities and limitations.

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THE MEDITERRANEAN AND US

 

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According to experts, the term “Mediterranean” has many meanings. Fernand BRAUDEL said, “the Mediterranean is a thousand things together. It is not a landscape, but an infinite number of views. It is not a sea, but a sequence of seas. It is not a civilization, but a number of civilizations superimposed on each other. This is due to the fact that the Mediterranean is a very ancient crossroad. For thousands of years everything has crossed it, complicating and enriching its history “.
As Southerners, we know the difficulties that our ancestors faced to survive the dangers coming from the sea, this sentence may appear somewhat optimistic, but, overall, you can not disagree with BRAUDEL in his historical judgement.
A first aspect of the Mediterranean is the relatively mild climate, at least on the coasts, thanks to the “central heating” given by the Sahara desert, which moves the thermal equator, in our part of the world, much more north than the geographical one.
Not surprisingly, some geographers have defined the Mediterranean as the area that “extends from the northern limit of the olive tree to the northern limit of the palm tree.” Let’s be clear: the climate of the Mediterranean is not idyllic, because of its violent storms and cold weather in winter, but it is certainly better than that of many other areas of the world at the same latitudes.
By contrast, the lands bordering the Mediterranean are subject to frequent eruptions, earthquakes and tidal waves that have always made life dangerous for the inhabitants. These areas are, moreover, largely mountainous and this for centuries has prevented the development of agriculture beyond mere subsistence. Today we see our well-groomed and filled with crops hills, but this is the result of Italian genius and technical advances.
Despite these problems, the Mediterranean area has attracted, since prehistoric times, numerous ethnic groups that tried to escape from an unbearable situation and migrate to its shores in search of a better quality of life. Of course, the newcomers made no bones about exterminating, enslaving, or otherwise subduing those who lived in the chosen places.
Only in very recent times the mass migrations have taken a less violent character, becoming a simple fleeing from war and injustice, although many governments have exploited these poor people for their own political purposes; perhaps this is also why the reaction of the residents in the privileged zone of the Mediterranean is not always welcoming. These mass arrivals from the east and from the south make us understand why our sea, where many flow lines cross, should be considered a “strategic crossroad”, militarily and, above all, commercial.
In fact, international trade has always been the best way to earn a living for the people of the Mediterranean. This brings us to the definition that this sea is “the focal point of trade, accumulated wealth, which changed hands and sometimes was lost forever, so that the Mediterranean can be measured by its broader implications.”
Hence the current concept of “Enlarged Mediterranean”, which also includes the Red Sea, to the Strait of Bab-el-Mandeb and the Horn of Africa, areas in which events have immediate repercussions on us. Suffice it to say that in the eight years in which piracy has acted with no one contrasting it, from 2000 to 2008, the price of cereals increased while transits through the Suez fell by 20%, resulting in a net depletion of Egypt .
In fact, the Mediterranean is a closed sea, almost like a well packaged candy, where the paper is twisted at the end, so as to retain the contents. For the Mediterranean, these twisted ends are precisely the constrictions of Gibraltar and the Suez / Bab-el-Mandeb, whose “owners” can strangle the economic life throughout the basin as they please.
Inside it, the main traffic line runs eastward, first passing near the North African coast, then crossing the Strait of Sicily and taking the eastern part, in the open sea, up to Suez. From this line, other north-south direction flows branch off, towards the ports of the north shore, connected with Central and Eastern Europe.
But the maritime traffic in the Mediterranean is more than anything a segment of what today is called the “New Silk Road”, a huge flow of merchants transporting raw materials and manufactured goods between Asia and Europe, passing through the Strait of Malacca , the Gulf of Aden, Bab-el-Mandeb and Suez, to then enter the basin.
We have seen that, in the years of maximum development of piracy, the Mediterranean has been depleted. This is a phenomenon that repeats itself: even centuries ago, in the years following the capture of Constantinople, the traffic with Asia moved on “Cape Route”, impoverishing the Mediterranean populations with rising prices and leaving our ports half-empty. The risk is that this phenomenon will repeat again!
Our Mediterranean destiny therefore requires some clear strategic priorities. No defense of our quality of life will be possible if we do not act on two fronts:
– the control of marine spaces, so as to reduce the illegality and crime at sea, and the protection of the main traffic lines against those who wish to attach them, in the enlarged Mediterranean and, if necessary, also beyond;
– the further development of the maritime economy, a sector whose growth potential is enormous: our ports are woefully inadequate compared to the characteristics and needs of merchant ships today. Suffice it to say that only Gioia Tauro, a node in the international container traffic, is able, for its depths and equipment, to meet these needs.
In conclusion, the Mediterranean is our main source of well-being and can become the engine of the development of our South, and more generally of the whole pet of Italy that faces it. We must be aware of its features and its limitations, and take action to minimize the latter for the benefit of the generations that will follow us.

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FROM FILANGERI TO THE AMERICAN CONSTITUTION di Giannicola Sinisi – Numero 4 – Aprile 2016

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The revolutions of those times took up the historical scene, with the cruelty and generalizations that came with them, destroying the greatness of the intellectual turmoil and dimming the power of thought that lightened the era.

FROM FILANGERI TO THE AMERICAN CONSTITUTION

 

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Behind such revolutions was the need to establish a new status for the individuals and for the population, after centuries of obscurantism; the principles of democracy, forgotten since the time of Athens, came back to life in the passionate discussions of philosophers, legal experts and knowledgeable citizens.
All the interconnections of the European intellectuals were working to contribute to these new ideals, but soon they realized that Europe was not the right continent to apply these ideals, due to monarchical resistance and the persistence of feudalism.
On the contrary, the 13 ex-colonies of North America, the New Nation, were the perfect place to experiment with these new ideals, a sort of world laboratory for modernity.
When reading the works of authors of that time it is possible to grasp not only the actual content, but a surplus of enthusiasm and a universal idealism that went beyond the tight borders and the barriers of the single States, in order to face the entire world and the whole of humanity.
Francesco Mario Pagano, Neapolitan jurist and intellectual, believed that “State and citizenship” were words to abolish from the vocabulary of a modern society.
Antonio Genovesi elaborated the principles of “public happiness” in his economy lectures at the University of Naples.
Gaetano Filangieri in Naples had already published the first two volumes of his treaty on the “science of legislation” in 1780, trying to consider rules that could work for the whole world, outlining the road to grant freedom of the individual and development of the human being.
The visionary power of Filangieri is still appreciated, declining some of the aspects he elaborated: abolition of excise duties to guarantee development; freedom of the press to enable a righteous formation of the public opinion; the right to a fair trial are only few of the colors with which the young Filangieri from Naples tried to depict the rules for a new humanity.
And he was not alone.
The intellectual Masonic net of the times, before the papal bulls that would claim its illegality, has surely had a leading role in the promotion and divulgation of the new ideals, and determined the encounter of the innovative power of the young Neapolitan philosopher and jurist, Gaetano Filangieri, with an undisputed leader of the birth of the New Nation, the United States of America, Benjamin Franklin, both exponents of the Free Masonry.
Gaetano Filangieri was in Naples between 1780 and 1783, at the court of the King, already followed by a consistent fame among intellectuals thanks to his work, and kept a strong correspondence with many of these.
After taking part in the Committee of Five, held by Thomas Jefferson in 1776, in order to corroborate the New Nation in the European courts, Benjamin Franklin was sent to Paris, at the court of King Louis XVI of France, as the first of the American ambassadors.
From 1779 to 1781 Franklin became Master of the Lodge of the Neuf Soeurs, one of the most important expressions of the French Masonry.
In 1781 Luigi Pio, a young secretary representing the Kingdom of the Two Sicilies in Paris and another member of the Masonry, obtained the diplomatic role at the same court, becoming an essential channel between Filangieri and Franklin.
Franklin was astonished by Filangieri’s work, and from that moment a strong correspondence started between them, influencing the liberal principles of the first parliamentary and republican democracy of the planet.
The human and personal differences between Filangieri and Franklin were unbridgeable, yet their destinies travelled parallel from 1781 to 1788, up to the point when Tuberculosis broke Filangieri’s young life; he had yet to turn 35.
Young, idealist and intellectual the first; consummate politician, scientist and entrepreneur the latter, they only shared the fact they were great innovators, able to elaborate theories or inventions without any conformism.
Gaetano Filangieri had idealized Philadelphia and Pennsylvania to the point of seeing it as a land where the ideals of freedom that he supported with such vigor had already found life.
In a letter of the 24th August 1782, Filangieri writes to Franklin: “From childhood, Philadelphia has called for my eyes. I have grown so accustomed to seeing it as a land where I could be happy, that my imagination cannot get rid of this idea”.
Everything had started with a letter dated 11th September 1781 from Luigi Pio to Filangieri, where he explained that Franklin wished to encouraged him to obtain the work “Science of Legislation” as it was to be “more useful in his Nation, terribly lacking in aspects of this topic.”
A rich correspondence that followed in the years, in which Franklin also asked Filangieri for suggestions, as well as opinions on the Constitution of the 13 American States, sending him a copy of the book printed in Philadelphia.
This book is lost, and probably is still in some private library of the heirs of the jurist and philosopher.
The correspondence ended with a letter from the 14th October 1787 that Franklin, now President of the State of Pennsylvania, wrote to Filangieri to tell him of the approval of the American Constitution, adding a freshly printed copy of it.
Together with the news, Franklin asked for nine copies of the third volume on Criminal Legislation, and eight copies for the next publications on the Science of Legislation by Filangieri.
The third volume had also been the subject of a letter from Filangieri to Franklin, who was still in Paris, on the 21st March 1784, in which Filangieri sent a sheet from that book, marked by the letter “V”.
That page, recognizable also thanks to stylistic anomalies, included the proposal to establish that, as the first act of the process, there should be the summons to the accused, that is later found in 1791 in the Sixth Amendment of the US Constitution which provides for the right of the accused to be informed of the accusation.
The tribute sent by Franklin on the 14th October 1787 arrives in Naples on July 1st 1788, by which time tuberculosis had begun to undermine the health of Filangieri, that will pass away after three weeks, on the 21st July 1788 in Vico Equense.
It will be Filangieri’s wife, Charlotte Frendel, to respond to Benjamin Franklin, with a letter sent from Naples September 27, 1778 with which she announced the death of her spouse and followed through with Franklin’s request, thus providing the certainty that those copies of Filangieri’s work arrived at destination.
This story, as I said, describes the visionary power of the legal and philosophical thought of Filangieri, but also tells us about the importance of Naples at that time, when it was the centre of a European and international network of intellectuals who set out to forge the society and to regulate the future and the changes, with an eye to the whole world.
It questions us on how much we still need a network of modern Filangieris and Franklins to take charge of processing new rights and duties of which we all feel the need, with the same universal and reforming vision, thinking about the United States, but not only of America.

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DA FILANGIERI ALLA COSTITUZIONE AMERICANA di Giannicola Sinisi – Numero 4 – Aprile 2016

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Le rivoluzioni di quel tempo hanno preso la scena della storia, con la crudeltà e le generalizzazioni che le accompagnano, distruggendo la grandezza del fermento intellettuale, e smorzando la potenza del pensiero che animò quell’epoca.

DA FILANGIERI ALLA COSTITUZIONE AMERICANA

 

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Dietro le rivoluzioni c’era l’esigenza di stabilire un nuovo status per gli individui e per i popoli, dopo secoli di oscurantismo;

La potenza visionaria di Filangieri si apprezza ancora oggi declinando alcuni dei concetti che egli elaborò:

Le reti degli intellettuali europei erano tutte all’opera per contribuire alla elaborazione di questi nuovi ideali, ma presto si resero conto che l’Europa non era il continente giusto perché questi ideali potessero trovare applicazione per le resistenze che le monarchie, e le sacche del perdurante feudalesimo, vi opponevano.
Al contrario, le Tredici ex Colonie del Nord America, la nuova Nazione, erano il posto perfetto per sperimentare questi nuovi ideali, una specie di laboratorio mondiale per la modernità.
La lettura degli scritti degli autori di quell’epoca consente di cogliere non solo i contenuti, ma anche una carica di entusiasmo straordinaria ed un idealismo universale, che superava gli angusti confini e le barriere dei singoli Stati per guardare al mondo intero ed a tutta l’umanità.
Francesco Mario Pagano, giurista ed intellettuale napoletano, riteneva che “Stato e cittadinanza” fossero parole da bandire dal vocabolario di una società moderna.
Antonio Genovesi elaborava i principi di “felicità pubblica” nelle sue lezioni di economia nell’Università partenopea.
Gaetano Filangieri, nel 1780, a Napoli aveva già pubblicato i primi due volumi del suo trattato sulla “Scienza della legislazione” pensando a regole valide per il mondo intero, indicando la strada affinché gli ordinamenti potessero garantire le libertà dell’individuo e lo sviluppo della persona umana.

ed i principi di democrazia, dimenticati dai tempi di Atene, ritornavano ad occupare le discussioni appassionate di filosofi, giuristi e cittadini illuminati nei salotti e nei luoghi di riunione.

eliminazione dei dazi per garantire lo sviluppo; libertà di stampa per tutelare il corretto formarsi dell’opinione pubblica; diritto ad un processo equo, sono solo alcune delle tinte miracolose con cui il giovane Filangieri da Napoli, dentro il confine del regno dei Borboni, disegnava le regole per una nuova umanità.
E non era il solo.
La rete intellettuale massonica del tempo, prima delle bolle papali che ne determinarono la clandestinità, fu certamente protagonista ed artefice nella promozione e divulgazione dei nuovi ideali e determinò

l’incontro tra la potenza innovatrice del giovane filosofo e giurista napoletano, Gaetano Filangieri, ed un protagonista indiscusso della nascita della Nuova Nazione, gli Stati Uniti d’America, Benjamin Franklin, entrambi esponenti della Libera Massoneria.

Gaetano Filangieri era a Napoli tra il 1780 ed il 1783, alla corte del Re, godendo già di buona fama tra gli studiosi dell’epoca per la sua opera, e mantenendo una fitta corrispondenza con molti di questi.
Benjamin Franklin, dopo aver partecipato al Comitato dei cinque, presieduto da Thomas Jefferson, per la redazione della dichiarazione d’indipendenza delle tredici ex Colonie Americane, del 4 luglio 1776, fu inviato per nove anni a Parigi quale delegato del Congresso dei Tredici Stati Uniti d’America presso la corte di Luigi XVI, per accreditare la nuova Nazione presso le corti europee.
Dal 1779 al 1981 a Parigi fu il Gran Maestro della Loggia delle Neuf Soeurs, una delle più importanti espressioni della massoneria francese.
Nel 1781 Luigi Pio, un giovane segretario di legazione della Rappresentanza del Regno delle Due Sicilie a Parigi, anch’egli massone, ricevette l’incarico diplomatico presso la stessa Corte, e rappresentò il tramite essenziale tra Filangieri e Franklin.

Franklin rimase ammirato dall’opera di Filangieri, e da lì cominciò una corrispondenza fra i due che influenzò principi liberali della prima democrazia parlamentare e repubblicana del pianeta.

Le diversità umane e caratteriali di Filangieri e Franklin erano incolmabili, eppure i loro destini viaggiarono paralleli dal 1781 al 1788, ovvero sino a quando la tubercolosi interruppe la giovane vita di Filangieri che non aveva ancora trentacinque anni.
Giovane idealista ed intellettuale il primo; consumato politico, scienziato e imprenditore il secondo, avevano in comune solo l’essere dei grandi innovatori, capaci di elaborare teorie o di realizzare invenzioni senza alcun conformismo.
Gaetano Filangieri aveva idealizzato Philadelphia e la Pennsylvania fino ad immaginarla una terra dove gli ideali di libertà che egli propugnava con tanta passione avevano già trovato una prima attuazione.
In una lettera del 24 agosto del 1782 Filangieri scriveva a Franklin: “Fin dall’infanzia, Filadelfia ha richiamati i miei sguardi. Io mi sono così abituato a considerarla come il solo paese ove io possa esser felice, che la mia immaginazione non può più disfarsi di questa idea”.

Tutto era cominciato con una lettera dell’11 settembre 1781 di Luigi Pio, segretario di legazione del Regno delle Due Sicilie alla corte di Parigi, a Gaetano Filangieri, con la quale gli faceva sapere che Franklin lo incoraggiava a fargli avere il volume della Scienza della Legislazione

che riguardava la legislazione criminale “perché questa sarà più utile per la sua nazione, mancante tutt’ora di molti lumi su quest’articolo.” 
Una ricca corrispondenza scandì gli anni successivi, in cui Franklin chiese anche consigli al giovane studioso napoletano, financo un parere sulle costituzioni che dopo il 1776 si erano date le Tredici ex colonie d’America, inviandogli una copia del libro stampato a Philadelphia che le raccoglieva.
Si tratta di un libro perduto e che probabilmente si trova ancora in qualche biblioteca privata degli eredi, forse per linea femminile, del giurista e filosofo napoletano, in qualche palazzo di famiglia.
La corrispondenza si chiuse con una lettera del 14 ottobre 1787 che Benjamin Franklin, ormai Presidente dello Stato della Pennsylvania, scrisse a Gaetano Filangieri per comunicargli l’approvazione, il 17 settembre 1787, della Costituzione degli Stati Uniti d’America, allegando una copia del testo della Costituzione fresca di stampa della sua tipografia.
La notizia si accompagnò ad una richiesta di poter avere 9 copie del terzo volume, sulla legislazione criminale, e 8 copie degli altri successivi volumi della Scienza della Legislazione, nel frattempo pubblicati dal Filangieri.
Il terzo volume era stato oggetto anche di una lettera di Filangieri a Franklin, ancora a Parigi, del 21 marzo 1784, con la quale gli inviava un foglio di quel tomo contrassegnato dalla lettera “V”.
Quella pagina, individuabile anche per le anomalie stilistiche, includeva la proposta di stabilire che, come primo atto del processo, vi sia l’intimazione al reo, che troveremo nel 1791 nel VI emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti che prevede il diritto dell’accusato di essere informato dell’accusa.
L’omaggio inviato da Franklin a Filangieri il 14 ottobre 1787 giunse a Napoli il 1º luglio 1788, quando ormai la tubercolosi aveva cominciato a minare più gravemente la salute del nostro, che si spegnerà tre settimane dopo, il 21 luglio 1788, a Vico Equense.
Sarà la moglie di Filangieri, Charlotte Frendel, a rispondere a Benjamin Franklin, con una lettera spedita da Napoli il 27 settembre 1788, con la quale comunicò il decesso del coniuge e diede seguito alla richiesta di Franklin, così fornendoci la certezza che quelle copie dell’opera di Filangieri giunsero a destinazione.

Questa storia, come ho detto, descrive la potenza visionaria del pensiero giuridico e filosofico di Filangieri, ma ci racconta anche l’importanza di Napoli in quell’epoca, quando era al centro di una rete europea ed internazionale di intellettuali

che si proponevano di forgiare la società di quel tempo e di disciplinarne il futuro e i cambiamenti, con lo sguardo rivolto al mondo intero.
E ci interroga su quanto avremmo bisogno ancora oggi di una rete di moderni Filangieri e Franklin che si facciano carico di elaborare i nuovi diritti e doveri di cui tutti avvertiamo l’esigenza, nella stessa visione universale e riformatrice, pensando agli Stati Uniti, ma non solo d’America.

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